LE OPINIONI

IL COMMENTO Figli di chi? Tra passato, futuro e presente

DI ANNA DI MEGLIO COPERTINO

Per dirla banalmente, una società civile guarda con speranza ai giovani e con rispetto agli anziani. Dai primi si aspetta progresso, miglioramento, dagli ultimi esperienza. I meccanismi sembrerebbero scontati, ma questa appunto è la caratteristica della banalità: un fondo scontato di verità e una mancanza fondamentale di distinguo. Circa l’affermazione precedente, ad esempio, sempre banalmente, nella distinzione tra futuro e passato, manca il presente. Ora il passato, tutto, da una manciata di attimi a millenni o milioni o miliardi di anni prima (di cosa?) è inalterabile, benché assai variamente interpretabile e gestibile, il futuro è prospettiva non verificatasi, il presente, definibile forse col criterio della cronaca, in uno spazio temporale limitato, tale da giustificarne a mala pena l’appellativo equivoco, cronologicamente in continuo farsi e disfarsi, è sempre assai problematico.

Comunque, generalizzando, tutti convengono che i giovani rappresentano il futuro, quindi su di essi bisogna investire. Ovvio. Soffermiamoci a considerare semplicemente, in termini di “attualità”, l’aspetto educativo, processo che presuppone un prendersi cura di individui giovani da parte di altri più maturi, ma che al contempo vede incidere sulla crescita tutta una immensa serie di altri fattori, anche casuali, come è proprio della vita nella sua complessità, e non è detto che l’apporto rappresentato da questi non programmati impulsi risulti meno efficace di quelli voluti, approntati, auspicati, anche per tale categoria con strumenti e investimenti per lo più migliorabili. Nel continuo fluire magmatico delle esperienze sappiamo bene che i giovani non incarneranno la migliore risposta per il futuro, senza che a tal fine si attuino forme di protezione e riscatto da un humus inquinato o inaridito. La miglior tutela deve garantire acquisizione e sviluppo di consapevolezza, e deputate a ciò sono le istituzioni, soprattutto famiglia e scuola. E qui andrebbe fatta una valutazione: esistono percorsi professionali per assicurare competenze lavorative in ciascun settore. Questi non sono sempre o completamente garanzia, di per sé, di validità, tuttavia senza dubbio se ne riconosce in generale la necessità, a salvaguardia dei risultati che in ogni campo si vogliano ottenere.

Per essere genitori, elemento base della cellula famiglia, non servono, invece, di norma, altro che l’accoppiamento e organi riproduttivi adeguati. Per l’accoppiamento poi non è richiesto nemmeno un sentimento idealizzato come l’amore, basta una mera pulsione animale. Cosa garantirebbe dunque effettivamente ai nati affetto, serenità, equilibrio, riferimenti valoriali? L’unica risposta dovrebbe consistere nella diffusione capillare di princìpi etici comuni, raggiunti e assimilati nel tempo grazie a progressi civili, procedenti almeno di pari passo con quelli tecnico-scientifici. Sembra un serpente che si morda la coda, ma è così solo in parte, come per tutte le complesse questioni in termini di umanità. La tecnologia non è in sé etica: può essere utilizzata per fini sani come per obiettivi truffaldini o violenti. Ma di certo progredisce velocemente, anche grazie alla spinta esercitata dalla “concretezza” dei traguardi da raggiungere e degli ostacoli, altrettanto “concreti”, da superare; avanza in modo inarrestabile, e si investe, moltissimo, ma sempre, parrebbe, non abbastanza, nella ricerca tecnica e scientifica. La crescita etica invece è affidata un po’ a tutti, in base al sentire e alle opportunità di ciascun individuo, ma soprattutto, come si diceva, alle istituzioni, con funzione di esempio, di guida, di controllo. Solo in casi gravi, tuttavia, e accertati, si interviene a indagare o sostenere o correggere in ambito familiare. Ad esempio, la diffusione dei social, in mano a bambini, ma anche ai fragili, agli approfittatori, a semplici maldicenti, diventa un’arma, capace di offendere, uccidere, soprattutto di diffondere, assieme a servizi utili, anche tanta melma. Le indagini e i sondaggi dimostrano invece che tale problematica non incontra in famiglia argine sufficiente. E nemmeno nelle scuole, nonostante le forme di sensibilizzazione in proposito sempre più presenti nella progettazione didattica.

Bisogna di certo ripensare la scuola (e, per carità, non a suon di interventi dispoticamente imposti dall’alto, e non condivisi dai veri protagonisti!), ma soprattutto e finalmente anche la famiglia. Niente a che vedere con lo slogan Dio, Patria e Famiglia, apparentemente nobile, ma in realtà discriminatorio. Le scelte religiose son squisitamente personali, sacra per tutti dovrebbe essere invece la fede nel rispetto, nell’equità e nella solidarietà; patria sono le radici, il panorama comune, i ricordi collettivi: in un modo o nell’altro vi si è legati, ma farne una bandiera può simboleggiare chiusura e discriminante verso l’altro; la famiglia dovrebbe essere il nido di affetti che accoglie, ma non è detto che, per garantir ciò, debba rispondere a cliché di tipo più o meno tradizionali, dato che il passato ci testimonia ogni tipo di violenza e di abusi alberganti anche in questa consolidata struttura. In ogni caso gli anni della formazione sono fondamentali e non possono essere affidati al caso, in base a estemporanei processi di fecondazione e aggregazione, su input emotivi o più o meno responsabili. Ovviamente si è ben lungi, in questa riflessione, anche solo dall’ ipotizzare modalità di dittatoriale invasione della privacy, mentre sembrerebbe opportuno e irrimandabile progettare iniziative a carattere formativo, offerte e destinate non solo ai ragazzi, ma anche agli adulti che debbano prendersene cura. Opportunità gratuite, programmate, pianificate, magari per step progressivi una volta individuate specifiche problematiche o necessità. Incontri con esperti, psicologi, sociologi, come pure, più in generale, di tipo culturale esperienziale. Sedi potrebbero essere le scuole stesse, dall’infanzia in su, ma anche centri diversi. Conferenze, lezioni, dibattiti, momenti di ascolto, di scambio di esperienze, di confronto. Occasioni di crescita democratica e civile, capaci non solo di tutelare il più possibile i giovani, ma anche di abituare, questi e gli adulti, alla partecipazione attiva alla vita sociale, superando quel muro invisibile che troppo spesso separa la dimensione individuale da quella collettiva, senza tradire la sensibilità e la privacy, e tuttavia consentendo di superare solitudine, improvvisazione, impotenza, ignoranza, scarsezza di mezzi, chiusura, timore, fragilità … Tali processi dovrebbero essere costanti e quanto più vicini possibile, dal punto di vista spaziale, ai nuclei di residenza, come un po’ avviene per le scuole. Con scansioni e appuntamenti non drasticamente imposti, ma in maniera opportuna caldeggiati e con modalità tali da renderli percepiti come necessari, collegati anche a momenti nodali di vita comune (ad esempio, festività, ricorrenze, eventi di rilevanza pubblica, iniziative comuni). A scopo relazionale sarebbe importante favorire incontri in presenza, assicurando tuttavia anche registrazioni, video, connessioni virtuali …

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La famiglia cambia, come la società intera; qualunque sia il tetto, il focolare, la congerie umana, il genere, l’estrazione, i rapporti naturali o adottivi o di tutoring, le origini etniche, culturali, nazionali: famiglia è il referente per una creatura in formazione ed entrambe vanno, la prima e la seconda, affiancate, supportate, condotte al centro della riflessione, dell’impegno, della programmazione di un Paese civile.

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