CULTURA & SOCIETA'

“Ncoppa Santu Nicola e’ nna bellezza oine’ nda cimma ‘e sta muntagna so cose a stravede’

5 gennaio 2020 –Rinnovata la tradizione della Giornata Natalizia al monte Epomeo . Una Festa di popolo fortemente voluta da Franco Iacono e Cesare Mattera

Una giornata strepitosa, all’insegna di un sole primaverile e di un concorso eccezionale di “Fedeli”, molto legati a san Nicola e alla sua montagna, all’eremo dei cenobiti di Giuseppe d’Arghout e al Ristorante Fiore che vive quasi tutto l’anno appollaiato come un’aquila reale sul cucuzzolo dell’Epomeo, ben protetto dalla grotta tufacea che scende a strapiombo nelle gole della Falanga.

Sono due gli appuntamenti di rilievo che ogni anno animano le alture del monte più alto dell’isola d’Ischia (789 mt.) : quello del sei dicembre, festività del santo di Bari e quello introdotto da pochi anni, alla vigilia della Befana, per solennizzare il Bambinello nella chiesetta rupestre con una Messa piana, una breve processione lungo gli anfratti della montagna e una colazione con pane casareccio, salumi paesani e quel vinello traditore di Cesare Mattera che, quando ci si mette, ti manda difilato in orbita, per nulla spaventato dal più blasonato “Pietratorcia” di Franco Iacono.

Sono questi gli ingredienti necessari per riconciliarsi con la vita di tutti i giorni, tanto affannosa, quanto “insensata”; ritmata da una corsa contro il tempo che, mostruoso tiranno dell’uomo, ne governa e ne scandisce tutte le tappe fondamentali dell’esistenza! Bene ha fatto il sacerdote officiante, don Pasquale Mattera, a ricordare che su queste alture, lontane dal frenetico e vorticoso fluire dell’attività “cittadina”, ci si immerge nella dimensione del pensiero; cioè l’esercizio del pensare, come momento di riflessione e di astrazione dalle cose materiali per raggiungere un più alto grado di spiritualità.

I cenobiti settecenteschi dell’Epomeo furono i primi a trarre queste conclusioni e scegliere di conseguenza la vita ascetica e contemplativa del claustro alpestre. Scavarono le grotte per un sicuro abituro, costruirono il luogo consacrato per pregare e officiare, coltivarono le zolle per procurarsi il cibo; insomma, preferirono abbandonare le effimere lusinghe del mondo per immergersi “toto corde” (dicono nel latino curiale) nella silenziosa maestà della Natura e nei profondi silenzi della Terra e del Cielo, che qui, sembrano incontrarsi, incontaminati e puri, alla faccia del buco d’ozono, delle piogge acide, delle radiazioni ionizzanti e di altre piacevolezze che circondano il nostro Pianeta, a quanto asseriscono i più quotati “Verdi” disponibili sulla piazza!

L’incontro con gli impavidi ascensionisti –per buona parte atletici e allenati camminatori- ma anche anziani, signore con bambini al seguito e cani da “passeggio” in quantità, che arrancano lungo l’impervio sentiero e nella canaletta di tufo scavata dalle acque torrenziali, meravigliati alquanto per l’ insolito percorso mattutino, non è avvenuto –come di consueto- nella piazza di Fontana, ma alla spicciolata, fra l’abitato di Paraviglia e “abbascia ‘a parrocchia” (giù alla chiesa); pochi camminatori pedestri, perché gli altri –impenitenti automobilisti- sfrecciano veloci lungo la salita, con il piglio di chi vorrebbe raggiungere la vetta senza fare neanche un passo a piedi!

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E’ dura, bisogna ammetterlo, affrontare di petto l’ampio sentiero iniziale appena appena sistemato con un manto di cemento poco adatto all’ambiente, ma, si sa, da queste parti ognuno si alza al mattino e comanda. Infine raggiungiamo la radura di castagni, dove uno chalet ricavato in un’ansa del boschetto attende pazientemente i turisti che ascendono al monte in tutti i mesi dell’anno. Riconosco da lontano il giovanotto che ha dato vita al bazar – souvenirs- bar- oggetti di artigianato- e mille altri aggeggi colorati, fra cui radici di alberi e tronchi dalle forme bizzarre; quasi sculture naturali che Agostino, il nostro anfitrione, colleziona ed espone all’’ingresso del suo locale “Miscillo”, preso in prestito dal suo casato!

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Qui ogni anfratto, ogni canalone, ogni viuzza ha una sua particolare denominazione che si perde nella notte dei tempi. Spesso non significa proprio niente, ma gli indigeni ne vanno ugualmente fieri e fanno a gara fra loro per rinverdirli con quella sapienza antica ce non si è ancora spenta nelle nuove generazioni. Agostino ci rende edotti: “Qui è la località “Ferreri”, mentre più giù, verso la tenuta d’Ambra (un magnifico vigneto con reimpianti recenti) il nome è “Corto dormi”. Quando poi si inizia la salita vera e propria, c’è la “Grotta di san Francesco” , dove i contadini si rifugiano nei giorni di pioggia. Più avanti c’è “La Fossa della Neve”; luogo ideale per conservare in una grossa buca la neve che –raramente- cade nel periodo invernale.

Lasciamo il nostro duca alle sue incombenze e affrontiamo la salita che si snoda fra i castagneti, i lecci, le querce e la bassa macchia tagliata di fresco per consentire ai nuovi arrivati una più agevole ascensione. Le sorprese questa mattina fortunata non mancano. Su di una piccola spianata che fiancheggia il viottolo, ecco apparire all’improvviso –miracolo dei miracoli- una pecora lanuginosa, che ci osserva con gli occhi indagatori, come a dire: ”Ma da dove spuntate, voialtri intrusi della montagna?” Arriva quasi subito il pastore, seguito da un piccolo gregge belante e da tre cani attivissimi nella vigilanza delle tredici pecorelle con l’argento vivo addosso, che si spostano in tutte le direzioni, indocili a qualsiasi richiamo del pecoraio. Raffaele è il “giovanotto” che ha voluto raccogliere l’eredità dell’ultimo pastore dell’Epomeo, quel Francesco Mattera di Kalimera, morto sotto i cento anni, con una vita vissuta interamente sulla sua montagna a pascolare pecore e capre, a mungere e tosare le sue creature e a “impastocchiare” formaggio e ricottelle nella sua bicocca unta e bisunta dal tempo.

Ce ne vuole di coraggio, di questi tempi, prendere stanza sull’Epomeo, allevare ovini, vigilare e vegliare sul bestiame, portarli al pascolo e incrementarne i capi con una attenta e paziente attività …demografica! Ma, come dice il detto popolare, “dove c’è gusto, non c’è perdenza!” Volete, a questo punto, che non ci siano altre sorprese? Non ci sono più muli sull’Epomeo. Qualche decina di anni fa occorreva scansarli lungo il percorso, per non beccarsi qualche calcio nello stomaco. Le povere bestie soffrivano le pene dell’inferno in quel massacrante lavoro di trasporto dei soliti ciucci a due gambe, che non esitavano a saltare sul basto pur di raggiungere comodi la vetta. Gli animali ce l’avevano a morte con gli…umani e quando si presentava l’occasione buona, regolavano i conti a suon di calci e pure qualche morso ben azzeccato. Ma oggi incontriamo, nientemenochè un gruppo di spericolati “Mountain-bikisti” che scendono a valle con le loro robuste bici incuranti dell’altrui incolumità. Ho dovuto faticare non poco per bloccarne qualcuno per …fotografarlo!

Si suda sotto il sole e molti tolgono il giaccone. Siamo in vista del becco d’aquila, la cima bucherellata e alveolata della cresta montuosa. La campanella chiama a raccolta gli alpinisti che hanno guadagnato per primi l’Epomeo . Fra tutti quel sorcio di montagna di Cesare Mattera, che ha già scalato, mattiniero, il baluardo dell’isola con le cibarie e il suo vino proveniente dai vigneti del Casale. Le solite donne volenterose e sempre “ntridice” (sempre indaffarate) si prodigano, all’interno dell’Eremo, per organizzare l’angolo della refezione. La chiesetta è ancora vuota. Tutto è ben apparecchiato: i due altari con fiori e luci sfavillanti, la statua del taumaturgo di recente restaurata, risplende nell’oro zecchino della sua veste vescovile completa di “infula” e bocce dorate. Una fisarmonica imita egregiamente l’armonium e la prima nenia natalizia propaga tutto intorno le note festose della Nascita Divina. Sul sagrato si accalcano i Fedeli : Ischitani, Italiani e Stranieri ben bene amalgamati nella comune conquista della chiesetta. Una rapida visita al Ristorante Fiore ricavato per metà nella grande cavità tufacea che guarda verso occidente, sospesa magicamente sulla parete vertiginosa dell’Epomeo. Papà e mamma Fiore hanno spiccato da anni il volo verso l’infinito (da quassù quasi a portata di mano!) mentre ci aspettano, con fede incrollabile e tenace determinazione, Teresa e Fiorella, che mandano avanti da un’eternità questo luogo d’incanto senza mollare nemmeno di un centimetro le sudate zolle! Brave. Fate sempre così e lottate il potere e la politica degenere!

Che profumino dalla vicina cucina e che odore di buon caffè. Le note della messa piana iniziano a diffondersi nel cielo radioso che sovrasta come una sfera di opale le colline ammantate di alberi sempreverdi. Dal versante sud-ovest , disegnati dalla mano portentosa della Natura si rincorrono i territori di Forio, Lacco Ameno e Casamicciola. Tre bracci portuali, i promontori di Punta Imperatore, di Capo Vico e il Tabor e una distesa collinare ad anfiteatro punteggiata dai villaggi e dai centri cittadini affacciati sul mare. Spettacolo meraviglioso che fece cantare i poeti, gli scrittori, i viaggiatori del Gran Tour e quanti ebbero, attraverso i secoli, la ventura di scoprire l’isola incantata.

La messa è iniziata da un pezzo e una voce d’eccezione, un buon baritono a quanto pare, intona gravemente la nenia natalizia degli antichi padri. E’ all’opera Franco Iacono – cultore di storia patria, melomane, esperto di musica sacra, lirica e folcloristica, nonché corista (famoso l’Alleluja della Corsa dell’Angelo, a Forio). Poi il “fervorino” di don Pasquale che richiama tutti sull’autentico significato cristiano della Natività ! La messa è finita, andate in pace. La corsa allo spuntino è d’obbligo. Cesare avverte sconsolato che “Non ce la faremo mai a dar da mangiare a codesta moltitudine imprevista”! Improbabile la “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, occorre guadagnare immediatamente i centri cittadini a velocità sostenuta, dopo aver salutato con un ultimo sguardo di gratitudine la chiesetta e il suo Protettore, meta ancora una volta del “Popolo Fidente”.

Arrivederci alla prossima. Torneremo a Pasqua, poi nel corso dell’estate, infine il 6 dicembre e il 5 gennaio 2021. La storia di san Nicola continua…..

Storia della chiesa di san Nicola all’Epomeo

Per molti secoli l’ Epomeo fu il regno incontrastato dei rapaci di alta quota, che nidificavano nelle fenditure tufacee della cresta montuosa. Presi di mira dai soliti buzzurri armati di doppiette, i falchi, le poiane, le aquile e altri esemplari (in seguito protetti) si allontanarono, cercando alture più sicure. Si stanziarono in seguito i boscaioli e gli agricoltori per attendere al taglio dei castagni e alle colture di grano saraceno, di mais, delle patate e di alberi fruttiferi, fra cui mele e pere. La montagna non era adatta per i vigneti, ma ad una certa quota furono impiantate le viti, i carrubi (oggi del tutto scomparsi) per sfamare gli animali da soma e l’olivo, pianta d’elezione, fino agli anni Cinquanta, per la produzione dell’olio.

L’ Epomeo viveva un’intesa attività montana e agricola grazie ai Fontanesi e ai Serraresi, abituati da lungo tempo a scalare il monte con i muli, particolarmente adatti ai lavori pesanti e alle lunghe ascensioni sui dirupi e le scoscese del monte. Intorno al secolo XVI una piccola comunità di monaci si raccolse in preghiera sull’Epomeo e iniziò a scavare la prima grotta per realizzare un Eremo. Accosto alla caverna, scavarono nel tufo una seconda grotta e fondarono la originaria cappellina che dedicarono a san Nicola. In seguito, accresciuti di numero, i monaci proseguirono a scavare nella viva pietra di tufo e crearono diverse cellette, un refettorio, un deposito per la legna, la cucina, la dispensa, un forno per il pane e una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Costruirono anche un rifugio per gli animali da cortile e per poche pecore e capre, indispensabili per la sopravvivenza della comunità.

Intorno alla prima metà del Settecento, si rifugiarono sull’Eremo il governatore austriaco di stanza sul Castello Aragonese, Giuseppe d’Arghout, sfuggito ad un agguato tesogli da alcuni disertori. Volle dedicare la sua esistenza, insieme ad altri dodici compagni d’arme, al culto di san Nicola per sciogliere un voto fatto nell’attimo in cui veniva fatto segno ad una micidiale scarica di fucileria.

D’Argouth era benestante e con il denaro accumulato nel corso della carriera militare acquistò tutti i terreni intorno alla chiesetta e dotò di una rendita annua il cenobio per poter sovvenire i compagni dopo la sua morte. E’ sepolto nei terranei della chiesetta rupestre insieme a diversi frati che nel corso dell’Ottocento tennero in vita il claustro.

Quando ebbero a cessare le…vocazioni dei “monaci di cerca” (l’ultimo fu il Bisjù di Forio), si accesero diverse cause fra il Comune di Serrara Fontana e la Diocesi di Ischia per rivendicare la proprietà dell’Eremo. Attualmente è il Comune ha detenere il bene. Con i fondi europei i locali furono restaurati per una destinazione culturale e turistica. Ma fino ad oggi alle buone intenzioni nono sono seguiti fatti concreti. L’ex Cenobio dei Frati, ottimamente conservato, attende un altro…Giuseppe d’Arghout per vivere di luce propria un altro improbabile secolo di preghiere e di meditazioni. Amen.

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