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Smartphone, la generazione del capo chino

di STEFANO CRUPI

La generazione del capo chino.  Così potrebbero essere ricordati domani i nostri attuali teen-ager. Quei ragazzi, più o meno giovani, che con lo sguardo fisso sullo schermo del proprio smartphone e i pollici che spesso sembrano animati di vita propria scrivono, commentano, condividono, interagiscono con il mondo social in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora. A scuola, sull’autobus, in metropolitana, al bar con gli amici a tavola durante la cena questi cosiddetti social-addicted considerano lo smartphone come un prolungamento naturale del proprio corpo, il modo migliore per stare sempre connessi con i propri amici e con il mondo della rete.

Idee, pensieri, contenuti di ogni genere e forma animano le “bacheche” degli internauti che sempre con maggiore frequenza utilizzano i social network site come diario di vita ma anche come fonte di informazione e finestra sul mondo.

Applicazioni come Facebook, Whatsapp, Instagram danno l’opportunità all’utente di immergersi totalmente in una vera e propria realtà aumentata, in cui lo scambio di messaggi e i contribuiti testuali (il “cosa stai pensando” di Facebook) sono ormai solo una cornice ad una proliferazione sconfinata di video, immagini, emoticon, gif animate e contenuti di vario tipo che rendono la “user experience” (l’esperienza dell’utente) sempre più coinvolgente e allo stesso tempo accattivante.

Parliamo di realtà aumentata e non di realtà virtuale perché l’utente nella dinamica social non utilizza un avatar (ovvero un clone corretto e modificato di se stesso) come si faceva un tempo nelle chat. L’utente che utilizza il “social network site” è semplicemente se stesso con i suoi pregi e  i suoi difetti. La sua action (“mi piace” “condividi” “pubblica”) lo espone consapevolmente al giudizio del popolo della rete, formato da un numero potenzialmente infinito di persone, che attraverso un’interfaccia grafica semplice ed intuitiva diventa spettatrice attiva di passioni, interessi, sensazioni.

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Secondo il Rapporto Italia 2015 dell’Eurispes, il 67% degli italiani è in possesso di uno smartphone. Dal risultato di una ricerca promossa da Tim e Family Online Safety Institute (Fosi) realizzata su un campione di 350 adolescenti, invece, emerge che l’88% degli adolescenti italiani tra i 9 e 17 anni accede dallo smartphone ai social network e a Whatsapp almeno una volta al giorno. La percentuale di coloro che accedono dal cellulare ai social e alle chat almeno una volta al giorno sale al 94% nella fascia di età 13-14 anni e arriva al 95% in quella 15-17 anni. Allarmanti infine sono i dati che riguardano la fascia dei bambini dai 9 ai 10 anni; più della metà degli intervistati usano lo smartphone per accedere a Facebook e ai principali social network.

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Un trend sicuramente preoccupante, ancor di più se rapportato ai piccoli centri. E’ risaputo che nelle piccole città, nelle isole, nei paesi dove le possibilità di svago sono inferiori, la tendenza dei ragazzi a utilizzare gli smartphone e i social per generare relazioni è maggiore. Il problema è che l’uso prolungato dei dispositivi elettronici e la costante presenza sui social network site possono generare disturbi psicologici più o meno gravi. Secondo alcuni psicologi l’abuso di internet e di applicazioni social può portare addirittura ad una sorta di dipendenza, innescata probabilmente da meccanismi psicologici e neurologici di generazione di piacere, soddisfazione, affettività ed autostima. A livello celebrare, infatti, vengono rilasciate maggiori quantità di sostanze psico-attivanti e a livello mentale si creano meccanismi e schemi ricompensatori che invogliano l’utente al riutilizzo continuo e sempre maggiore dei dispositivi che li hanno generati. In più sembra che chi utilizza abitualmente siti come Facebook, Wahtsapp, Twitter abbia una minore propensione ad allacciare rapporti con altre persone nella vita “reale”. E da qui, uno dei paradossi più interessanti del nostro tempo: il social che distrugge le relazioni sociali.

La cosa triste è che probabilmente in così pochi anni si è gia arrivati al punto di non ritorno e  trovare soluzioni atte ad un’inversione di tendenza appare alquanto complicato se non addirittura impossibile. Certo promuovere attività di generazione e consolidamento di relazioni interpersonali, soprattutto in età scolastica, potrebbe essere un buon metodo per far capire ai ragazzi l’importanza dello stare insieme, di quanto le parole ed il linguaggio del corpo siano importanti nel contesto lavorativo ma anche nella sfera privata. Un ottimo metodo per far si che la loro futura vita non si riduca semplicemente a una distrazione dal cellulare.

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