LE OPINIONI

IL COMMENTO L’Italia, una Repubblica fondata sul lavoro

DI ANTIMO PUCA

«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.» Questo, il testo dell’articolo 1 della Costituzione. È frutto di un compromesso fra le varie anime della costituente: cattolica, comunista e liberale. La locuzione “incriminata” è un’idea di Amintore Fanfani (Democrazia Cristiana), per far mandar giù a Palmiro Togliatti (Partito Comunista), il fatto che liberali e cattolici ponessero il veto all’idea che la Costituzione cominciasse con “L’Italia è una Repubblica di lavoratori”. Come dire, una Repubblica Socialista. In sostanza, il primo articolo esprime esplicitamente quello su cui i costituenti erano d’accordo ed in maniera nebulosa quello su cui non lo erano. Nel 2 giugno del ’46 la Nazione ha votato per la Repubblica. La sovranità appartiene al popolo. Ciao, ciao, Savoia. I governanti sono cittadini e non sudditi. Né funzionari etc. Quale che sia l’organo/i che andrà a incarnare la Nazione, (sarà il Parlamento, Camera + Senato), l’Italia è una Democrazia. Un “governo del popolo”. Tale organo/i GOVERNA, nel senso che esprime la sovranità del popolo nel decidere per il popolo (il Consiglio dei Ministri può essere un organo di funzionari. Il Parlamento no. Cittadini scelti da cittadini). “Fondata sul lavoro.” “Ok! Le prossime elezioni del ’48 non si sa come vanno a finire. Vediamo di mantenerci aperte tutte le strade, ragazzi” “Forme e limiti della Costituzione.” “Come che andranno le prossime elezioni del ‘48, vediamo di mantenerla Repubblica e Democratica” Ora, personalmente non so cosa significhi “fondata sul lavoro” e se la Repubblica Italiana lo sia o meno. Rimaniamo un caso unico nel panorama mondiale. Ma molto più per fattori sociali che politici. Vado comunque a dare uno spunto che ritengo possa far riflettere sul significato di “lavorare”. E magari limitare gli accenti melodrammatici del prossimo Solone di turno.

Lavoro viene dal latino labor. “Fatica” Si! Non è che meridionali, francesi, portoghesi, spagnoli usano “fatica” o “travaglio” perchè sono “brutti, cattivi e pigri”. È che quella è la percezione storica dell’attività che occupa la maggior parte della vita di un uomo. “Lavorare è durare fatica”. È così che, prima dell’evoluzione (?) dialettica capitalismo-socialismo del ventesimo secolo era percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione, quelli che, appunto, lavoravano. Anche nelle lingue germaniche, la parola utilizzata per definire il lavoro è di origini non esaltanti:” l’arbeit” tedesco è “servitù”, il “job” al più un parente fonologico di “chop”, “tagliare”. Stesso e peggio dicasi per le lingue slave. Lavorare non è produrre, modellare il proprio futuro, asservire la natura al nostro volere. (Il latino ha una parola che indicava tutto ciò: “opus”, da dove vengono opera, operare etc.) Non è servire la comunità. Non è nemmeno il mero guadagnarsi da vivere. Se vivo di rendita su qualcosa che ho fatto, mi guadagno da vivere ma non lavoro. E quindi? E quindi lo spunto è questo. Forse, a livello inconscio, l’Italia Repubblicana ha fissato questa “fatica” nel proprio atto di nascita. Per punirsi di un Risorgimento monco e di un passato fascista presto nascosto sotto il tappeto? Per esporre sotto mentite spoglie le difficoltà di una Nazione culturalmente dilaniata da molte anime incompatibili? O semplicemente perchè, come dice Gaber, “forse abbiam capito che il mondo è un teatrino” e quindi se questa è una Repubblica dove il Popolo è sovrano, è solo che il Popolo s’è portata dietro la “fatica” compagna di sempre? Direbbe il grande De Andrè “c’è differenza tra idea e azione”. Lavorare vuol dir produrre, trasformare scientemente una cosa in un’altra. Anche gli animali lavorano seppur a loro insaputa (credo). Quando fanno un nido, innalzano un termitaio, si scavano una tana. Quando si dice che l’Italia è fondata sul lavoro, (“e agogna al riposo”, direbbe Flaiano), s’intende che ognuno deve dare il suo. Si fonda sulla partecipazione di tutti al Bene del Paese (sic!). Ciò mi fa dire che i nostri costituenti poco conoscevano i loro compaesani.



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