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Natale a Piazza Majo: in una tendostruttura le tristi festività dei terremotati

di Isabella Puca

Casamicciola – Fa freddo lì a Piazza Majo. Prima di entrare in quella che è stata definita zona rossa i militari ci chiedono un documento; appena il verde del semaforo ci dà il lascia passare entriamo e ai nostri occhi ci appare un paese fatto di legno e lamiere. Su alcune delle case parzialmente crollate appaiono delle scritte “Vigili del Fuoco Caserta”, sono gli uomini che hanno messo la firma sul puntellamento prima di andar via, l’ unica misura adottata fin ora. Tutto è rimasto fermo a quella notte: le macerie ai lati delle case ormai vuote; né vita, né mobili. La parte alta di Casamicciola sembra non esistere più.  Qualcuno, nonostante il freddo pungente, passeggia con lo sguardo rivolto alle case crollate, fa parte di quelli che non hanno voluto abbandonare la zona e che, appena può, corre a vedere lo stato delle cose, come a volersi ricordare com’era e immaginare come potrà essere. Tutti convergono a piazza Majo, è lì che Franco Mattera del “Garfi”, proprio davanti quella che era la sua casa, ha montato una tendo struttura dove si pranza e si cena, dove si sta insieme per un caffè per continuare a far vivere Casamicciola. Tutti lo chiamano Franco “’e curaggio”, quello che non ha perso nonostante tutto e come lui i tanti che, nonostante i malanni dettati dal freddo e dall’età, continuano a presidiare la zona. Appena entriamo la signora Filomena ci offre un po’ di dolce e del caffè: ci sono struffoli, panettoni e della cassata, la televisione è accesa e fa da sottofondo alla nostra chiacchierata; tutt’intorno è un forte odore di mandarini. «Questo capannone lo abbiamo montato due giorni dopo il sisma –ci racconta Franco – la tenda della Protezione Civile risale a trent’anni fa, il resto è materiale che ci è stato donato dal sindaco di Lacco Ameno e da altre persone della zona. La mia abitazione è alle spalle della piazza, è stata a disposizione delle forze dell’ordine dal primo giorno post terremoto quando ancora non erano stati montati i servizi igienici né altro. Fuori casa abbiamo allestito una cucina sotto a una piccola tettoia ed è da 4 mesi che cuciniamo e veniamo a mangiare qui a pranzo e a cena». È la signora Filomena l’addetta ai fornelli, ma lì tutti danno una mano; fino a prima che arrivasse il freddo erano in trenta a mangiare tutti insieme, ora sono rimasti in pochi e non demordono. Continuano a riunirsi sotto a quel capannone per discutere dei problemi del paese, fare la conta dei danni e quattro chiacchiere; nonostante tutto c’è ancora voglia di sorridere. «Con la scusa di questo capannone diverse persone si fermano, ho sempre il caffè quasi sempre pronto e se non era per noi Casamicciola sarebbe stata ancora più deserta. Non abita più nessuno qui, un centro che era la raccolta di tutti quelli che abitavano nella zona, tra i bambini che giocavano, i vecchi che chiacchieravano e il bar dove andavamo a fare una partita a carte, è ora una zona fantasma. Abbiamo una strada chiusa da quattro mesi, siamo dei leoni in gabbia, possiamo uscire solo dalla zona del Fango presidiata dalla Forze dell’Ordine 24h su 24h. Stiamo malissimo e la colpa è della burocrazia». Franco quella sera era in piazza, seduto su di una panchina, non è il primo evento sismico che si trova a vivere eppure ancora non riesce a capacitarsi di quanto successo. «Ricordo fumo, polvere, la gente che usciva dal ristorante. Come responsabile della Protezione Civile ho detto loro di non uscire dalla piazza, ho allertato la Protezione civile della Campania e poi abbiamo iniziato a liberare la strada dalle macerie per far arrivare i Soccorsi.  Ancora oggi non so cosa sia accaduto in quei cinque secondi». Franco ha 2 figli e 7 nipoti, anche la loro casa era a Casamicciola e ora sono uno a Forio e l’altro a Barano, in attesa di riunirsi per il Natale. Avrebbero voluto pranzare tutti insieme a piazza Majo, ma il freddo è tanto e per quel giorno si allontaneranno dalla zona. Anche il cane Billy è rimasto lì, scodinzola, accoglie chi arriva, accompagna alla porta chi se ne va. Alle spalle di Franco c’è una ceramica con su scritto “Piazza Majo” è rimasta intatta e ora è nel capannone, poco più giù una foto che ritrae com’era Piazza Majo nel  1878 con i palazzi di tre piani a destra e a sinistra e poi la Chiesa grande con il Campanile costruita nel 1500 su una cappella di San Severino. Nel capannone c’è pure un ex sindaco di Casamicciola Parisio Iacono, è suo il racconto del terremoto dell’83. «La vita pubblica all’epoca si svolgeva su via delle Spezie, — ci racconta – in piazza dove c’erano le taverne e accanto al portone della chiesa dove si teneva il consiglio comunale, poco più su  c’era casa Monti un borgo che portava alla zona alta verso l’Epomeo. Eravamo importanti».  Sono loro, insieme a tanti altri, a costituire il gruppo indigeno della zona che vuole che la ricostruzione avvenga lì, «i giovani del posto hanno lanciato un’ idea affinché il comune e la Regione sollecitassero la Comunità Europea per fare qui a  Casamicciola un borgo antisismico che possa essere da modello per tutta l’Europa. Fin ora si sono spesi tanti soldi a vuoto, ma nulla è cambiato, dipende tutto dalla burocrazia, dalle persone che stanno al vertice». Tra tanti desideri da poter esprimere per questo Natale ce n’era uno in particolare che avrebbero voluto si esaudisse: riaprire una delle due strade che porta in piazza Majo, ma ad oggi è ancora tutto fermo. «Non ci siamo mossi da qua proprio per non fare la fine degli altri paesi che hanno avuto il terremoto e dopo anni sono nella stessa situazione. Sono rimasto molto deluso, abbiamo visto che a distanza di 300 metri da noi, i lavori per riaprire la strada che si dovevano concludere 2 mesi fa, sono ancora fermi e non sappiamo quando finiranno. Devono aprire questa strada e dare la possibilità a chi può aggiustare la sua casa di farlo così da rientrare nella propria abitazione. Era questo il regalo di Natale che avremmo voluto. Aprendo la strada su 100 case 10 potrebbero ritornare a essere abitate, compreso il bar e il ristorante che hanno avuto problemi relativi». Ancora oggi la richiesta di molte famiglie non è di ricevere i soldi, ma di poter avere la possibilità di fare le riparazioni e tornare a casa. «Piazza Majo con dieci fabbricati è stata messa in sicurezza in 24 giorni, su Via Spezieria hanno iniziato un mese prima e sta ancora in pessime condizioni. Abbiamo lottato, non volevano farci stare nemmeno di giorno, ma noi non ce ne siamo andati».  Per Franco, Parisio e gli altri il sentimento è lo stesso, continuare a vivere lì, in piazza Majo dove Franco ha costruito la sua casa pietra dopo pietra trovando la forza per tornare a lavorare in fabbrica, in terraferma, per ben 15 anni e dove Parisio ha trovato l’amore di Filomena. In un angolo del capannone dove in molti entrano ed escono per bere un goccio di caffè, fare quattro chiacchiere e trovare in queste un po’ di conforto è stato allestito un presepe in una damigiana e l’albero di Natale. “Presepe terremotato. Fragile” si legge ed è così che ci appare il paese, un presepe senza vita che attende di essere ricostruito.

 

 

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