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Terremoto, Ciccio Buono e Luigi Patalano nell’inferno di Arquata

dalla Redazione

ISCHIA. Otto giorni nell’inferno di Arquata. Lì dove il terremoto ha colpito più duro, lì dove ancora si scava tra le macerie di quel che resta di paesi come Trisungo, Piedilama e Pretare. Lì dove ricostruire significa rifondare intere comunità, spazzate via dal sisma come sabbia al vento, dove insieme al passato è scomparsa anche una fetta di futuro. «Sei abitazioni su dieci sono inagibili, siamo stati anche in Emilia ma qui è tutto diverso» commentano Ciccio Buono e Luigi Patalano. A loro, ischitani doc, geometri di professione, volontari della Protezione Civile è toccato uno dei compiti meno grati: comunicare alle persone di questo lembo di Italia centrale devastato dalla furia del sisma, provate da dolore e sofferenze, ancora in lacrime per la perdita di familiari e amici, se, oltre a tutto questo, avrebbero dovuto rinunciare anche alla loro abitazione. «Sono state scene forti, difficili da dimenticare – spiega Ciccio Buono –  perché ad essere colpite sono state comunità di umili origini. Sono persone distrutte dal sisma, soprattutto da un punto di vista psicologico. In molti temevano nel ritornare nella abitazioni nonostante fossero state dichiarate agibili».

297 morti, 388 feriti, quattro regioni coinvolte. Centinaia di milioni di euro di danni ed una enorme fetta di patrimonio architettonico, artistico e archeologico rasa al suolo. «Abbiamo effettuato una quarantina di sopralluoghi. Iniziavamo alle prime luci dell’alba e rientravamo a notte fonda. Abbiamo visto gente piena di dignità lacerata dalla sofferenza. Molti avevano bisogno soprattutto di conforto, di sapere che tutto sarebbe ritornato alla normalità, nonostante quello che era successo» aggiunge Ciccio Buono, rientrato sull’isola con il collega la sera del 20 settembre, a poche ore dall’ultima, potentissima scossa che ha avuto come epicentro Amatrice e che ha fatto ripiombare tutti nell’incubo di un nuovo sciame sismico.

«In molti casi è stato durissimo trattenere le proprie emozioni – racconta Luigi Patalano – nel vedere che ti chiedono aiuto e che hanno perso tutto o quasi. Arrivavano momenti in cui non potevi pensare solo alla problematica tecnica dell’edificio ma  contestualmente dovevi agire in tutti i modi possibili sulla psiche di colui che avevi di fronte, in un particolare stato emotivo,  per sollevarlo moralmente e alimentargli la fiammella della speranza».

Tastare con mano quello che è accaduto nelle zone colpite dal terremoto, raccontare la propria esperienza, invitare alla cautela nella consapevolezza di quanto anche Ischia sia fragile, non solo perché zona sismica, inserita nel complesso sistema dei campi flegrei. Ma anche, forse soprattutto, mantenere la massima allerta e coinvolgere istituzioni e società civile ad una profonda riflessione, su un’isola edificata in una notte, a suon di “colpi di mano”, e per questo terribilmente esposta alle conseguenze catastrofiche di un evento sismico di tale portata.

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«Ho pensato molto ai miei concittadini – confessa Luigi Patalano – e alle nostre problematiche legate alle case. Mi sono reso conto che noi isolani stiamo dormendo pensando che eventi sismici come questi di Amatrice e Arquata del Tronto non ci possono toccare. Credo sia venuto il momento di svegliare cittadini isolani e amministrazioni locali e Regionali prima che succede l’irreparabile. Da una visione personale dei fatti, questi paesi colpiti, per riprendersi occorrerà oltre un decennio se tutto va bene a condizione che non vengano abbandonati dalle istituzioni e dallo Stato. Ma questi italiano hanno una marcia in più rispetto a noi isolani. Hanno case legittime e potranno ricostruirle. Noi no, perché le nostre case sono al 90% costruite male, perché le nostre case a distanza di 40 anni sono ancora considerate abusive e quindi in caso di grave sisma non consentiranno di farle ricostruire. Ciò che posso dire agli isolani miei concittadini, alla luce della esperienza maturata è che è giunta l’ora di svegliarsi e subito, perché siamo già oltre il tempo massimo».

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