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“Errori e negligenze, così è morta Maria Diotallevi”

Di Gaetano Ferrandino

ISCHIA – Partiamo da un presupposto. E’ un passaggio importante ma alla fine a giudicare e stabilire se ci sono o meno responsabilità sarà sempre eventualmente un tribunale. Ma sulla morte della 28enne Maria Diotallevi, giunta in pratica in condizioni disperate all’ospedale Rizzoli dove si era già ricoverata una prima volta per essere poi dimessa, arriva adesso un primo significativo riscontro. Il prof. Tarsitano, consulente della Procura della Repubblica, ha infatti depositato la sua relazione con la quale ricostruisce quanto accaduto alla sfortunata giovane mamma ed il quadro della situazione così come esposto sembrerebbe non lasciare alcun dubbio ad interpretazioni. Maria è deceduta a causa di una broncopolmonite che non era stata curata e diagnosticata quando si portò al nosocomio lacchese con la febbre altissima, che superava i 40 gradi. Due giorni dopo, invece, ci si accorse qual era il problema, ma era troppo tardi per riuscire a porvi rimedio. Da lì una tragedia che scosse profondamente la comunità isolana, privata del sorriso di una giovane donna e di una altrettanto giovane mamma. La magistratura aprì un’inchiesta che portò all’iscrizione del registro degli indagati ed alla contestuale notifica di un avviso di garanzia per il medico di famiglia Abramo De Siano e per la dottoressa Viviana Pisano, che si trovava in servizio presso il Rizzoli quando la Diotallevi si fece visitare in prima battuta. Il professore scrive che Maria Diotallevi “aveva un processo broncopolmonitico severo in fase avanzata che produsse una grave sepsi, non trattata farmacologicamente nei giorni successivi alla dimissione dall’ospedale Rizzoli, in quanto non diagnosticata in occasione del primo ricovero”.

I SINTOMI NON VENNERO “LETTI”, ECCO COSA SBAGLIARONO I SANITARI

Ma attenzione ad un ulteriore passaggio, nel quale Tarsitano sembra non nutrire alcuna remora sulla gestione del caso, evidentemente ritenuta errata. Si tratta del capitolo dove si parla della sussistenza di profili colposi ed in particolare se sia riscontrabile negligenza, imprudenza ed imperizia da parte dei medici che, in tempi diversi, hanno avuto in cura Maria Diotallevi ed in particolare la correttezza della diagnosi, l’adeguatezza delle scelte terapeutiche, la tempestività delle cure apprestate, eventuali comportamenti colposi di carattere diagnostico o terapeutico scaturenti da una ritardata diagnosi e/o un ritardato ricovero ospedaliero. Il professore sottolinea che “in occasione del ricorso alle cure dei sanitari del pronto soccorso in data 29 ottobre 2015, la paziente presentava una sintomatologia caratterizzata da febbre, vomito, diarrea. In realtà la sintomatologia di esordio con vomito, diarrea e febbre avrebbe dovuto orientare i sanitari verso una gastroenterite, ma non doveva essere dimenticato che spesso la febbre indica uno stato settico che interessa vari distretti le cui complicanze devono essere ricercate sia clinicamente attraverso l’esame obiettivo generale: addominale, dell’apparato respiratorio, del sistema nervoso centrale e periferico, nonché cardiaco ecc. e sia con esami di facile esecuzione in pronto soccorso come la radiografia del torace ed un emogas.

“SAREBBE BASTATO UN CORRETTO ESAME CLINICO DEL TORACE”

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E attenzione a quanto aggiunge subito dopo il consulente dell’autorità giudiziaria: “Purtroppo nel caso in esame il sanitario o i sanitari concentrarono la loro attenzione solo sull’apparato digerente. Eseguirono un esame ecografico che non diede alcuna utile indicazione, non eseguirono un esame clinico del torace (infatti non è riportato in cartella clinica), non eseguirono un esame neurologico che non è riportato in cartella clinica. Non eseguirono un semplice esame radiografico del torace (malgrado l’elevata temperatura corporea), né un emogas. Sarebbe bastato un corretto esame clinico del torace per evidenziare la necessità dell’approfondimento radiografico. In questo modo la diagnosi di un processo broncopolmonitico sarebbe stata effettuata nell’arco di poche ore e si sarebbe potuto iniziare un’adeguata antibiotico terapia”. E il prof. Tarsitano affonda ancor di più la lama nel burro quando scrive che “la paziente, negligentemente, fu dimessa con invio al medico curante, senza un corretto inquadramento clinico”. Frasi che rappresentano una perizia e che ovviamente nessuno si azzarda a definire verità assolute, ma che indubbiamente suonano come un terribile atto d’accusa.

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Come si ricorderà, dopo essere stata dimessa il 29 novembre, Maria Diotallevi tornò al Rizzoli il 1 dicembre, ormai purtroppo più morta che viva. Nello specifico il consulente spiega: “Nulla può dirsi in occasione del secondo ricovero in quanto la paziente giunse in una condizione di coma III/IV con un indice di CGS7. In quell’occasione correttamente fu intubata e sottoposta ad indagini cliniche e strumentali (body tac) che permisero di evidenziare il processo broncopolmonitico in fase ascessuale. Le condizioni cliniche precipitarono rapidamente a causa del gravissimo stato settico per cui nel giro di poche ore sopraggiunse l’exitus.

PREVEDIBILITA’, PREVENIBILITA’ DELL’EVENTO E MORTE

C’è questo particolare capitolo nel quale, se possibile, il prof. Tarsitano rincara ancora ulteriormente la dose: “Abbiamo detto e lo sosteniamo – si legge nella relazione – che il comportamento dei sanitari in occasione del ricovero del giorno 29 novembre fu negligente in quanto limitò l’attenzione, superficialmente, all’apparato digerente, mentre il solo esame clinico completo avrebbe evidenziato la patologia respiratoria. Patologia che andava indagata ed inquadrata, inizialmente, con un esame radiografico del torace ed un’emogas analisi e, successivamente, con TAC torace ed esami specialistici”. E così si arriva anche alle inevitabili cause del decesso, secondo il consulente: “Il non aver diagnosticato il processo broncopolmonitico e quindi il non aver iniziato tempestivamente l’adeguato trattamento terapeutico, comportò il precipitare delle condizioni respiratorie della paziente, con conseguito sovraccarico del circolo che rappresentò, con alta probabilità, vicina alla certezza il trigger per l’innesto di una fibrillazione ventricolare causa dell’exitus”.

L’AMARA CONCLUSIONE: LA TRAGEDIA POTEVA ESSERE EVITATA

La perizia, poi, si sofferma anche su un altro aspetto, ossia la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta degli indagati e l’evento così come verificatosi evidenziale, se l’eventuale comportamento colposo abbia o meno costituito  di per sé in termini di alto grado di credibilità razionale, una ‘condicio sine qua non’ del verificarsi dell’evento. E qui il prof. Tarsitano non fa altro che ripetersi affermando: “Crediamo di aver già risposto al presente quesito in quanto durante il primo ricovero non fu diagnosticato il grave processo broncopolmonitico di cui era affetta la giovane paziente. Il ritardo di diagnosi e quindi di terapia, che in pratica non fu mai iniziata, come il caso avrebbe richiesto, comportò un aggravamento delle condizioni respiratorie con conseguita insufficienza cardiorespiratoria ed exitus”. Il tutto chiudendo poi con una considerazione dura, cruda e terribilmente amara: se la paziente fosse stata inquadrata “con diligenza e perizia” (testuale, ndr) e se avesse iniziato un adeguato terapeutico, magari l’esito di questa vicenda non sarebbe stato tragico. E su questo Tarsitano parimenti non sembra nutrire dubbi visto che sostiene che questo sarebbe accaduto “con alta probabilità vicino alla certezza”.

Fin qui uno stralcio della relazione del professore, la cui conoscenza della materia non è assolutamente in discussione anche se – e lo sottolineiamo ancora una volta – è pur sempre la ricostruzione di un medico, e dunque di parte. Ma è chiaro che getta su questa triste storia ombre ancor più fosche, che peraltro in tanti avevano ipotizzato dopo che furono ricostruiti gli eventi di quelle 48 ore maledette a cavallo tra il novembre ed il dicembre dello scorso anno solare.

 

 

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