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A fine e l’asse e copp’

Nei modi di dire della lingua napoletana, vi è un’ espressione che, pur non avendo una traduzione significativa, contiene un efficace messaggio rappresentativo di una condizione negativa. Amm’ fatt’ fine e l’ass e copp’; ‘e fatt’ a fine ‘e l’ass’ e copp; aggio fatt’a fine e l’ass e copp.. Sia al plurale che al singolare o nell’indicativo rappresenta sempre una condizione negativa. Nella ricerca di un significato attribuibile, il migliore che appare è: “pur mostrando una espressione tronfia si è vuoti dentro”. Vuoti o svuotati di tutto. Sembra che sia proprio la fine che ha fatto il popolo italiano che, “appeso con la testa in giù” da un fisco sanguisuga, tirando i conti a fine anno si è scoperto svuotato di ogni possibilità di affrontare il futuro in una condizione di obiettiva serenità. Camminando per le strade delle nostre città, ed anche per la nostra isola, le serrande abbassate superano di gran lunga quella aperte. Sbirciando l’interno degli esercizi che resistono al disastro, si nota anche nei fine settimana (tranne in qualche occasione speciale), che essi sono vuoti. Incassi pochi se non inesistenti. Nonostante ciò, per il semplice fatto “di esistere”, la impietosa macchina fiscale spilla soldi in continuazione. Un nuovo balzello di quà, un altro di là, e la cassa è sempre più vuota. Esci di casa per una qualsiasi esigenza e ti incroci con un esercito di persone che ti vengono incontro per spillarti soldi o per crearti condizioni di pagamenti. Dal vigile urbano in attesa che fermi la macchina per incollarti una multa sul parabrezza, al porta lettere che, se abiti un po’ lontano dal centro, manco ti pensa per portarti una missiva. Se è quella dell’Equitalia la deposita al comune e poi un giorno ti trovi iscritta ipoteca sulla casa per non aver “pagato una multa” che forse non dovevi pagare o un altro balzello del genere. Se recuperi la missiva in tempo per opporla, ci pensa lo Stato a scoraggiarti. Gli oneri finanziari quasi sempre superano l’importo della sanzione al punto che un povero tizio decide di pagare, anche se non deve, perchè la spesa, come si suol dire, non vale l’impresa. Anche perchè, quasi sempre, il Giudice, se prende in considerazione la tua opposizione, compensa le spese. Se poi ti senti poco bene le cose si complicano ulteriormente. Poichè a settembre le asl hanno già esaurito il plafond per gli accertamenti diagnostici, ecco che la sanguisuga si ripresenta sotto altre forme “quella del pagamento diretto e per intero degli accertamenti”, con la lusinga di poter detrarre la spesa dalle tasse. Tu paghi se non ti accontenti dell’occhio benevolo di un tuo caro dall’altro mondo per attendere l’anno sucecssivo. In un tale bailamme mi dice qualcuno se l’appellativo di aver fatto la fine “e l’asse e coppe” è poco appropriato?. E allora visto che oramai questa danza o scommessa di sopravvivenza la balliamo da svariati anni, viene spontaneo, approssimandoci al baratro, voltarsi indietro. E, nel guardare all’indietro ci si rende conto che fino ad una quindicina di anni fa il cittadino italiano, con le sue lirette, tutto sommato, stava bene. Chiedo al lettore è il caso o no di chiedersi che cosa è successo, non essendoci state guerre, per ridurci nella condizione di oggi?

E’ successo semplicemente che (usando un linguaggio comprensibile a tutti) per lo sciupìo nei conti pubblici dello Stato negli anni 70 e 80, (mai controllato o sanzionato pur se noi contribuenti paghiamo eserciti di professionisti assoldati per farlo), un gruppo di “politici ben pensanti” (gli stessi che in occasione di campagne elettorali assumevano migliaia di persone alle poste, negli enti locali, nella scuola o che mandavano in pensione i lavoratori dopo appena sedici anni di contribuzione), pensò di cavalcare l’illusione europeistica. Convinti forse che, essendo noi furbi, avremmo trovati tanti cretini che con i loro portafogli ci avrebbero consentito di continuare a scialacquare. E, invece, è andata diversamente. Cretini non ne abbiamo trovati e siamo rimasti imbucati in un sistema che, giorno dopo giorno, ci salassa sempre di più. Un idrovora incontenibile che ha succhiato dal midollo dello Stato, quel poco che era rimasto. Tutto: per mantenere una burocrazia elefantiaca inutile e supponente. Vent’anni fa un impiegato che aveva uno stipendio di un milione e mezzo di lire campava decorosamente riscendo anche a risparmiare qualcosa. Oggi con gli equivalente € 750,00 va a chiedere l’elemosina. L’italiano risparmiatore affezionato al mattone, quale garanzia di sicurezza per la vita, s’è costruito la casa. Oggi si trova custode di immobili nel quale è imprigionato dalle tasse. Con i sacrifici, sottratti agli svaghi eccessivi, ci siam costruiti una camicia di forza dalla quale non si riesce più a fuggire. Fuori la porta di ogni casa c’è un esattore delle tasse che tutti i giorni stà con la mano tesa a pretendere qualcosa senza darti nulla. Il quotidiano finanziario “Il sole 24 ore”, giorni addietro ha chiarito, con dovizia di particolari, che la categoria dei lavoratori autonomi è quella più prossima alla soglia del disastro finanziario per il diluvio normativo degli ultimi anni che conduce progressivamente all’impoverimento complessivo. Che fare? E’ una domanda che allo stato dell’arte non stimola risposte ragionate ma reazioni sconsiderate visto che sembra di vivere, giorno dopo giorno, in una guerra, non dichiarata, tra l’apparato dello stato italiano ed i suoi abitanti. Mentre chi dovrebbe prenderne atto sgaiattola per il timore di mostrarsi. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Le classi professionali oltre a prendere atto che di questo passo si andrà solo incontro al disastro totale, hanno il dovere morale di scendere in campo per rimpossessarsi della gestione della cosa pubblica. Sottraendola agli improvvisati che, per le loro incapacità, se non di fare debiti, ogni giorno ci propinano una tassa. Diversamente è la fine. Quella, appunto, dell’asse di coppe. Tronfio e svuotato. acuntovi@libero.it

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