LE OPINIONI

IL COMMENTO La vita al di fuori di una bottega di paese

DI ANNA DI MEGLIO COPERTINO

Una signora di una certa età compare all’ingresso, ricolmo di libri e adorno di oggetti artistici, di un piccolo salone di parrucchiere, accompagnata sotto braccio da un’altra più giovane. La sua sagoma si delinea nella luce piena del mattino di un Maggio anomalo, come ormai quasi tutto negli ultimi anni, protervamente caldo, a pretendere e imporre un’estate non ufficializzata e che non avrebbe diritto di essere. La donna è immediatamente accolta dal titolare dell’attività col consueto brio, e a me, che siedo in altra poltroncina, vien fatto subito di notare come tale spumeggiante approccio contrasti col fare incerto e spento della nuova arrivata. Ella parla infatti di un periodo difficile appena superato… L’uomo minimizza, incoraggia, ironizza, mentre si muove in modo lesto e competente intorno a lei. Disegna consigli veloci, propone prospettive di vita, si spende in paradossi scherzosi e, nel contempo, fornisce concrete indicazioni di gestione del quotidiano. Vola, cerca una spazzola, poi un’altra, che gli paia più appropriata, si ferma rispettoso, mentre la cliente parla al cellulare, completa la sua opera con effetti immediati di grande soddisfazione: i capelli, brillanti, compatti, morbidi, incorniciano il volto in curve sinuose. La signora telefona alla sua accompagnatrice affinché venga a prenderla. L’altra arriva subito, poiché era poco distante. Guarda compiaciuta la trasformazione: osservo anch’io stupita. Non è la stessa donna entrata poc’anzi quella che ora si appresta ad andar via. Gli occhi le brillano, la voce è sicura e disinvolta, il fare è quasi civettuolo. Quanto possa incidere su uno stato d’animo e, di conseguenza, sul benessere fisico, un momento di coccole per se stessi, un insieme di svago, di distrazione, di relax e di piacere per un piccolo miglioramento estetico, viene sufficientemente considerato e tenuto in conto? Un acconciatore di capelli può estendersi ad acconciatore di umori? Quanto siamo disposti a pagare in onorario a professionisti della psiche, senza fermarci a riflettere sui danni inveterati che ormai stress, maleducazione, mancato rispetto delle regole, decadenza dello spirito di solidarietà infliggono a tutti noi in un perverso, malefico e venefico abbraccio reciproco?

Siamo in grado, ad esempio, di leggere la dinamica sottesa a questi ultimi tempi, quelli della pandemia e ora della guerra, quelli dello sparigliamento delle carte in tavola, quelli della eliminazione rapidissima dei pochi standard che sembravamo riconoscere come tali, scioccamente ciechi in una società in cui il cambiamento è l’unica vera norma riconosciuta, quelli del timore dilagante, poi dell’apparente desiderio di fratellanza, poi del sospetto e della spaccatura violenta in bande opposte ed estreme, senza spazi sufficienti per la comprensione?

Abbiamo avuto fame di notizie, di spiegazioni, di speranza nella scienza, braccati alle spalle dall’angoscia; abbiamo avuto bisogno di risposte dai media, dalla medicina, dalla ricerca, dalla politica e, scavando tra il fragore, le fake, le imposizioni, abbiamo visto emergere a tinte forti tutte le sagome dei problemi mai affrontati: giornalisti, prezzolati e inattendibili, per lo più trasformatisi in opinionisti e star dello spettacolo, dopo aver abbandonato il ruolo di meri informatori; sistema sanitario, dalla medicina di base a quella ospedaliera, sottodimensionato, spaccato fra poli di eccellenza e inferni di abbandono, impotenza strutturale o incompetenza; ricerca, schiacciata da macroaziende in grado di paralizzare e accaparrarsi i mercati, imponendo, a proprio piacimento, procedure e prodotti; politica, assente, rappresentata da individui autoreferenziali, spesso privi di spessore e di qualsivoglia progettualità. E, sul fondo, una società in cui istruzione, apparentemente diffusa, informazione, apparentemente abbondante, diritti democratici, apparentemente riconosciuti, tecnologia, apparentemente alla portata di tutti, negano costantemente nei fatti il proprio status dichiarato, come in spot pubblicitari stucchevolmente ingannevoli.

La globalizzazione ha travolto princìpi; le ragioni economiche e finanziarie, già da sempre dominanti a delineare e condizionare gli scenari interni ed esterni agli stati nazionali, hanno conquistato fisicità sempre più evidente nel progressivo impallidire delle ideologie e degli autentici leader politici. Tali spietate strutture, sempre più stringenti, dai livelli infimi delle amministrazioni locali, sino a quelli, più astrusi alle masse, delle caste finanziarie, sono diventate le vere artefici della educazione, erodendo incessantemente e soppiantando sistematicamente, peggio ancora, snaturando, famiglia, scuola, chiesa, partiti, creando impotenza civica, mancanza di capacità partecipative e propositive, cinismo, arrivismo, corruzione, talmente diffusa questa da non potersi nemmeno più distinguere da onestà e rispetto, confinati a discorsi retorici o a rimpianti di anziani. Le proteste di massa: ridotte di numero, e strumentalizzate. Gli scandali: talmente quotidiani e fagocitati dai social da divenire mero spettacolo. L’ingiustizia sociale: così diffusa da generare assuefazione. In questo scenario, che sembrerebbe apocalittico ed eccessivamente pessimistico, se non fosse percepito come squallida e ordinaria follia, si continuano a celebrare morti, santi, festività, ricorrenze, a issare bandiere, più inconsistenti dell’aria che le smuove.

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Ciò che resta è qualche scampolo di coscienza e di solidarietà, iniziative di volontariato o di aziende e professionisti “virtuosi”, qualche individuo, che sente di non temere i ricatti del quotidiano e di non esser disposto a far buon viso a cattivo gioco … Sufficiente per dar dignità alla esistenza di taluni. Troppo poco per il cammino della civiltà. Troppo poco per rappresentare un habitat rassicurante al di fuori della bottega di un piccolo parrucchiere di paese …

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