CRONACAPRIMO PIANO

ABUSI ALLE TERME BELLIAZZI, DISPOSTA LA DEMOLIZIONE

Il Consiglio di Stato conferma la demolizione ordinata nel 2015, TAR e Comune avevano ragione

Abusi alle Terme Belliazzi. Il Consiglio di Stato conferma la demolizione ordinata nel 2015. Respinto l’appello. La sentenza dovrà essere eseguita dall’autorità amministrativa. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) è stato lapalissiano sul ricorso numero di registro generale 4679 del 2021, proposto da Soc. Terme Belliazzi di Alessandro Venza Sas e Alessandro Venza in quanto tale rappresentati e difesi dall’avvocato Carmine Bernardo contro il Comune di Casamicciola Terme, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 5433/2020 che aveva ordinato la demolizione sostenendo la bontà delle disposizioni del Comune. Relatore nell’udienza pubblica svoltasi nei giorni scorsi il Cons. Giordano Lambertinella con l’intervento dei magistrati:Hadrian Simonetti, Giordano Lamberti, Davide Ponte, Lorenzo Cordi’, Consigliere Marco Poppi.

IL TAR ED IL COMUNE AVEVANO RAGIONE

Come si legge agli atti, Alessandro Venza, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Terme Belliazzi di Alessandro Venza, ha impugnato avanti il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania l’ordinanza di demolizione nr. 17, adottata il 18 maggio 2015, con la quale l’amministrazione comunale di Casamicciola Terme guidata da Giovan Battista Castagna ha ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad interventi di trasformazione dei locali tecnologici a piscina termale e sauna, nonché di apertura di una luce ingrediente chiusa con vetromattoni trasparenti. Con la sentenza, il Tar adito ha respinto il ricorso, rilevando che:era necessario il permesso di costruire, in quanto nella fattispecie vi è stato un cambio di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome (da locale tecnico a piscina termale e sauna) ed urbanisticamente rilevante; anche per l’apertura della forometria, in base alla disciplina vigente all’epoca di adozione del provvedimento impugnato, era necessario il permesso di costruire;non sussiste alcuna carenza di istruttoria e di motivazione, basandosi il provvedimento impugnato sull’accertamento eseguito dall’ufficio tecnico comunale e sulle risultanze catastali. L’amministrazione non aveva l’onere di motivare circa l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, essendo l’ordinanza di demolizione un atto dovuto e rigorosamente vincolato.

L’originaria parte ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia, deducendo un’unica articolata censura i cui rilievi possono essere sintetizzati come segue: -il primo giudice avrebbe errato nel ritenere che il locale macchina trasformato in piscina fosse ricompreso nell’appartamento e non nel cespite adibito a stabilimento termale. Anche dalla lettura dell’accertamento tecnico effettuato dal tecnico comunale del 7 maggio 2015 si evincerebbe che il locale interessato dalla diversa destinazione d’uso è al piano terra ed inserito nello stabilimento termale, pertanto, si avrebbe una diversa destinazione d’uso tra categorie omogenee, che non richiede alcun titolo abilitativo; ancora la trasformazione di un locale macchina in piscina termale e sauna non inciderebbe sul carico urbanistico, non avendo in alcun modo ampliato la superficie abitabile, ma solo determinato un uso diverso di locali della stessa categoria catastale. Infine le due DIA presentate nel 2004 e nel 2005 avrebbero legittimato la trasformazione del locale impianti in locale piscina e la apertura chiusa con vetromattoni.

Per il consiglio di Stato « Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate. Il provvedimento impugnato sanziona l’intervento di trasformazione dei locali tecnologici a piscina termale e di apertura di una luce ingrediente chiusa con vetromattoni trasparenti». A rilevare la consistenza dell’abuso sarebbe proprio l’accertamento tecnico redatto dall’UTC del 07 maggio 2015 contestato dal ricorrente. Alla luce della consistenza dell’abuso ivi descritto, non essendo neppure in contestazione che nell’originario vano tecnico (cd. locale macchina) è stata realizzata una piscina, è del tutto irrilevante se tale nuovo volume reso fruibile fosse ricompreso nell’appartamento piuttosto che nel cespite adibito a stabilimento termale censito in catasto con particella diversa. Ciò che rileva è che all’originario volume tecnico, in quanto tale non fruibile se non per l’alloggiamento degli impianti, si è sostituito un volume adibito alla fruizione umana. Invero, contrariamente all’assunto di parte appellante, anche la trasformazione di un locale tecnico in volume fruibile in funzione dello stabilimento termale tramite la realizzazione di una piscina incide inevitabilmente sul carico urbanistico, contribuendo ad aumentare il grado di ricettività dell’impianto termale; ne deriva che, come correttamente rilevato dal Tar, la modifica di destinazione d’uso, attuata attraverso anche opere edilizie, necessitava di un idoneo titolo edilizio.

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La valutazione del Giudice di primo grado per il Consiglio di Stato merita condivisione anche nella parte in cui vengono richiamate le DIA per i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione riguardanti il piano terra del complesso termale. Tali titoli non hanno ad oggetto la realizzazione di alcuna piscina e, del resto, è la stessa appellante a rivendicare “la vetustà dell’intervento”, senza tuttavia indicare la relativa datazione, né il titolo di legittimazione dello stesso. Nel caso in esame, l’appellante, oltre a non aver introdotto alcun elemento atto a provare l’epoca di realizzazione dell’abuso, non ha neppure specificato quale sarebbe stata tale epoca, limitandosi in modo del tutto generico a dichiarare che “questa difesa è nella impossibilità di fornire la prova della data di trasformazione del locale impianti”. Alla luce delle considerazioni per i Giudici i restanti rilievi appaiono irrilevanti. Nondimeno, si evidenzia che è la stessa parte appellante a confermare: la realizzazione di aperture, pur affermando che la stessa non sarebbe visibile dalla via pubblica; che l’area è soggetta a vincolo paesaggistico. «Non è questa la sede per valutare l’effettivo impatto dell’opera sull’ambiante circostante. Ciò che rileva è invece il fatto che, l’intervento, stante il vincolo che grava sull’area, prima della sua realizzazione, doveva essere sottoposto ad una valutazione di compatibilità anche sotto l’aspetto paesaggistico- spiegano dal Consiglio di Stato- Da un altro punto di vista, deve ricordarsi che non è necessario che l’ordinanza di demolizione di opere abusive debba essere motivata con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata». Per i magistrati infine «Non è necessario provvedere sulle spese di lite, stante la mancata costituzione in giudizio di parte appellata».

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