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Morì per un tumore alla bocca, il pm chiede il processo

Fissata a marzo l’udienza preliminare che deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero nei confronti del medico che impiantò alcune protesi dentarie a Pasquale Capuano, scomparso oltre un anno fa per un carcinoma orale

Il Pubblico Ministero del Tribunale di Napoli, dottor Canale, ha chiesto il rinvio a giudizio per il dottor Giovanni Marotta. L’odontoiatra era stato oggetto nell’ottobre del 2019 di una denuncia-querela da parte di un suo paziente, il signor Pasquale Capuano, che morì poche settimane dopo a causa di un carcinoma orale, epilogo di vari anni segnati da diversi interventi chirurgici e dolorose terapie. Il pm già nel dicembre 2019 ascoltò la moglie del signor Capuano, per poi acquisire la cartella clinica e la documentazione sanitaria relativa allo stato di salute del paziente deceduto. A ciò si aggiunsero i risultati dell’esame autoptico con l’annessa consulenza tecnica da parte dei dottori Giugliano, Pucci e Buonomo.

Al professionista è imputato il reato previsto dagli articoli 40 cpv, 589 (omicidio colposo) in relazione all’articolo 590 sexies (responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) del codice penale. Nella richiesta di rinvio a giudizio si legge che l’imputazione è motivata dal fatto che «nell’esercizio di una professione sanitaria, ed in particolare in qualità di medico odontoiatra del signor Capuano dall’anno 2010 al luglio 2014, per colpa dovuta a negligenza ed imprudenza, nonché ad inosservanza delle regole elaborate dalla scienza medica, delle buone pratiche clinico assistenziali e delle linee guida generalmente riconosciute dalla comunità scientifica, consistita: – nell’aver sottovalutato nel corso delle reiterate visite per l’esecuzione ed il controllo di un trattamento implanto-protesico, per altro eseguito con materiali di provenienza non certificata e comunque con materiali composti da lega di titanio, vanadio e alluminio con contaminazione di altri metalli e sostanze, la lesione al cavo orale che il paziente Capuano Pasquale presentava, formulando la diagnosi di “lesione mucosa del cavo orale da trauma ripetuto” e prescrivendo unicamente una terapia antibiotica orale con macrolide (Spiramicina) ed un dentifricio per il trattamento degli stati infiammatori gengivali (Paradontax); – nell’aver omesso di indirizzare il paziente verso l’esecuzione di accertamenti specialistici e strumentali che avrebbero evidenziato l’esistenza di una malattia oncologica (carcinoma epidermide cheratinizzante moderatamente e scarsamente differenziato), ritardando l’esatta diagnosi di lesione carcinomatosa ed il ricorso a terapie atte ad incidere positivamente sulla sopravvivenza del paziente e favorendo la diffusione della cancerizzazione endorale, cagionava la morte di Capuano Pasquale che avveniva in epoca significativamente anteriore e con maggiore intensità lesiva».

Il Sostituto Procuratore Mario Canale contesta il reato previsto dagli articoli 40 cpv, 589 (omicidio colposo) in relazione all’articolo 590 sexies (responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) del codice penale

L’udienza preliminare nella quale si dovrà decidere sulla richiesta del pubblico ministero è stata fissata a marzo. La pubblica accusa nei mesi trascorsi dalla denuncia ha anche acquisito gli atti del parallelo giudizio civile incardinato presso la sezione distaccata di Ischia dai familiari del defunto, che chiedono il risarcimento dei danni, oltre alla consulenza tecnica a cura dell’ingegner Coccia eseguita sulle protesi impiantate al signor Capuano, con le risultanze a cui fa cenno il pubblico ministero nella citata richiesta di rinvio a giudizio.

Secondo la pubblica accusa l’indagato, durante l’apposizione della protesi e i successivi controlli, avrebbe sottovalutato una lesione orale prescrivendo solo una terapia antibiotica, omettendo di indirizzare il paziente verso accertamenti che avrebbero evidenziato l’esistenza del carcinoma, ritardando l’esatta diagnosi ed il ricorso a cure tempestive

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Il legale di fiducia della famiglia del paziente, avvocato Francesco Cellammare, cerca di ottenere il riconoscimento del nesso di causalità tra l’impianto delle protesi dentarie, e dunque dei perni utilizzati, e l’insorgere del carcinoma. All’ospedale Pascale, Capuano fu costretto a subire un intervento di asportazione di una parte della mandibola, circostanza che lo obbligò ad alimentarsi in forma liquida da quel momento. Dal 2014 al 2019 gli ultimi anni del signor Capuano si sono trasformati in un calvario, con quattro interventi chirurgici. Secondo la prospettazione dell’avvocato Cellammare, se la patologia tumorale fosse stata diagnosticata in tempo, molto probabilmente il carcinoma sarebbe stato facilmente asportabile, e senza le conseguenze irreversibili che nei fatti si sono verificate vista la tardiva diagnosi, quando Capuano si recò da altro specialista.

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Sotto la lente del p.m. anche i materiali delle protesi, che secondo il consulente tecnico d’ufficio sarebbero stati costituiti «da materiali di provenienza non certificata e comunque con materiali composti da lega di titanio, vanadio e alluminio con contaminazione di altri metalli e sostanze»

Dal novembre 2013 l’imprenditore si recò dal medico per una visita diretta a risolvere una fastidiosa lesione del cavo orale, formatasi dopo l’impianto dei perni e delle corone. Per la lesione riscontrata, a Capuano venne prescritta una terapia antibiotica ed antinfiammatoria, riconducendo la lesione ad un presunto “processo flogistico o da infezione, sostenuto da microtraumi locali”, senza consigliare esami diagnostici e visita specialistica allo scopo di scongiurare la formazione di una eventuale neoplasia. È questo il periodo-chiave che, secondo la difesa di Capuano, avrebbe provocato l’irreversibilità del male. Fu appunto soltanto nell’autunno 2014 che il paziente, continuando ad avvertire fastidi a causa della ferita che non accennava a migliorare con la terapia inutilmente prescritta, si decise a rivolgersi a un altro specialista, che immediatamente gli suggerì il ricovero urgente presso un centro specializzato ai fini dell’asportazione della citata lesione, riconosciuta a vista, sin dalla prima visita, come tumore maligno.

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