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Cava Pozzillo, i motivi dell’assoluzione per i sindaci di Casamicciola

La Corte dei Conti ha illustrato le motivazioni della sentenza che chiuse il lungo iter giudiziario per le presunte responsabilità nella mancata bonifica del sito, ritenendo inammissibile l’azione della Procura verso una serie di amministratori tra cui Arnaldo Ferrandino, Vincenzo D’Ambrosio e Giovan Battista Castagna

A distanza di svariati mesi, arrivano le motivazioni della sentenza con cui la sezione giurisprudenziale per la Campania della Corte dei Conti ha posto fine all’estenuante procedimento giudiziario relativo alla presunta mancata bonifica di Cava Pozzillo a Casamicciola. Il giudizio di responsabilità era stato promosso dalla Procura regionale nei confronti di Antonio Bassolino, Massimo Menegozzo, Stefano Caldoro, Giovanni Romano, e i sindaci di Casamicciola degli ultimi lustri, cioé Vincenzo D’Ambrosio, Giovan Battista Castagna, Arnaldo Ferrandino.

La complessa vicenda chiama in causa la sentenza emessa nel 2014 dalla Corte di Giustizia Europea, nella quale si constatava che l’Italia non aveva adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 26 aprile 2007 con la quale la Corte aveva dichiarato che la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie in tema di rifiuti pericolosi e di discariche. La Corte aveva perciò condannato l’Italia a versare alla Commissione europea la somma forfettaria di 40 milioni euro. Alla pesante sanzione si aggiungeva anche una penalità semestrale, a partire dal giorno di pronuncia della sentenza e fino all’esecuzione della decisione emanata nel 2007, calcolata a partire da un importo iniziato fissato in ben € 42.800.000,00 dal quale detrarre 400mila euro per ciascuna discarica di rifiuti pericolosi e 200mila euro per ogni altra discarica, messe a norma in conformità alla sentenza. La Corte dei Conti, in buona sostanza, riteneva che la Regione Campania e le amministrazioni casamicciolesi, a causa dei ritardi nella consegna dei documenti sull’analisi di rischio riguardanti Cava Pozzillo (classificata nel 2005 come area potenzialmente inquinata), avessero causato al Ministero dell’Economia un danno come detto pari a quasi 590mila euro (di cui quasi 190mila relativi alla sanzione forfettaria, e altri 400mila per le penalità semestrali). I ritardi contestati avrebbero fra l’altro impedito di accedere agli appositi finanziamenti per l’eventuale bonifica previsto dal Por/Fesr.

Tuttavia la Corte dei Conti, presso cui si è incardinata la controversia a partire dal 2017, ha richiamato la normativa in vigore la quale prevede che, “una volta accertata la corresponsabilità degli enti locali territoriali ad opera del Ministero competente per materia, cui il MEF (Ministero Economia e Finanze) ha demandato la realizzazione dell’istruttoria, il recupero delle somme pagate dallo Stato ed oggetto di rivalsa debba avvenire secondo due specifiche ed alternative modalità: o previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati e, in dettaglio, previa determinazione dell’entità del credito dello Stato e previa indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato; oppure, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa, con l’adozione del provvedimento esecutivo da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri sentita la Conferenza unificata Stato – Regioni – Città ed Autonomie locali”. Nel caso in questione, al di là della specifica natura dell’atto di intesa (certamente pattizia), la procedura disciplinata dall’art. 43 della legge n. 234/2012 prevede l’adozione di un atto, assunto con il concorso delle varie parti interessate, quale passaggio necessario (cui si subordina la formazione del titolo che fa sorgere dell’obbligo) per arrivare all’azione di rivalsa e condiziona la rivalsa stessa all’avvenuto raggiungimento dell’intesa. Il Collegio ha rilevato che al momento dell’avvio dell’azione di rivalsa nei confronti degli enti erano ancora sospesi i termini per la conclusione dell’intesa Stato – Regione – Enti locali territoriali ed è ancora in atto il confronto in sede di Conferenza unificata Stato – Regioni funzionale, non soltanto alla determinazione del “quantum” da porre a carico degli Enti territoriali, ma anche alla verifica della sussistenza della responsabilità/corresponsabilità a carico dello Stato e, in particolare, del Ministero dell’Ambiente.

In particolare, in ordine alla concreta determinazione del “quantum” da porre a carico degli Enti locali territoriali, il Collegio sulla scorta di quanto riversato in atti ha preso atto che la Conferenza delle Regioni ha manifestato “la propria ferma contrarietà rispetto alle determinazioni assunte dal Governo per il tramite del MEF, ritenendole lesive degli interessi delle amministrazioni regionali e locali coinvolte” e ha manifestata la necessità “che siano immediatamente sospesi i termini del procedimento di rivalsa”. Inoltre, con una precisa presa di posizione delle Regioni e dell’Anci si è arrivati alla richiesta di sospendere i termini del procedimento di rivalsa, e, in adesione, la Conferenza Unificata Stato – Regioni ha deliberato il 26 maggio 2016, quindi anteriore al deposito dell’atto di citazione avvenuto il 23 dicembre 2016, la sospensione del procedimento di rivalsa. Dunque quando si è celebrata l’udienza di discussione la sospensione risultava ancora operante e l’intesa non era ancora stata raggiunta in sede di conferenza unificata.

La Corte ha quindi stabilito che in assenza dell’intesa prevista tra lo Stato e l’Ente interessato, l’azione della Procura regionale è inammissibile, anzi improcedibile, per carenza del requisito essenziale del danno declinato nelle sue peculiari caratterizzazioni, cioé della attualità nei confronti degli Enti locali territoriali a favore dei quali si chiede la condanna, e che non hanno ancora subito nessuna deminutio patrimoniale non avendo versato allo Stato (MEF) alcuna somma. Ugualmente inammissibile è l’azione diretta a condannare i convenuti al pagamento di somme a favore del MEF, in considerazione che l’importo dedotto in citazione non è certo nel suo ammontare. Come già sopra evidenziato, infatti, la sospensione dei termini del procedimento di rivalsa non consente né di accertare positivamente -né di escludere- l’eventuale contributo causale da imputare allo Stato, laddove l’accertamento positivo del contributo causale (come sopra già indicato) influirebbe sulla rideterminazione degli importi richiesti. Inoltre, il Ministero è stato condannato a versare, a titolo di spese legali, 3mila euro ad Arnaldo Ferrandino e 1500 euro ciascuno a Castagna e D’Ambrosio.

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