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Nessun mobbing, si chiude il caso Stanziola-Lombardi

di Marco Gaudini

BARANO – Sono passati ormai più di cinque anni da quando i due esponenti della Polizia Municipale di Barano Guido Lombardi e Antonio Nicola Stanziola, decisero di ricorrere contro il Comune di Barano, denunciando una serie di fatti e circostanze che facevano configurare secondo la loro tesi la fattispecie del mobbing.

LA VICENDA – I due appartenenti al Corpo di Polizia Municipale nel Comune montano, furono “relegati” in un ufficio sprovvisto di ogni attrezzatura atta a mettere in pratica la loro attività lavorativa, addirittura in un locale senza bagno e furono oggetto di numerose sanzioni disciplinari, “inflitte” dal Comandante Ottavio Di Meglio. Questa “condizione”, generò anche l’attenzione mediatica con l’intervento del programma televisivo d’inchiesta “LE IENE”, dal quale scaturirono anche delle conseguenze giudiziarie. Alla luce di questa situazione, Lombardi e Stanziola decisero di avanzare una causa contro il Comune di Barano, dinanzi al Giudice del Lavoro, con la quale impugnarono le sanzioni disciplinari e chiesero un corposo risarcimento danni per mobbing, di 500.000 euro.  Nelle premesse degli atti prodotti dai due Vigili Urbani, si legge che “la nomina del dott. Ottavio Di meglio a Comandante della Polizia Municipale ha “segnato un deciso cambiamento nei rapporti interpersonali e di servizio, una rottura brusca del sereno clima di reciproca stima fiducia, che, sin lì si apprezzava, sancendo, di fatto, il progressivo depauperamento di quel formidabile patrimonio umano di esperienze e professionalità che i rincorrenti (Stanziola e Lombardi) in maniera esemplare incarnavano”  e di aver subito una condotta “illegittima ed ingiusta, strumentale e vessatoria” del Comandante nonché un “uso distorto, arbitrario e personalistico dei poteri disciplinari”.

LE RICHIESTE AVANZATE DAI DUE VIGILI – Su tali premesse, ii due appartenenti al Corpo di Polizia Municipale, impugnarono una serie di sanzioni disciplinari conservative di tipo pecuniario sia sotto il profilo dell’illegittimità intrinseca delle stesse , chiedendone quindi l’annullamento, con conseguente obbligo del Comune di restituire gli importi trattenuti in busta paga (primi due punti delle conclusioni del ricorso) – sia quali manifestazioni della violazione degli obblighi gravanti sull’Amministrazione, parlando appunto di  mobbing, non da sole ma unitamente ad ordini di servizio parimenti impugnati, con la conseguente richiesta risarcitoria mediante pagamento della somma di euro 500.000 euro.

LA DECISIONE DEL GIUDICE DEL LAVORO – Il Tribunale di Napoli Sezione Lavoro, nella persona del Giudice dott.ssa Erminia Catapano, in funzione di giudice unico all’esito della camera di consiglio ha pronunciato la sentenza contestuale, con la quale ha rigettato le domande dei due vigili, ritenendole quindi infondate, e mentre per Lombardi, ha disposto la compensazione delle spese ed un parziale accoglimento del ricorso con l’annullamento del provvedimento con il quale si predisponeva la sanzione disciplinare della multa pari a n. 4 ore di retribuzione condannado il Comune di Barano a restituire gli importi a tale titolo trattenuti in busta paga, – in quanto quella tipologia di sanzione non poteva essere emessa come è avvenuto dal Comandante, ma dalla Commissione disciplinare – per Stanziola invece, vi è stato il rigetto totale di tutte le contestazioni mosse ed anche la condanna al pagamento delle spese giudiziarie ed altri oneri, per una somma complessiva di 9500 euro. Una vittoria, quindi, per il Comune di Barano, difeso in giudizio, dall’avvocato Ciriaco Rossetti, mentre i ricorrenti erano rappresentati dai legali avv.ti Maria Grazia Di Scala e Gioacchino Celotti.

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LA SENTENZA E LE CONTESTAZIONI DISCIPLINARI – Il Giudice del Lavoro, si è espresso quindi ritenendo infondate tutte le motivazioni addotte dai due ricorrenti contro le sanzioni disciplinari, specificando, punto per punto i motivi di tale infondatezza formale e sostanziale.  Ed inoltre si è espresso anche sulla famosa vicenda del “luogo di lavoro” ritenuto dai due appartenenti al Corpo, insalubre oltre che sprovvisto dei servizi igienici adeguati. Su questo punto, il Giudice è stato molto chiaro specificando che: «Sotto altro profilo, si consideri che il concetto di luogo di lavoro del vigile è molto diverso da quello riferibile a qualunque altro pubblico o privato lavoratore. Il luogo di lavoro per eccellenza è la strada, non i punti di appoggio utilizzati per lo svolgimento dei compiti proprio della polizia municipale. Non può dunque darsi una valutazione dei luoghi in cui ha lavorato e di cui denuncia l’insalubrità al pari di quella che si darebbe per altro lavoratore istituzionalmente deputato all’esecuzione di compiti d’ufficio e di concetto. Tanto è stato rilevato anche dalla giurisprudenza amministrativa: “La Polizia Municipale, che svolge lavoro sulla strada, ha in essa il suo un “luogo di lavoro”, essendo i vigili urbani sostanzialmente addetti alla fluidificazione del traffico, a verificare le conseguenze di incidenti stradali, ecc., con la conseguenza che le cabine protettive costituiscono punti di appoggio per scrivere, se necessario, verbali di contestazione o per ripararsi momentaneamente da condizioni metereologiche particolarmente avverse, così come ci si riparerebbe, ma in maniera meno soddisfacente, sotto una pensilina. In queste cabine gli addetti al traffico possono riporre i proprie effetti personali o, ancora, sostare nei brevi momenti di riposo. Niente dunque di più diverso dal “posti di lavoro” nei quali il dipendente svolge la propria attività lavorativa durante l’orario di servizio”. Perciò – ha affermato il Giudice del Lavoro, nella sua Sentenza – non possono trovare accoglimento le doglianze circa l’adibizione a compiti svolti in luoghi di lavoro insalubri e non uniti di servizi igienici adeguati. Peraltro, per ciò che concerne il Tenente Stanziola, il Giudice specifica che: “proprio per venire incontro alle richieste del ricorrente di poter usufruire senza difficoltà dei servizi igienici il Comandante del Corpo di Polizia Municipale dapprima spostò il ricorrente (Stanziola ndr) dal locale box in Maronti al locale già utilizzato dalla Croce Rossa munito anche di servizi; successivamente emise ordine di servizio che prevedeva che il ricorrente qualora dovesse rientrare in ufficio per le proprie esigenze fisiologiche venisse prelevato dal collega che normalmente lo accompagnava e lo andava a riprendere alla fine del servizio. Infatti era stata disposta tale misura dell’accompagnamento verosimilmente perché lo Stanziola aveva manifestato di non potersi recare nel luogo di servizio autonomamente non essendo munito di patente abilitante alla guida dei mezzi in dotazione alla polizia Municipale. Nessun demansionamento si rintraccia nei diversi ordini di servizio né nel senso dell’adibizione a mansioni inferiori né quale causa di sottoposizione ad inattività. L’effettività delle esigenze di servizio risultanti dai documenti appena richiamati smentisce in modo dirimente la tesi del ricorrente che dopo la revoca dell’incarico di responsabilità sia stato destinato a rimanere inoperoso» . Ma ad avvalorare ancor di più la tesi del  Tribunale, il Giudice specifica anche un aspetto molto importante, relativo agli atti del procedimento: “Va a questo punto rilevato che il precedente giudicante ha acquisito i verbali di escussione dei testi del giudizio n. 80597/2010: tali deposizioni si fondano su allegazioni irrilevanti ai fini del decidere a parere del giudice scrivente. Tuttavia, anche a volerne tenere conto, non bastano le mere valutazioni espresse dai testimoni perché si dimostri, contro l’evidenza documentale fin qui illustrata, che l’istante fosse tenuto inoperoso, mentre è evidente che gli fosse stata assegnata una specifica attività di vigilanza”.

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PER LA VICENDA MOBBING – Su questa vicenda, il Giudice ha evidenziato che non vi è alcun atto né comportamento che prefiguri la fattispecie del mobbing, specificando nella sentenza emessa per Stanziola che: “conclusivamente, esclusa l’illegittimità dei provvedimenti disciplinari, perché nessuna sanzione è risultata illegittima né vi sono procedimenti archiviati che configurino atti persecutori; rilevato, altresì che nessun demansionamento è rintracciabile, né nella revoca dell’incarico di responsabilità, né nella valutazione ai fini della progressione economica, né nei ripetuti ordini di servizio con cui il Comando assegnava il ricorrente a compiti adatti alle sue condizioni di salute, meno gravosi di quelli da svolgersi per strada, esclusa in radice l’antigiuridicità della condotta del Comandante, viene meno la condotta illecita, ancor più si esclude la possibilità di un unico disegno criminoso volto ad isolare il ricorrente. Dunque se il preteso mobbing consisterebbe, per un verso, nella reiterazione di procedimenti disciplinari ritenuti illegittimi, per altro verso, nell’assegnazione a mansioni inferiori, vengono meno gli atti illeciti costitutivi del mobbing, assorbita ogni altra doglianza. Per tutti i motivi esposti il ricorso è integralmente respinto”. Guido Lombardi, invece, nel suo ricorso, in merito a questa particolare fattispecie, esponeva che con un provvedimento il Comandante Di Meglio, gli revocava con effetto immediato la responsabilità del settore edilizia, assegnandolo al “servizio di entrata ed uscita dalla scuola Elementare di Piedimonte”, per poi spostarlo nel 2010, insieme al collega Stanziola a svolgere servizio nel locale adiacente all’edificio che ospita la scuola media A. De Curtis, nel quale mancava il bagno, potendo egli usufruire dei servizi igienici della scuola, ma soltanto negli orari e giorni di frequentazione scolastica, non negli orari pomeridiani e nei giorni festivi. Pertanto Lombardi, lamentava che dopo la perdita dell’incarico di responsabile del settore edilizio aveva subito un progressivo demansionamento, non essendo stato mai più destinatario di incarichi di responsabilità, al contrario assegnato a svolgere servizio in locale del tutto privo dei requisiti minimi igienico-sanitari e costretto a rimanere inoperoso. Su questo il Tribunale ha specificato che: “la questione del presunto demansionamento, consistito, dapprima, nella perdita dell’incarico di responsabile del settore edilizio, poi nell’assegnazione ad attività di vigilanza, va affrontata premettendo che il ricorrente (Lombardi ndr) è inquadrato con qualifica di “specialista di vigilanza P.M.” nella categoria D/1, nella quale sono confluiti tutti i dipendenti già inquadrati nel sesto livello funzionale. Vale dunque evidenziare che le attività di vigilanza di cui il ricorrente denuncia il contenuto demansionante, sono, al contrario, proprie della qualifica di appartenenza, non escluse da eventuali e temporanei incarichi direttivi, del tipo di quelli già rivestiti”. Pertanto secondo il Giudice del lavoro, nessun demansionamento o intento persecutorio, neanche in questo caso.

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