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Lettere allo psicanalista

 

Gentile Professore,

ho quarantasette anni e sono un napoletano trapiantato da qualche tempo a Ischia per motivi di lavoro. In passato ho affrontato un percorso psicoanalitico e, dunque, sono abbastanza avvezzo a riflettere sui sogni.

Negli ultimi giorni, però, mi ha turbato il ricordo di un sogno che non sono ben riuscito a decifrare e che, a tratti, continua a riproporsi alla mia mente cosciente. Mi piacerebbe ricevere da lei un aiuto nella elaborazione di queste immagini, che intuisco importanti, ma che restano ancora non chiare.

         Stavo nel centro di Napoli, più o meno all’altezza di Piazza Plebiscito o di Via Toledo. Filtrava a malapena una cupa luce crepuscolare. Parlavo al telefono con un ignoto interlocutore che si trovava al Vomero, ma è come se giungesse in visita alla città e io lo dovessi accogliere. Con la convinzione di dargli un appuntamento a mezza strada, gli chiedevo d’incontrarci in Piazza San Domenico Maggiore.

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         A quel punto, m’inoltravo, in auto, in strette e tortuose salite che, attraversando quartieri antichi e fatiscenti, dirigevano proprio verso la collina del Vomero. Il traffico era semiparalizzato, le macchine camminavano faticosamente, a passo d’uomo, imbottigliate in quei meandri.

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D’un tratto mi rendevo conto che Piazza San Domenico Maggiore non si trovava affatto lungo il percorso, ma in un’altra zona. Solo che, nel sogno, è come se non sapessi precisamente quale.

Tutto aveva assunto una piega vaga e sconcertante. Provavo un crescente smarrimento e vergogna per la mia inadeguatezza. Abbassando il finestrino a qualche incrocio, avrei potuto chiedere indicazioni ad un altro automobilista, oppure avrei potuto interrogare qualche donna del quartiere ferma per strada; ma non lo facevo, sentendo che me la sarei dovuta cavare da solo, anche se non sapevo come.

Intanto, mi aumentava l’ansia al pensiero che la persona a cui avevo dato l’appuntamento sarebbe arrivata alla meta e non mi avrebbe trovato. Facevo, inoltre, un’altra considerazione spiacevole: perché le avevo fissato l’incontro in quell’antico luogo di Napoli se non si trovava davvero a mezza strada? …

Infine, con un’ellissi, mi ritrovavo in una panoramica zona collinare (tra il Vomero e Posillipo, tipo Via Orazio o Via Petrarca), su cui, però, si ergevano palazzine moderne tra loro assiepate. Il cielo era sgombro e chiaro. Da lì, sulla sinistra, si dipartiva uno strettissimo viottolo di campagna che affacciava sul Golfo. Oltre l’abisso si scorgeva l’abitato come da grande altezza e in lontananza il mare: tutto era sfumato e azzurro.

M’inoltravo sul sentiero a malapena evitando la caduta nel vuoto, reggendomi a un esile tubo di metallo (idraulico) che fungevo da parapetto. A un certo punto dell’erta, prima di una curva, mi rendevo conto di non poter andare oltre, poiché anche quest’ultimo elemento protettivo terminava. Decidevo di tornare indietro, allora, ma la discesa appariva ancora più difficile e rischiosa della salita.

Procedevo con notevole apprensione.

         Come associazioni aggiuntive a quanto riferito devo dire che il Vomero è il mio reale luogo di origine, dove sono nato e sempre vissuto. Mentre Palazzo San Giacomo,  Piazza Municipio, era il luogo in cui mio padre, funzionario del Comune, ha lavorato per anni.

 

SOGNARE LA VIA

 

Gentile lettore,

è sempre proibitivo interpretare accuratamente il sogno di una persona che non si conosce approfonditamente e con la quale non è possibile scambiare impressioni e informazioni nel momento in cui compie il suo resoconto onirico.

Ciò premesso, cercherò di offrirle qualche ulteriore contributo.

Il suo sembra il classico prodotto di un richiamo all’archetipo della Via, ovvero a quella rituale rappresentazione dell’esistenza come percorso, lungo il quale si viene sottoposti a difficili prove iniziatiche.

Caratteristico di questo tipo di immaginazione è di cogliere il legame tra punto di partenza e meta finale, intesi come esperienze legati al nascere, al crescere, al maturare e al morire, non solo sul piano biologico, ma su quello psichico e spirituale. In questa prospettiva, la vita invece di manifestarsi come una semplice ascesa e discesa energetica, che inesorabilmente conduce alla fine di tutto, può rappresentare un percorso accrescimento delle qualità individuali e di perfezionamento.

Ecco che allora si può riconoscere all’opera il “Principio d’Individuazione psichica”, indicato da Carl Gustav Jung, e che il suo allievo e brillante studioso Erich Neumann definì come “Percorso di Centroversione”, alludendo alla classica esperienza di sviluppo della Coscienza, attraverso un percorso rituale di integrazione di contenuti inconsci, ad essa periferici, verso il centro della sua attività.

Questo processo ha due termini: i meandri e il labirinto. Quando ci percepiamo dentro tale condizione e non riusciamo a vedere la soluzione ai problemi che ci stritolano – per cui crescono ansia e angoscia -, allora ci troviamo in un meandro; quando, invece, osserviamo il disegno dall’alto e con un certo distacco discerniamo la completezza del labirinto.

Gli elementi spaziali sono particolarmente palesi nel sogno da lei narrato, dove l’appuntamento è fissato nella piazza più centrale della Napoli antica, punto di coincidenza cruciale del cardo e del decumano della città romana. Questa era anche la zona più antica della città greca di Neapolis (ovvero “Città nuova”), in opposizione al nucleo dell’anteriore Palepolis (ovvero “Città vecchia”) di Parthenope, il cui porto si situava proprio dove adesso sorge Piazza del Municipio.

La dialettica urbanistica che il suo sogno propone evoca l’opposizione tra antico e contemporaneo, tra ciò che viene dal passato e ciò che compete al “nuovo”, ed il significato psicologico di tale dialettica spero non le sfuggirà, sul piano personale: sembra suggerire, infatti, un fecondo ritorno alle origini e nello stesso tempo un bisogno di superamento di esse. La sua meta, il suo “centro” non è a Palepolis, infatti, bensì a Neapolis

Questa sizigia richiama anche quella tra “alto” e “basso”. La zona crepuscolare, nel sogno, si trova in basso, a i piedi della collina, quella luminosa in alto, sulla collina. Ma il raggiungere la nuova posizione (che implica l’aver recuperato, di fatto, la parte del con la quale aveva un “appuntamento”) le serve anche a considerare i pericoli della “via stretta”, un classico percorso iniziatico, dal quale, però, lei sembra ritirarsi poiché continuarlo la lascerebbe senza alcuna protezione.

Ammetto che questo punto mi risulta controverso, amletico: è più saggio ritornare sui suoi passi, considerando l’oggettivo rischio, o dovrebbe sfidare il pericolo della caduta nell’abisso, dello sfracellarsi nel mare dell’Inconscio, per scoprire cosa le riserva il passaggio oltre la curva?

E che valore dare a quella conduttura, poi, dove evidentemente corre dell’acqua, forse un’acqua lustrale, di purificazione?

Non so dirlo con certezza e credo che sia lei a doversi interrogare ancora a lungo su queste immagini, al chiarimento delle quali spero di aver in parte contribuito.

In ultimo, ma non per ultimo

 

 Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma in una scuola di specializzazione per psicoterapeuti, formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma e a Ischia. Ha fondato e dirige il webzine e il quadrimestrale internazionali “Animamediatica”.

Contatti

E-mail: francescofrigione62@gmail.it

 

RITORNO ALL’AMORE

SEMINARIO TEORICO-ESPERIENZIALE

 

Sabato, 15 ottobre 2016

  1. 16:00 – 19:00

Sede delle associazioni:

20 luglio e Libera, in Via Guglielmo Sanfelice 19

Lacco Ameno – Isola d’Ischia (NA)

 

Nella parte teorica del seminario s’indagano scelte estreme e pavide fughe d’amore, aspirazioni, tradimenti e ferite, rifacendosi a due splendide pellicole del cinema francese: “La mia droga si chiama Julie” (1969), di François Truffaut, e “Un cuore in inverno” (1992), di Claude Sautet. Il seguente lavoro psicodrammatico consente ai partecipanti di mettere in gioco l’esperienza, la visione e il desiderio personali di amore, dandone una rappresentazione originale e creativa e d’indagare sulle radici dei propri vissuti.

 

MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE E RECAPITI:

Il seminario si tiene solo in presenza di un congruo numero di partecipanti.

Il suo costo è di  € 70,00.

(gli associati ad Animamediatica, 20 Luglio e Libera, hanno diritto al pagamento ridotto di € 60,00)

La prenotazione è obbligatoria e vale come adesione.

 

Info e Prenotazioni: +39 06 39754059; +39 393 9406458

E-mail francescofrigione62@gmail.com

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