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Il nuovo corso delle donne

Gentile Professore,

ho venticinque anni e mi sono brillantemente laureata in medicina. Lotto, con le unghie e con i denti, per conquistarmi uno spazio adeguato nel mondo professionale. Questo mondo è ancora più difficile da affrontare per una donna, perché funziona in base al modello maschile che lo ha concepito.

Ciò nonostante non mi lamento: se penso a quanto era pesante la condizione femminile fino ad ancora una o due generazioni fa. Dopotutto, io sono stata messa in condizione di studiare, di scegliermi i miei amici e i miei affetti, senza troppe ingerenze e senza che il giudizio della gente mi condizionasse eccessivamente.

Riflettendo, però, su quanta strada c’è ancora da percorrere per arrivare alla completa parità tra uomo e donna sul piano dei diritti e considerando su quanta violenza si abbatta ogni giorno sulle donne, mi chiedo – e le chiedo – se non ci sia il rischio di un’involuzione della società, di un arretramento reazionario e maschilista nella visione del ruolo della donna.

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Gentile Lettrice,

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malgrado le molteplici manifestazioni di violenza nei confronti delle donne, di cui abbiamo testimonianza quotidiana attraverso la cronaca, e le indubbie resistenze del mondo del lavoro a una completa parità dei diritti tra maschi e femmine, a me pare che il cammino del riscatto e dell’emancipazione femminile sia un processo inarrestabile, persino nelle realtà più oscurantiste del pianeta. La coscienza della necessità del riconoscimento dei diritti della donna come conquista che appartiene all’intera società rappresenta oramai un punto di non ritorno dell’evoluzione etica e spirituale dell’umanità.

Ciò detto, è evidente che  – come lei afferma – molta strada ci sia ancora da percorrere in tal senso e che si dovrà rimuovere dal cammino ancora numerosi ostacoli.

In verità, il problema che si profila all’orizzonte potrebbe essere uno di natura completamente diversa: una nuova forma di servitù, ma non più nei confronti dell’uomo, come in passato, bensì nei riguardi del potere impersonale del Capitale, capace di insinuare i suoi comandamenti nella psiche collettiva degli individui della società globalizzata.

Su questo tema il filosofo francese Alain Badiou (1937) ha scritto un capitolo illuminante del suo ultimo libro, dal titolo socraticamente provocatorio: “La vera vita. Appello alla corruzione dei giovani” (Ponte alle Grazie, Milano, 2016). Il capitolo si chiama “A proposito del divenire contemporaneo delle ragazze”. In esso si sintetizza la trascorsa condizione delle giovani e si colgono alcuni aspetti critici e inquietanti della situazione attuale.

«Nel mondo antico, il mondo della tradizione,» – afferma Badiou – «la questione delle ragazze era semplice: si trattava di sapere se e come una figlia si sarebbe sposata. Come sarebbe passata dallo stato di vergine seducente a quello di madre prostrata. Fra i due, del resto, fra la figlia e la madre, si trovava il personaggio negativo e maledetto della ragazza madre, che non era più figlia, essendo madre, e non era veramente madre, perché non sposata, e dunque era ancora figlia.» [Ibid. – p. 75].

L’Autore osserva che il campo di pertinenza tradizionale della donna era la famiglia, alla quale la giovane accedeva attraverso la mediazione esterna del marito. Nel caso dell’uomo, invece, il passaggio alla maturità comprendeva l’assunzione del controllo dell’ordine simbolico (la “Legge”), con cui prendeva il posto del proprio padre.

Nella «trinità reazionaria “Lavoro, Famiglia, Patria”», analizza Badiou, la donna restava stretta tra due ambiti maschili: il Lavoro e la Patria, dovendo “donare” il suo corpo al marito lavoratore e piangere la perdita del figlio soldato, sacrificato sull’altare della guerra.

Oggi la situazione, come sappiamo, appare completamente diversa. la giovane può decidere cosa fare della propria vita e, nel lessico sociale, sono scomparse le categorie amare e problematiche della “ragazza madre” e della “zitella”.

Eppure – sostiene il pensatore francese -, nel sistema ipercapitalistico contemporaneo, se gli uomini, privi di ogni rito di iniziazione alla vita adulta (l’ultimo dei quali è stato la leva militare obbligatoria), sprofondano in una forsennata coazione al consumo delle merci e sono psicologicamente caratterizzati da un perpetuo infantilismo, quella che Badiou definisce la « “vita senza Idea” » [Ibid. – p. 81], anche le donne perdono qualcosa di fondamentale: «Per le figlie, l’assenza di separazione esteriore (uomo e matrimonio) fra figlia e donna, fra ragazza e moglie-madre, comporta la costruzione immanente di una femminilità che chiameremo prematura. […]

Viene da qui che le ragazze siano capaci di fare, con talento impeccabile, tutto quello che viene loro richiesto in quanto bambine o in quanto adolescenti, visto che oramai hanno già autonomamente oltrepassato tutto questo. Se i figli sono immaturi per sempre, le figlie, dal canto loro, sono mature da sempre.» [Ibid. – pp. 81 – 83].

Infine, Badiou segnala l’aspetto più angosciante di questo processo sociale, al servizio dell’individualismo consumistico e concorrenziale: ai maschi il ruolo di deboli, eterni adolescenti, la cui giocosità, anche se dilettevole, li rende angosciosamente impotenti sul piano simbolico, e può produrre persino una deriva perversa e delinquenziale; alle femmine il ruolo duro, maturo, serio, legale e punitivo, tipico del femminismo borghese. Questo femminismo pragmatico non aspira in nessun caso a un mondo migliore, ma soltanto alla conquista del potere. In un’ottica simile, il mondo femminile si trasforma marxianamente in “un esercito di riserva del capitalismo trionfante”.

C’è di che riflettere, dunque, dato che ogni generazione ha i suoi nodi da sciogliere e deve apprendere a relazionarsi alla propria specifica “Ombra”, la quale si sposta in rapporto alla “luce” della Coscienza.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma in una scuola di specializzazione per psicoterapeuti, formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma e a Ischia. Ha fondato e dirige il webzine e il quadrimestrale internazionali “Animamediatica”.

Contatti

E-mail: francescofrigione62@gmail.it

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