LE OPINIONI

IL COMMENTO Ma davvero serve filosofare?

Entriamo nella bottega del giovane e creativo artista Michele, situata a Procida nella splendida cornice peripatetica della Chiaiolella e che, insieme alla Corricella e Marina Grande, fa parte degli stupefacenti ingressi dal mare nell’isola micaelica. Ecco che ci viene incontro e pone alla nostra attenzione un’incisione, sulla quale si trova scritto il motto “Primus facere, deinde philosophare”, cioè “Prima fare, poi filosofare”. Dopo un momento di sguardi silenziosi, iniziamo a colloquiare sul postulato. Gradualmente conveniamo che, espressi con tale modalità conflittuale, c’è il rischio fondato, per il comportamento e l’agire dell’uomo, che “fare” e “filosofare” diventino inutili e dannose sterilità. Il “fare”, sotto una farraginosa impulsività senza testa né coda, può condurre a catastrofiche conseguenze. Il “filosofare”, chiuso nelle sue elucubrazioni, offre lo spazio all’affermazione, piena di scherno, che la filosofia, con la quale o senza la quale si rimane tale e quale. Per rendere proficue entrambi, non ci deve essere un “prima” e un “dopo” ma la consapevolezza di camminare insieme in un rapporto armonico, creativo e produttivo. La sensazione di sapere a prescindere è connaturata all’esperienza umana. Per esempio niente risulta più conoscibile della nostra persona, delle altre, della casa, della polis in cui si vive, del mare, del sole, della luna, delle stelle e di tante altre cose tanto da acquisire certezze assolute che conducono a prendersi gioco di chi vuole dubitare.

Entra in campo la filosofia, con il proprio interrogarsi e i perché ci si sente autorizzati a possedere alcune certezze. E qui la riflessione ci conduce a percepire che tutte le cose in cui crediamo, fermamente, provengono da esperienze, pensieri e sensazioni che abitano nella nostra “testa” sulle quali abbiamo posto totale affidamento. Ma continuando a scavare dentro, emerge un problema con un enorme interrogativo: quale garanzia offre il contenuto acquisito nella nostra mente per accedere al mondo esterno, anche, a quello che ci appare più familiare?

Impattando con la “tabula rasa” di leibniziana memoria, sull’esperienza quotidiana, sperimentiamo la nostra ignoranza rispetto alla cosa che riteniamo di sapere, di essere certi di conoscere. Tanto da trasformarsi in un universo, radicalmente, nuovo che è necessario esplorare per la prima volta. Con quali modalità? Con lo stupore, meraviglia, sapere di ignorare, di non sapere, punti cardinali su cui si fonda la nascita della filosofia, la quale non è una scienza, una dottrina ma una finestra aperta che stimola a guardare e interrogare il mondo e sé stessi. Ciò significa che non si apprende la filosofia ma ci si educa a filosofare. Perché essa è amore della sapienza e della saggezza, è una visione che viaggia dentro un orientamento ideale, in un permanente divenire. Usando una metafora platonica, il filosofo non è altro che “un amante che non ha e desidera”. Seguendo la sublime raffigurazione del volo micaelico, si può dire che il “filosofare” serve al “fare” e all’“agire” umano come un compagno di viaggio che ne modula le intemperanze, le virulenze, e l’orienta versa la sagacia, la sobrietà, la tolleranza, il solidale destino comune. E la società contemporanea, preda del Disumanesimo crudele, ne ha urgente bisogno.

* FILOSOFO

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