IL COMMENTO L’ultima spiaggia
L’inganno 2033, come traguardo illusorio che la politica italiana aveva fatto sperare ai concessionari degli stabilimenti balneari, si è rivelato per quello che era: un miraggio, dove al posto della classica palma e pozza d’acqua tra le dune del deserto, c’erano ombrelloni e sedie sdraio nella sabbia, installati per 20 anni ancora. Il recente pronunciamento del Consiglio di Stato, in seduta plenaria, ha posto un paletto ineliminabile. L’orizzonte delle proroghe automatiche si limita a dicembre 2023 (Sentenze 17 e 18 del 9 novembre). Scaduto tale termine, la sentenza non consente “alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa”. A giudicare da quel che succede a Ischia, pare che le Associazioni balneari e i singoli concessionari non abbiano ben afferrato i termini della questione. La Franca annuncia una pioggia di ricorsi individuali e Camerini (che pure è uno degli imprenditori di settore più preparati) si dice sconcertato dal fatto che a decidere di questo siano dei giudici e Corti supreme di giustizia. Allora sarà bene chiarire che è indubbiamente vero che la politica avrebbe dovuto legiferare, nel rispetto delle direttive europee, una disciplina di settore e i principi ispiratori per le inevitabili gare da espletare, ma è vero – altresì – che è piena competenza della giustizia dirimere i contrasti tra legislazione nazionale e direttive europee, mentre le autorità amministrative non possono minimamente derogare alla legislazione nazionale e alle direttive europee.
Il pronunciamento del Consiglio di Stato dispone “ope legis” che le autorità amministrative devono, a questo punto, considerare “automaticamente”decaduto ogni loro decreto di proroga disposto, per cui non necessita, da parte degli enti territoriali, un provvedimento di “revoca” della proroga della concessione. La scadenza diventa inderogabilmente il 31 dicembre 2023. Suggerire (come sembrano fare le Associazioni di categoria), agli attuali concessionari, singoli ricorsi, è sbagliatissimo. Non avrebbero nessuna possibilità di invertire il procedimento che stabilisce lo “ stop” al 31/12/23. Ciò che invece si può e si deve fare, e che gli enti locali farebbero bene a suggerire e sollecitare, è lo studio approfondito della Bolkestein e l’individuazione delle pieghe della Direttiva che consentono di espletare le gare in modo da tutelare quanto più è possibile il tessuto economico locale. Intanto registriamo, ancora una volta, che Procida si è mossa prima e meglio di noi ischitani. La sezione procidana di Confcommercio ha organizzato una riunione conoscitiva presso il Comune, in presenza dell’assessore al Turismo e Attività produttive Leonardo Costagliola, con l’intervento del Presidente campano del Sib Marcello Giocondo e di Marco Cantarella che – mi dicono – è il maggiore esperto di Confcommercio Campania in materia. Ma la questione è talmente delicata e complessa da richiedere approfondimenti molto accurati.
Da parte mia suggerisco un’ampia consultazione di Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano comparato europeo. Qui è possibile acquisire pareri di eminenti giuristi ( da Maria Alessandra Sandulli a Franco Ghelarducci a Sabino Cassese, da Emilio Castorina a Fabio Francario e via dicendo). Ma, per schematicità e semplicità, raccomando in particolare lo studio di Gherardo Carullo, Ricercatore di Diritto Amministrativo dell’Università degli Studi di Milano e di Alessia Monica, assegnista di Ricerca in Diritto dell’Unione Europea dell’Università degli Studi di Pavia. Questi approfondimenti fanno giustizia anche delle troppe semplificazioni e approssimazioni che circolano, tra i balneari, circa la favola che in altri Paesi Europei gli attuali gestori sarebbero autorizzati a gestire le spiagge per periodi lunghissimi. Ad un’attenta lettura del Diritto comparato si evidenzia come, ad esempio, Spagna e Portogallo hanno criticità ed incompatibilità con la normativa europea che dovranno necessariamente risolvere, mentre la disciplina francese è quella che più si può assumere a riferimento per un modello europeo in cui la gestione delle spiagge vede una forte presenza degli enti pubblici direttamente o in collaborazione con i privati. Appare chiaro che la Direttiva Bolkestein non è self-executing ovvero gli organi territoriali non sono da essa direttamente vincolati, ma sono vincolati alla legge nazionale. Invece la Direttiva Bolkestein è immediatamente vincolante per il giudice, ecco il motivo per cui il Consiglio di Stato, investito del problema in particolare dal Tar Lecce, si è dovuto pronunciare in senso allineato alla normativa europea, concedendo solo un arco temporale di due anni per i necessari adempimenti a cura del Parlamento per una legge di indirizzo nazionale e per organizzare le gare. L’Italia ha un discreto margine di discrezionalità, non per prorogare i termini fissati dal Consiglio di Stato, ma per dettare gli indirizzi di gara.
Se la legislazione europea è stata improntata ad un’economia fortemente competitiva, l’Italia, che vanta ben 7.600 km di costa (ampia offerta) e ha accumulato storicamente 52.619 concessioni demaniali marittime, di cui 11.104 stabilimenti balneari, può non avvertire l’urgenza di stravolgere la titolarità delle concessioni. Come è possibile ciò nel rispetto della trasparenza e della non discriminazione dei concorrenti? L’art. 12, par.3 della Direttiva prevede che lo Stato membro può mantenere in vita determinati regimi autorizzatori per ragioni di “salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto comunitari”. In linea con questo paragrafo della Direttiva, la Corte di Giustizia Europea ha precisato che è possibile, nella traduzione nazionale della Direttiva europea, anzi è auspicabile “valorizzare la tutela delle identità culturali e della coesistenza della comunità con l’ambiente naturale proprio di ciascun luogo”. Ciò significa che , nell’affidamento di una concessione balneare, in un contesto in cui il turismo marittimo (è il caso di Ischia ) è una componente importante dell’economia locale, l’amministrazione deve tener conto non solo degli effetti immediati dell’affidamento sui servizi resi nelle spiagge stesse, ma anche di tutte quelle conseguenze dirette e indirette sul territorio circostante. Non è nemmeno vero che il Parlamento italiano sia stato del tutto assente nella risoluzione del problema: con l’art. 1 c.675 della Legge 30/12/2018 n.145, si è demandato al Governo il compito di operare una revisione proprio con l’obiettivo di “tutelare, valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste italiane in quanto elemento strategico per il sistema economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese, in un’ottica di armonizzazione delle normative europee”. Per rafforzare il perseguimento di tale obiettivo s’invocano anche forme di partenariato pubblico- privato.
Per chiudere: gare entro il 2023; precedute da una ricognizione e mappatura di arenili e concessionari; assegnazione di un rating a ciascun concessionario; rilevazione di eventuali abusi commessi; il tutto propedeutico ad assegnare premialità o penalità in sede di gara. Ovviamente le gare si espleteranno col sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa (miglior rapporto prezzo-qualità). Ad esempio, 50 punti al prezzo e 50 punti alla qualità dell’offerta, Le gare possono e devono prevedere un legame culturale, storico, identitario con il territorio in cui gli affidatari operano e devono predisporre premialità per tale legame, per cui non è discriminatorio preferire tali soggetti a soggetti del tutto estranei alla storia, alla cultura, alla tradizione sociale economica e turistica dell’isola. In tale quadro, perfino la circostanza storica che, per un periodo, i privilegi Aragonesi assegnarono ( insieme ad altri benefici) le spiagge al popolo ischitano ( passate poi al Demanio), può avere una rilevanza non giuridica ma storica. Per ultimo, ma non in ordine di importanza, sono essenziali: una più stretta collaborazione privati-enti locali, con forme di partenariato e la costituzione di cooperative che raggruppino ( per tratti di costa continui) i singoli concessionari storici. Il tutto avvalorato da “progetti” seri che diano il massimo di servizi, alti livelli di occupazione ed omogeneità estetico architettonica agli stabilimenti. Su questi binari nulla è perduto, anzi potrebbe nascere un miglior modo di servire la comunità locale e i turisti, senza stravolgere il quadro di comando gestionale dei servizi balneari, tenendo lontani eventuali “big competitors” speculativi, del tutto estranei al tessuto socio-economico ischitano.