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CREDULITÀ E MANIPOLAZIONE NARCISISTICA

LETTERE ALLO PSICOANALISTA

 

Gentile Professore,

sono una donna sposata, di quarant’anni, e lavoro come contabile in uno studio commerciale ad Ischia.

Da due anni, ho iniziato una psicoterapia, grazie a cui sto lavorando su alcuni aspetti fondamentali della mia vita, che fino ad adesso non mi erano affatto chiari. Finalmente sto aprendo gli occhi su tante cose. Quella che più mi colpisce (e ferisce) è come persone di cui mi ero fidata quasi ciecamente, con la scusa dell’amicizia o della parentela, hanno spesso approfittato della mia disponibilità a fare cose che loro non sapevano o non volevano fare. Dei risultati, però, si sono sempre prese il merito, senza mai riconoscermi nulla.

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Mi rendo conto, quasi d’improvviso, come se mi fosse caduto un velo che mi tappava gli occhi, che alcune persone, anche sul lavoro, mi hanno puntualmente piantato in asso al momento del bisogno, salvo, invece, richiedere e ottenere da me tutto l’aiuto possibile e immaginabile quando gli servivo o gli tornava comodo.

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Provo adesso un gran rabbia per essermi lasciata così facilmente ingannare, e tanto a lungo, ma una parte di questa rabbia la riservo a me stessa e mi chiedo: come è stato possibile farmi trattare in questo modo e come ho potuto no capire che molti dei rapporti in cui credevo fossero basati, in realtà, sulla più bassa convenienza? Sa, mi sento veramente male nel riconoscere quello che le sto scrivendo.

Vorrei tanto sapere lei cosa pensa della mia situazione. 

 

Gentile lettrice,

la situazione che lei descrive è di grande amarezza e di profonda disillusione, sia riguardo a sé stessa che riguardo al mondo. Comprendo quanto possa risultarle doloroso questo passaggio, ma anche come esso si rivelerà, alla lunga, d’imprescindibile utilità per consentirle di emergere dal soggiogamento nei confronti di chi attua manipolazioni strumentali e narcisistiche.

La diffidenza che adesso sperimenta, sia verso gli altri che verso sé, rappresenta l’altro capo, quello fin qui celato nell’inconscio, di una credulità eccessiva e mistificatoria, che origina, con verosimiglianza, nei primi rapporti infantili. Allora, la fede che lei sperimentava nell’onnipotenza benefica delle persone che le prestavano le cure serviva a disporla a preservare la sua vita e ad introiettare un senso di sicurezza.

In quell’epoca remota, deve, probabilmente, aver subito un brusco e traumatico impatto con la realtà, che l’ha costretta a mantenere inalterato il primitivo schema infantile di discriminazione tra ciò che è meritevole di fiducia e ciò che, invece, non lo è. A quel punto, onde evitare di sentirsi profondamente minacciata dal mondo e cedere a una sfiducia totale e distruttiva, lei deve aver rimosso o, ancor più, denegato le insidie provenienti dagli altri esseri umani. Queste, però, sono rimaste congelate nella dimensione inconscia, salvo riattivarsi nel momento in cui le si è schiusa la possibilità di saggiare, con la psicoterapia, un differente ambiente relazionale un universo più favorevole al dispiegamento dei processi di affidamento e fiducia autentici. Oggi, il suo Io essi può cominciare a processarli e differenziarli, apprendendo a riconoscere quanto sia favorevole o dannoso al suo benessere.

Inoltre, avendo vissuto, con buona probabilità, una svalorizzazione della propria sfera narcisistica, deve aver stimato poco o nulla i suoi diritti e le sue necessità di riconoscimento personali, proiettando tali contenuti su altri soggetti. Questi, dal canto loro – molti, forse, neppure in mala fede -, hanno facilmente percepito di poter disporre della sua arrendevole disponibilità.

In definitiva, mi sento di affermare che, qualora sia condotto fino in fondo, il percorso al quale lei sembra avviata potrà consentirle di sperimentare un nuovo senso di piacere, fermezza, solidità e adeguata fiducia nei confronti del mondo e di sé stessa, lasciando assai più ampio margine alla sua libertà di scelta e alla traduzione in atto del potenziale della sua personalità.

 

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