LE OPINIONI

IL COMMENTO I giovani isolani e “isolati”

Anche se sono trascorsi diversi giorni dagli scritti degli esami di maturità, è il caso di ritornare sul tema assegnato per la maturità classica, maggiormente gettonato dagli studenti (lo hanno scelto 536 mila ragazzi): “Tutto intorno a noi, sembra segnato dall’attesa, la gestazione, l’adolescenza, l’età adulta. C’è un tempo per ogni cosa, e non è mai un tempo immediato”. Tale traccia è ispirata ad un articolo dello scrittore e critico letterario Marco Belpoliti, dal titolo: “L’elogio dell’attesa ai tempi di wattsApp”. Senonché , come è detto nell’articolo, la tecnologia è intervenuta a perturbare e annullare le pause. Tutto diventa immediato per l’esigenza di una forte competizione sociale. Bisogna battere sul tempo gli altri per poter “apparire” prima e più di loro. Ha detto lo psichiatra Paolo Crepet che l’attesa, insieme all’idea di “desiderio” sono concetti relativamente moderni. Se si desidera qualcosa, l’attesa serve a rafforzare il desiderio di raggiungere l’obiettivo nel tempo che occorre. Oggi, invece, vogliamo tutto e subito e perciò cala il desiderio, non c’è tempo per desiderare qualcosa. Credo che questa riflessione possa stare, a buon diritto, al centro dell’attenzione del prossimo Festival della Filosofia di Raffaele Mirelli, il cui tema prescelto è, appunto, il Desiderio. Ma oltre al citato articolo di Belpoliti, vorrei rendere conto di altri interessanti articoli apparsi, in questi giorni, sulla stampa nazionale. Il primo è a firma dello psicanalista e saggista Massimo Recalcati, dal titolo: “I volti del disagio giovanile”.

Recalcati individua due costanti nell’attuale disagio giovanile, la prima è una spinta a godere senza limiti, che definisce “festinazione permanente”, nella quale prevale l’apatia, l’assenza di responsabilità, l’abuso di alcool e sostanze, il consumo compulsivo. La seconda costante è la tendenza nichilista a sottrarsi alla vita, a ripiegarsi su se stessi. Di fronte a questo doppio disagio, la risposta più frequente è: “ ritorniamo a usare il bastone oppure “Noi non siamo in grado di capire e risolvere il disagio giovanile, ci vogliono gli psicologi”. Non che questi sistemi, l’uno antico, l’altro moderno, non abbiano una loro validità. Ma la risposta più efficace e radicale è quella di avere fiducia nelle giovani generazioni; è quella di fare noi adulti un passo di lato per lasciare che i giovani facciano il loro cammino. Più che il bastone, vale l’esempio. Limitiamoci a mostrare loro, con il nostro comportamento, un modo virtuoso di vivere, con l’attaccamento alla vita, con la solidarietà umana, con la forza della parola. C’è una bellissima intervista di Walter Veltroni a Roberto Vecchioni, in occasione dei suoi 80 anni, nella quale Vecchioni esalta il valore della parola: “L’anima non è un monolite, ha bisogno di tante sfumature per essere all’altezza delle persone che incontri. Ogni parola racconta un’intenzione”. Non possiamo sbagliare parola; una e una sola è quella adatta alla circostanza. E quando il linguaggio si impoverisce, allora si diventa incapaci di alimentare l’anima. E oggi registriamo, per responsabilità dello “sviluppo” tecnologico (che non equivale a “progresso”) la desertificazione del vocabolario. Sempre nell’intervista a Vecchioni, c’è un passaggio bellissimo, nel quale citando Eschilo, secondo il quale s’impara soffrendo, Vecchioni parla del figlio Arrigo, bipolare, morto prematuramente. Racconta di una folle corsa in auto, con Arrigo alla guida, in un vitalistico stop and go, cercando di farla franca nell’evitare la multa da autovelox. Alla fine della corsa, Arrigo, come tanti giovani e tante persone, s’illude di avere fregato tutti e, invece, uno degli autovelox lo aveva colto e multato. E così è la vita: corri, corri e poi arriva l’imprevisto di un autovelox che decreta la tua sconfitta e la tua fine. E come si fa ad andare avanti, quando c’è l’imprevisto? Il grecista Vecchioni cita Prometeo che “tolse agli uomini la paura della morte, immettendo nei loro cuori speranze cieche”. Non guardiamo indietro, guardiamo avanti, con speranza ed ammirazione per tutto il bello dell’Universo che ci circonda. Un altro articolo interessante lo ha scritto Goffredo Fofi, critico cinematografico, letterario e teatrale: “Giovani lasciati. Serve un’esame di coscienza dei vecchi”. Fofi riferisce i risultati dell’indagine statistica ”Rapporto giovani 2023” a cura dell’Istituto Tomiolo. In esso si evidenzia tutta la disattenzione di governanti, famiglie, istituzioni formative, verso i giovani. Cita Ignazio Silone che già negli anni ’50 prefigurava l’avvento di un “nichilismo di massa”, nel quale quasi nessuno più si pone il quesito “Dove stiamo andando?” e ci lasciamo trasportare dal fluire spontaneo degli eventi.

Roberto Vecchioni a Ischia

E infine cito l’articolo “Seneca nell’era dei followers” di Mariella Marchetti, docente di italiano e latino che, paradossalmente, non si sofferma sulle tracce dei temi di italiano, per analizzare le tendenze dei giovani, ma si sofferma sulla traduzione della versione di latino, all’esame di maturità classica. Il titolo della versione è: “Chi è saggio non segue il volgo”. Ed è tratta dalle Lettere a Lucilio di Seneca. Queste – scrive la professoressa – sono apprezzate per la straordinaria immediatezza e per il riscontro efficace con la realtà dei nostri giorni, che ogni studente riesce a recepire positivamente. Ecco perché, a buon diritto, le Lettere a Lucilio vengono annoverate come il vero best seller dei classici latini. Il filosofo, in realtà ,da duemila anni a questa parte, non ha mai smesso di parlare ai giovani e di essere un punto di riferimento…” Nello specifico del brano proposto per la traduzione, Seneca pone una questione attualissima anche oggi: la tendenza all’ostentazione, la ricerca spasmodica del consenso. Il desiderio di avere “spectatores”, gli odierni followers. Conclude Seneca che possiamo rimediare a questo illusorio “ apparire”, ritirandoci in noi stessi, per recuperare la nostra interiorità. Le parole latine da respingere sono “ ambito, luxuria, impotentia”, ovvero l’ambizione, la dissolutezza e la sfrenatezza, una trilogia di terribili vizi. E a Ischia? Nella nostra isola? I giovani non sono dissimili da quelli del Continente. Stesse ansie, stesse incertezze, stessi stilemi di vita. Una volta avremmo potuto sperare nell’insularità che, in qualche modo, separa dalla terraferma (e, per altri versi, la unisce). Una volta l’isola era più refrattaria ai fenomeni sociali che (nel bene e nel male) si venivano affermando sulla terraferma e arrivavano all’isola, se arrivavano, comunque in ritardo, attutiti, come l’onda che si depotenzia man mano che si avvicina alla riva, Oggi prevale, per restare alla metafora marina, la corrente di risacca ( le tendenze che arrivano dalla terraferma s’infrangono sull’isola e ritornano indietro, in maniera rovinosa e vorticosa, creando la corrente di risacca) e tutto ciò grazie, o per colpa, dell’istantaneità e globalità del vivere sociale.

Paolo Crepet

E poi c’è un altro preoccupante fenomeno, che Ischia condivide con tutto il Mezzogiorno: il problema della forte emigrazione giovanile dei cervelli. I migliori se ne vanno, al centro nord Italia o in Europa o in altri Continenti. E, di conseguenza, si abbassa il livello qualitativo della classe dirigente isolana (pubblica e privata). Lanciamo un salvagente ai giovani, diamogli spazio, creiamo condizioni affinché restino o almeno ritornino dopo esperienze fatte altrove, affinché si salvino dalla corrente di risacca!

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