CRONACAPRIMO PIANO

NESSUNA DIFFAMAZIONE, ASSOLTI GLI “UOMINI” DI DE SIANO

Ennesimo schiaffo al giudice Antonio Esposito, che aveva chiesto 150.000 euro di risarcimento a tre impiegati dell’Hotel Villa Svizzera. Michele D’Ambrosio, Domenico Morgera e Giovanni Fiorentino rivelarono all’avvocato La Rosa che il magistrato che condannò Berlusconi aveva offeso pesantemente in albergo sia il Cavaliere che l’allora senatore

Un’altra vittoria giudiziaria da una parte, l’ennesima, per tre dipendenti isolani di un noto albergo ubicato a Lacco Ameno. Dall’altra parte un ex giudice di Cassazione che invece incassa una nuova sconfitta. Lui è Antonio Esposito, di cui la storia si ricorda per la sentenza di condanna pronunciata dieci anni orsono a carico di Silvio Berlusconi: una condanna che costrinse il Cavaliere a dover lasciare la carica di Senatore della Repubblica, incompatibile con la pena inflittagli, con tanto di affidamento ai servizi sociali presso un ente benefico lombardo. Una vicenda giudiziaria il cui epilogo sollevò un vespaio di polemiche, commenti ed un polverone difficilmente riscontrabile in casi analoghi: da qui si innestarono una serie di nuovi procedimenti giudiziari frutto anche del fatto che Esposito li promosse volutamente ritenendosi diffamato. Non una buona idea, a giudicare da come poi sono andate effettivamente le cose. 

E’ recente la notizia dell’ultimo “schiaffo” patito dall’ex giudice, per una vicenda che interessa da vicino anche la nostra isola. Che stavolta arriva dal Tribunale civile di Roma che si è pronunciato in forma monocratica. Il giudizio era stato proposto proprio dall’83enne giudice che chiedeva di condannare per diffamazione tre nostri concittadini per giunta per una vicenda già nota: parliamo di Michele D’Ambrosio, Domenico Morgera e Giovanni Fiorentino, che nel 2014 – come i nostri più attenti lettori ricorderanno – lanciarono una serie di accuse pesante contro l’ex magistrato di Cassazione, facendolo tra l’altro in presenza dell’avvocato napoletano Bruno Larosa al quale per inciso proprio Berlusconi aveva conferito mandato di occuparsi di indagini difensive. D’Ambrosio, Morgera e Fiorentino erano lavoratori dell’albergo Villa Svizzera di proprietà della famiglia di Domenico De Siano, all’senatore e anche coordinatore regionale di Forza Italia. In quell’hotel Antonio Esposito era solito trascorrere le vacanze estive con la moglie negli anni tra il 2007 e il 2010, quindi prima di trovarsi a presiedere la sezione di Cassazione nel processo contro Berlusconi. Nel verbale di indagini difensive l’avvocato Bruno Larosa raccolse, peraltro anche videoregistrandole (quei filmati finirono anche in diverse trasmissini televisive), le testimonianze dei tre camerieri che raccontavano di aver sentito in più occasioni l’allora magistrato di Cassazione esprimersi con termini perentori e psanti, ai limiti dell’offensivo se non oltre, neii confronti del fondatore di Forza Italia e dello stesso De Siano, patron dell’hotel in cui pure il magistrato soggiornava.

Le frasi e le espressioni utilizzate erano dal contenuto inequivocabile e decisamente poco ortodosso: «Quella chiavica di Berlusconi», «Ancora li devono arrestare?» (riferito a Berlusconi e De Siano) e finanche roba del tipo «A Berlusconi se mi capita l’occasione gli devo fare il mazzo così». Insomma, non certo manifestazioni d’affetto ed è proprio su queste indagini difensive che si puntava per chiedere alla Corte di Giustizia Europea di condannare l’Italia sul presupposto che nel giudizio emesso dalla Corte di Cassazione il presidente della Sezione giudicante avesse palesi ed evidenti pregiudizi nei confronti di Silvio Berlusconi. Questa vicenda e le dichiarazioni di cui sopra rimasero a lungo “dormienti”poi però come detto tornarono d’attualità prepotentemente nel 2020 quando furono citate in una trasmissione televisiva e questo portò all’azione del magistrato nei confronti dei tre impiegati isolani ai quali era stato chiesto un risarcimento complessivo di 150.000 euro. Non è stato però dello stesso avviso il giudice monocratico del Tribunale di Roma, Silvia Albano, che non solo non ha accolto la richiesta di Esposito ma ha aggiunto al danno la beffa condannandolo a pagare le spese di giudizio dei tre lavoratori, quantificate complessivamente in 4.500 euro. Per il giudice, infatti, non vi è alcuna prova che i tre abbiano detto il falso, e anzi gli argomenti dedotti in giudizio da Antonio Esposito «non possono neanche in via presuntiva indurre a concludere che i convenuti abbiano testimoniato il falso». Il tribunale romano boccia così, ed in maniera perentoria, le tesi accusatorie dall’ex giudice di Cassazione: «Si tratta di valutazioni di natura personale, di circostanze che non si prestano ad un’interpretazione univoca o di presunte anomalie in ogni caso irrilevanti poiché, anche qualora riscontrate, da esse non dipenderebbe, quale logica conseguenza, la falsità delle dichiarazioni rese». Se lo riterrà opportuno Antonio Esposito potrà ricorrere in Appello e proseguire così una battaglia contro il trio D’Ambrosio-Morgera-Fiorentino che si trascina da tempo.

Già nel 2019 l’ex giudice una denuncia penale contro i tre camerieri e, in quell’occasione, tirò in ballo anche l’avvocato Bruno Larosa. Esposito riteneva che i tre avessero commesso il reato di falso giuramento della parte, mentre per Larosa ipotizzò i reati di abuso d’ufficio e usurpazione di funzioni pubbliche, sostenendo che l’avvocato napoletano non poteva compiere le indagini difensive. Anche in quel caso, sia la procura di Napoli sia il Gip del tribunale di Napoli diedero torto all’ex giudice della Cassazione. Non c’era stata l’ombra di alcun reato, la procura chiese l’archiviazione e il Gip, nonostante l’opposizione del denunciante, archiviò. L’avvocato Larosa aveva svolto il suo incarico legittimamente e le dichiarazioni dei tre, scrisse il gip di Napoli Giovanni Vinciguerra, «non possono comunque considerarsi false». Adesso l’ennesimo capitolo di una lunga ed interminabile vicenda, che forse però è arrivata ai titoli di coda. A meno che Esposito non voglia giocarsi ancora la carta dell’Appello, rischiando però di rimediare un’altra scoppola.

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