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Peppe Brandi: «Quanta mediocrità dopo il ciclone giudiziario che decapitò l’intera classe politica»

 

ISCHIA. Sono passati venticinque anni dal ciclone di Tangentopoli. Una lunga stagione d’inchieste giudiziarie che progressivamente cancellò gran parte della classe politica italiana e dei partiti storici fino a quel momento padroni della scena. Anche Ischia subì i violenti contraccolpi di quella che viene indicata come la fine della “Prima Repubblica”. A un quarto di secolo di distanza, cosa resta di quella stagione? Peppe Brandi, oltre quarant’anni di militanza politica democristiana prima e dopo “Mani pulite”, fu tra coloro che vennero coinvolti dalle accuse di corruzione prima di veder riconosciuta la propria completa estraneità, fino ad essere eletto Sindaco di Ischia, carica che ricoprì dal 2002 al 2006.

Quando ripensa a quei giorni, cosa ricorda immediatamente?

«La prima sensazione che ricordo è quella di un’atmosfera da “caccia all’untore”, con annesso giustizialismo esasperato, originatasi da fatti circoscritti a determinate persone e partiti, che tuttavia aleggiava minacciosa su tutti: sembrava quasi ineluttabile che prima o poi chiunque sarebbe stato colpito da accuse, inchieste e processi. Anche qui a Ischia si abbatté il ciclone giudiziario colpendo diversi esponenti politici, me compreso, anche se fui poi completamente scagionato. Si viveva in un’atmosfera di tensione e paura. Come diceva Jorge Luis Borges, il grande poeta e scrittore argentino, “per aver paura dei magistrati non bisogna essere necessariamente colpevoli”».

Come giudica l’operato della magistratura?

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«Certamente hanno svolto un ruolo di “pulizia”, oserei dire “etnica” nei confronti della classe politica dell’epoca. Furono dissolti interi partiti, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, i socialdemocratici, tranne l’ex Partito Comunista, nel quale vi furono solo casi isolati di esponenti inquisiti».

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I primi partiti che ha nominato erano al Governo, a differenza del Pci:

«Sì, è vero, ma anche il Pci di Berlinguer collaborò alla responsabilità di governo tramite la “non sfiducia” già negli anni ’70. Quindi non è che i comunisti “buttassero acqua dall’ombelico”. Anche Napolitano ha riconosciuto che Craxi fu perseguitato oltre ogni misura, e come lui tanti altri».

Il leader socialista fu condannato anche per alcuni fondi neri all’estero, non solo per finanziamento illecito ai partiti:

«La verità è che per fare i matrimoni ci vogliono i confetti. E per fare politica ci vogliono i soldi, inutile negarlo, non nascondiamoci. All’epoca esisteva tale abitudine di finanziare i partiti con i fondi delle opere pubbliche, ma in grandissima parte servivano per la crescita del partito. Ovviamente non faccio il difensore d’ufficio di tali pratiche: l’azione della magistratura è stata un bene. È stata fatta piazza pulita, tutti contenti. Però..»

Però?

«Se Lei mi chiede se sono più soddisfatto del panorama politico attuale o di quello pre-Tangentopoli, io non scelgo certo quello attuale. Parlo della società nel suo insieme. Proviamo a porci alcune domande: la corruzione esiste tuttora? Sì, forse è solo meglio mascherata, quindi quel ciclone giudiziario non è stato certo risolutivo, tutt’altro. Chi difende la Prima Repubblica rischia di essere considerato anacronistico o, peggio, difensore del sistema-tangenti. Tuttavia va riconosciuto che Mani Pulite fu una catarsi purificatoria più apparente che reale».

La politica isolana è uscita trasformata da Tangentopoli, oppure siamo sempre lì?

«Guardi,  il livello degli amministratori isolani attuali, che appaiono talmente imbelli, è talmente basso che credo non sarebbero nemmeno capaci di fare politica come 25 anni fa. Anche per fare la politica basata sulle tangenti ci vuole un certo “fegato”».

Quindi una bocciatura senza appello.

«Beh, dobbiamo tuttavia riconoscere che oggi gli amministratori probabilmente appaiono meno efficienti rispetto agli anni ’80 anche perché hanno meno risorse economiche a disposizione. All’epoca si faceva una politica di bilancio, su cui si impostava l’azione amministrativa. Oggi tale politica è frenata da una serie di percorsi obbligati, “reticolati” normativi, da Bruxelles in giù, che impongono di utilizzare le risorse economiche in un certo modo. C’è una “perpendicolarità galileiana”  che rende l’azione politico-amministrativa molto asfittica. Gli amministratori di oggi non saranno né stinchi di santo né grandi “cime”,  forse sono soltanto “cime di rapa”,  ma riconosco che possono fare ben poco, visti i vincoli. Ciò implica comunque che la classe politica sottoposta al vaglio del corpo elettorale sia composta da “residuati bellici”, cioè personaggi che ai tempi della Prima Repubblica non sarebbero stati chiamati nemmeno a pulire le scale. E non soltanto qui a Ischia, ma anche a livello nazionale, dove si muovono tutte mezze figure, di secondo o terzo piano».

Anche la partecipazione dal basso è in crisi profonda. Qui a Ischia fino ai primi anni ’90 spesso la sera ci si riuniva nelle sezioni dei vari partiti. Oggi nulla di tutto ciò.

«Proprio così. La partecipazione è nulla e la politica viene fatta nel chiuso delle stanze. Gli amministratori ischitani non si espongono sul territorio perché sanno che raccoglierebbero più contestazioni che applausi. La formazione della classe dirigente politica non passa più per le sezioni: a Ischia ce ne erano moltissime e di vari partiti. C’era spazio per un reale e costruttivo confronto dialettico che contribuiva potentemente alla crescita politica. Io sono arrivato in consiglio comunale nel ’75, dopo sette anni di “gavetta”, un concetto che oggi non esiste più. Venticinque anni dopo il bilancio non è attivo. Oggi guardo con un velo di nostalgia quegli anni. Certamente era più difficile fare politica in un periodo in cui per arrivare ad essere scelto come candidato era necessario un lungo lavorio, che coinvolgeva tutti nel partito, del quale era necessario il pieno appoggio. Oggi invece si viene eletti senza alcun percorso politico.  La mia generazione è stata spazzata via da Tangentopoli, tuttavia io mi sono riproposto agli elettori e ho continuato il mio percorso politico, fino ad essere eletto sindaco. Naturalmente molti esponenti, anche prestigiosi, della politica ischitana non ebbero la forza e il fegato di continuare, scomparendo così dalla scena».

Venticinque anni di distanza bastano per un adeguato giudizio storico?

«Non credo che siano sufficienti per un giudizio completamente sereno. I giudizi della Storia necessitano di periodi molto più lunghi. Oggi sono passati pochi lustri. Quest’anno festeggiamo in pratica le nozze d’argento con la magistratura, mentre oggi si fanno le nozze coi fichi secchi. Voglio dire che le inchieste hanno eliminato i presunti “cattivi”, ma io mi domando: quelli  che sono rimasti sono davvero i “buoni”? Io direi “buoni a nulla”. Molti si sciacquano la bocca millantando la propria onestà. Ma l’onestà non è una dote politica, bensì un pre-requisito. La vera dote politica è la capacità: Benedetto Croce diceva che un medico è degno di stima se è capace. È inutile farsi curare da un medico onesto che sbaglia la cura e provoca la morte del paziente. Ecco il punto,  e lo stesso vale in politica. I giudici avranno anche fatto piazza pulita dei “ladroni”, ma sul campo sono rimasti soltanto incapaci. C’è un pauroso livellamento verso il basso, e la mancanza di formazione politica rende impossibile differenziare coloro che vengono eletti: non esiste identità politica, gli eletti diventano così intercambiabili. I magistrati ovviamente si chiamano fuori dalle responsabilità dell’aver praticamente azzerato la classe politica, trincerandosi dietro al fatto che a loro tocca perseguire i reati, non certo formare il nuovo ceto dirigente».

Non si potrebbe invece anche affermare che la magistratura non ha fatto altro che “colmare” alcuni spazi lasciati irresponsabilmente vuoti dalla politica stessa?

«Sì,  è verissimo. La politica è colpevole di aver lasciato domande insolute, e la magistratura ha finito per svolgere un ruolo per lei non abituale. Anzi, io dico che a distanza di tempo, la magistratura continua ad agire allo stesso modo, basti vedere la cronaca quotidiana e i guai giudiziari di molti politici».

Sembra tuttavia che l’opinione pubblica, rispetto a 25 anni fa, oggi si sia quasi assuefatta a questi fatti di cronaca, che all’epoca generavano molto più scalpore.

«Anche questo è vero. E questa assuefazione è un ulteriore segno di quella mediocrità di cui parlavamo prima. Politici con gli attributi avrebbero saputo dare risposte adeguate alle esigenze della società e non avrebbero consentito eccessive invasioni di campo alla magistratura. L’avviso di garanzia ha visto totalmente deformato la sua originaria funzione. Da strumento che garantiva l’indagato, è poi diventato un’arma di delegittimazione politica. È ora di finirla, bisogna tornare alla vera presunzione d’innocenza, fino alla sentenza definitiva».

Francesco Ferrandino

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