CULTURA & SOCIETA'

All’Alberghiero la lezione di Adriano Olivetti

L’interessante dibattito svoltosi presso l’istituto professionale “V. Telese” di Ischia che ha raccontato la storia di un imprenditore visionario, filantropo e amante delle arti e del turismo

DI ARIANNA ORLANDO

L’accogliente atmosfera del Telese apre le porte al dibattuto argomento dell’impresa responsabile attraverso una conferenza dall’omonimo titolo cui hanno partecipato cospicuamente gli studenti dell’istituto professionale. Alla “regia dei lavori” il professore M. Sciarelli che con il suo illustre intervento svolge la “lezione di Adriano Olivetti”, imprenditore che nel primo novecento favorì lo sviluppo di una logica imprenditoriale di non modesto e trascurabile parere. Il professore definisce Adriano Olivetti “visionario, filantropo e amante delle arti e del turismo”. La sua storia imprenditoriale attraversa la sua vita e molte delle idee sviluppate all’interno dell’Olivetti sono i presupposti di sostenibilità e responsabilità sociale all’interno delle strategie di grandi manager e imprenditori contemporanei. Nello specifico il termine “sostenibilità” vuole riguardare i campi sociologici ed economici del sapere e dell’azione. Adriano Olivetti ha perseguito, partendo da Ivrea e da una piccola fabbrica, il suo sogno industriale che mirava al profitto e al successo ma anche a una visione diversa del rapporto tra operaio e imprenditore e tra la fabbrica e la città in cui questa veniva inserita.

Il mondo dell’industria 1950 non aveva assolutamente la sensibilità di concepire la creazione di una fabbrica che fosse anche architettonicamente armoniosa con l’ambiente circostante e che possedesse le caratteristiche di un ambiente confortevole-ragionevolmente umano-per favorire l’adattamento dell’uomo reale al lavoro e non dell’uomo robotico alla produzione meccanica e in serie. Lo stimolo, sia sociale che produttivo, era sicuramente provenuto dall’assoluta devozione dell’Olivetti alla comprensione della bellezza e dei valori della cultura. Un normale giorno di lavoro era un tipo di organizzazione assolutamente nuova e quasi utopica che dimostrava l’incremento della produzione nonostante la “diversità” da cui era caratterizzata: ciò che favoriva tale sviluppo era la partecipazione concreta delle persone all’azienda, il coinvolgimento delle stesse non solo al processo della produzione ma anche alla idea stessa di produzione. Il modello olivettiano dimostrava che la felicità di lavorare in un ambiente non solo stimolante ma anche comodo (in quanto si offriva dell’ottimo cibo alla mensa, una paga assolutamente stabile, si forniva il riqualificamento degli operai le cui abilità erano scadute o necessitavano di una formazione e dunque ci si proiettava alla possibilità di dare alla persona una dignità lavorativa pubblicamente riconosciuta indifferentemente allo stato sociale di provenienza. Olivetti riconosce il valore della madre lavoratrice richiedendo, prima che le lotte sindacali lo rivendichino come diritto, un congedo parentale di nove mesi postumoalla nascita del bambino e attraverso la costruzione di asili nidi sovvenzionati dall’azienda per rendere il ritorno alla  attività lavorativa il più confortevole possibile in modo da non incidere economicamente economicamente sulla scelta del ritorno al lavoro. Gli asili nidi erano inoltre dotati di servizi adeguati all’educazione e anche alla sanità tali da essere totalmente affidabili.

Olivetti riteneva che dare il sabato libero ai suoi operai fosse fondamentale per il “mantenimento” delle radici e il “culto” delle stesse in contesto sociale post-bellico in cui la popolazione sopravviveva alla catastrofe umana della guerra. Aveva cercato di contrastare l’analfabetismo attraverso la costruzione di una biblioteca dove a qualsiasi ora del giorno l’operaio poteva recarsi e avere libero accesso a qualsiasi tipo di libro e soprattutto i giornali di qualsiasi fede politica. Un consiglio di gestione, costituito dai rappresentanti dei lavoratori, era coinvolto nelle decisioni dirigenziali e una comunicazione periodica metteva al corrente tutti gli operai dei movimenti dell’azienda. Si definisce Olivetti “profeta di un capitalismo avanzato che credeva nell’uomo e nelle sue capacità di riscattarsi e di crescere”.

La lezione di Adriano Olivetti è oggi un grandissimo esempio di gestione dell’azienda definibile progressista, futurista ma anche e soprattutto improntata al rispetto dell’operaio che oggi non è più. Ci si accorge sempre con malinconia del fatto che Olivetti, morto nel 1960, sia-nonostante le teorizzazioni, le aspirazioni e le attualizzazioni costanti-un progetto passato con cui si guarda con meraviglia perché anche a Ischia l’operaio è considerato un oggetto incastrato nei meccanismi di produzione cui non devolvere le attenzioni e le cure che Olivetti riservava ai suoi. Si parla oggi più facilmente di sfruttamento dell’operaio che di rispetto verso di lui e il suo tempo di lavoro e di vita: momenti non solo sovrapposti ma anche mischiati. Se osserviamo Ischia, l’operaio non possiede un’identità né tanto meno un valore lavorativo ritenuto importante ma è un soggetto subalterno che guarda all’impero del suo imprenditore e lo chiama con i termini reverenziali di “signore” e “signora”. E d’altra parte dovrebbe essere particolarmente difficile o almeno richiedere una ottima dose di coraggio dal punto di vista della morale, passare di fronte ai propri lavoratori-che trascorrono 12 ore sottopagate al loro posto-, reverenzialmente vestiti e con borse da 1200 euro, riconfermandosi gli stessi quando alla richiesta dello stipendio, all’operaio si dice “ripassa, adesso non ho soldi per pagarti”. Si parla in questo caso della distanza sociale tra chi in questo periodo prenota la vacanza in posti esotici e chi invece fa i calcoli per acquistare le uova di Pasqua. Allora aspettiamo che la lezione di Adriano diventi il Verbo perché se così fosse, come in balia di un effetto domino positivo, Ischia tornerebbe a essere cosa era un tempo: patria della felicità.

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