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Lauro: «Senza sinergie, Ischia non riemergerà»

ISCHIA. Come se la passa l’isola e soprattutto, con l’occhio di chi è isolano d’origine ma la guarda anche da lontano, negli ultimi 10-15 anni in che cosa quest’isola è cresciuta e in cosa è peggiorata?

«Domanda non semplice. C’è stata sicuramente un’evoluzione anche a Ischia, ma mentre altre località sono cresciute di una certa misura, come la Spagna, secondo me Ischia ha perso qualcosa. È diventata più “città” rispetto alla sua natura di isola. Oggi è pesantemente avvertito il problema dell’eccessivo traffico, davvero esagerato e ormai non più sostenibile. Inoltre sembra che l’isola si sia “appiattita” su un basso livello qualitativo in vari settori».

Secondo Lei ci sono ancora margini di manovra per correggere il tiro? Oppure, come sostiene qualcuno, è una “discesa negli inferi” senza ritorno?

«Qualsiasi possibilità di recupero dipenderà sempre dalle persone che agiranno, dagli investimenti che saranno fatti. Il futuro è sempre nelle mani delle persone. Se non c’è la cultura del “fare sistema”, del progetto , di una visione precisa, non si va da nessuna parte. Non si può fare come nella storiella dei due asini, dove ciascuno tira in una direzione opposta all’altra. In un “sistema”, si deve andare tutti nella stessa direzione, altrimenti la sconfitta è certa».

Negli ultimi tempi si sente spesso parlare di investimenti di grandi gruppi societari verso varie località della Campania, come Capri o la Costiera, mentre Ischia sembra l’unica con meno  appeal presso gli investitori italiani e stranieri.

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«In genere i gruppi stranieri investono poco in Italia. Il trend è negativo, se non per zone particolari e per particolari esigenze. Nel settore turistico, investimenti veri e propri non ve ne sono stati. C’è una crescita che si limita alle attività di bed&breakfast, ma l’unico moderato boom turistico lo ha avuto la città di Napoli, finora sottostimata. Invece a Ischia manca un’esatta visione del futuro: ciascuno lo vede a modo suo. Quindi potremmo anzi dire che non è che sull’isola manca una visione, bensì che manca una visione univoca. Non si fanno sinergie, non si discute assieme, non esiste nemmeno un think tank ove monitorare le problematiche e le soluzioni possibili».

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Quanto pesa a Lei, che fu l’ideatore del sistema denominato “arcipelago campano” diretto proprio a creare quella sinergia, constatare che a distanza di anni e anni non c’è stata la maturità necessaria per arrivare a qualcosa di simile?

«Oltre a quel progetto, ne elaborai un altro: “Roma Neapolis”, che si sta concretizzando perché le due aree si stanno sempre più fondendo. Una delle ragioni del recente sviluppo turistico a Napoli secondo me è proprio l’Alta Velocità, che ha reso le due metropoli sempre più unite, con tante persone che vivono in una città e si recano regolarmente al lavoro nell’altra. Napoli sta diventando la Porta del Mediterraneo, e Roma comunque guadagna nuove prospettive. Tornando al discorso-Ischia,  penso che l’isola debba muoversi in sinergia. Noi ci abbiamo messo mano, tramite il consorzio Cotumar (Consorzio Turistico Marittimo, n.d.r.), e prendiamo come visione quello che già fanno in tutta Europa, lavorando al progetto “Industria 4.0”. Com’è noto, esso è un progetto europeo poi riprodotto in Italia dal Ministero dello Sviluppo Economico, e prevede cinque punti fondamentali: uno è il sostegno alla competitività, mediante corsi di formazione, nuovi fondi di garanzia, contratti di sviluppo. L’idea del Cotumar è quella di creare un gruppo di investitori su Ischia che credono nelle aziende isolane, e che propugnano insieme un progetto da 50 milioni di euro. Questo progetto complessivo, che potrebbe essere sottoscritto da finanziatori inglesi bendisposti verso Ischia, ha bisogno di almeno dieci progetti esecutivi redatti da aziende che possono impegnarsi almeno per 5 milioni di euro d’investimento. Poi c’è il sostegno all’innovazione, valido per quei giovani che vogliono creare nuove start up. Per gli isolani l’uso del web permette di essere più competitivi e di colmare il gap legato al mare che ci divide dalla terraferma. Tocca anche ai consulenti d’azienda far comprendere alle imprese che con tali investimenti potranno avere ritorni significativi».

Oggi è giusto dire che Ischia non è più “l’albero della cuccagna” nemmeno per le vie del mare? Una volta la professione dell’armatore era vista come un grande privilegio, anche economico.

«È un settore che da tempo è diventato molto difficile. Lo è anche per i lavoratori marittimi, che non trovano più molte possibilità d’imbarco, e hanno l’obbligo di frequentare corsi d’aggiornamento molto impegnativi, talvolta al limite del paradossale. Addirittura, per un errore riconducibile al Ministero dell’Istruzione, la legge Gelmini non riconosce la professionalità di un comandante o direttore di macchina, i quali dovrebbero tornare sui banchi per almeno sessanta ore pur dopo decenni di carriera: assurdo. Noi all’Alilauro, comunque, puntiamo sempre sull’innovazione, come ad esempio le energie rinnovabili.  È indispensabile per rimanere competitivi».

Il nome di Salvatore Lauro, indissolubilmente legato all’isola,  dopo la passata esperienza in Parlamento è tornato recentemente alla ribalta, quando nelle scorse settimane era stato fatto anche il Suo nome in alcuni incontri pre-elettorali in relazione a un’eventuale candidatura a sindaco di Ischia.

«Politica e amministrazione sono due cose differenti. Amministrare un comune è un compito importante oltre che onorevole, perché si riceve la fiducia dei cittadini. Tuttavia è anche un ruolo impegnativo, che richiede una squadra adatta, e anche in questo c’è bisogno di un progetto. Non ci terrei a fare l’amministratore solo a titolo simbolico: mi basta fare l’amministratore delle mie società. Il problema, per chi si accinge a candidarsi al ruolo di amministratore, è quello, come detto, avere un progetto e una visione del paese, ma  soprattutto trovare la squadra di persone giuste. Non basta avere una singola persona capace: è necessario l’affiatamento dell’intero gruppo».

Lei ha valutato se queste condizioni avrebbero potuto esserci, o magari, pur lusingato, ha detto “no, grazie”?

«Io vedo una grande mancanza di progettualità. Si vive alla giornata: non vedo nessuno porsi il problema di come sarà o dovrà essere Ischia tra dieci anni, anzi, credo che non se ne discuta mai. Oggi si naviga a vista, tuttavia, per continuare nella metafora marinaresca, se esci dal porto devi avere una nave adatta, l’equipaggio, oltre a una rotta e a un obiettivo».

Quindi, potremmo sintetizzare dicendo che a livello teorico, le avrebbe fatto piacere un’eventuale candidatura, ma che in concreto non ci sono i presupposti.

«Questa idea potrebbe essere presa in considerazione soltanto in presenza delle condizioni giuste, che vanno poi esaminate. Finora, non ci sono state proposte in tal senso, né alcun incontro».

Nessun incontro?

«No. Semplicemente, ci sono state persone che hanno chiesto se io avessi la volontà di partecipare alla formazione di una squadra».

E quale è stata la faccia dei suoi interlocutori quando ha declinato tale prospettiva?

«In realtà anche molti cittadini mi chiedevano di attivarmi. La gente è disorientata, distratta anche da altri problemi, che finora Ischia non aveva mai avuto, e che non è nemmeno pronta ad affrontare. E allora si crede che una persona proveniente da un contesto “esterno” potrebbe risolverli, ma naturalmente non è così semplice. Il problema si risolve se e quando un gruppo di cittadini si mette a lavorare per il bene comune, in maniera seria, organizzata, trascurando anche impegni personali. È un momento di svolta epocale, anche e soprattutto culturale. Eravamo entrati nell’Unione Europea credendo che avrebbe risolto tanti problemi, invece adesso non sappiamo se e come ci resteremo. Pensavamo che l’Europa fosse uguale per tutti, e invece adesso constatiamo che non lo è stata per i cittadini, né per gli imprenditori, né per le banche. L’isola non è preparata ad affrontare gli effetti di questa lunga serie di delusioni. Ricordo che quando ero in Senato c’era il voto per entrare in Europa, io fui praticamente l’unico a votare contro, tra lo stupore di molti. Ma lo facevo a ragion veduta».

Chiudiamo la parentesi politica con una valutazione da zero a cento: quali sono oggi le probabilità di vederla candidato a sindaco?

«Non si tratta di “dare dei numeri”: in questo momento la questione non si pone. Sarei onorato di far parte di una valida squadra che possa dare un significativo contributo a una svolta realmente migliorativa per Ischia. Penso soprattutto ai giovani: oggi non possono più trovare lavoro come accadeva un tempo, grazie a qualche conoscenza per inserirsi e via. Il contesto è radicalmente mutato: il lavoro te lo devi creare, quindi ogni giovane deve capire cosa gli piace essere, qual è il suo talento, e poi mettersi in gioco, perché la competizione è fortissima e continua, con cambiamenti rapidi. Detto questo, sono altri i potenziali candidati alla  figura di sindaco. Prima di pensare a una mia eventuale candidatura, c’è da farne di strada».

Qual è il rimpianto di Salvatore Lauro uomo, di Salvatore Lauro armatore, e di Salvatore Lauro senatore?

«Come senatore, ho il rimpianto di non essere riuscito a portare a termine il progetto di costituire la provincia delle isole del Golfo: un provvedimento che avrebbe cambiato la storia di Ischia, Capri e Procida. Non ci sono riuscito per pochissimo. Come armatore, il mio rimpianto è l’esperienza in Sicilia. La competizione è intralciata da leggi che ti mettono fuori mercato, ma non perché sei meno bravo degli altri, bensì perché gli altri hanno capacità di creare relazioni, non dico illecite, ma che marginalizzano eccessivamente gli altri competitori. Come uomo, credo di aver dedicato poco tempo ai miei figli. Uno dei motivi per cui sto pensando alla “pensione”, è proprio il fatto di avere un bambino ancora piccolo, che ha 10 anni. Voglio dare a lui e alla mia famiglia una maggiore presenza, se la meritano».

Oggi, quel pioniere “visionario” che era Agostino Lauro, se dovesse trovarsi di nuovo sulla banchina del porto e guardare Ischia, cosa penserebbe?

«Penserebbe che abbiamo fatto dei passi indietro. Uno degli aspetti della visione di mio padre era quello di non pensare soltanto alla nave, ma alla relazione tra nave e porto, adeguando quindi contemporaneamente le banchine. Il primo portellone così come lo conosciamo oggi sui traghetti lo introdusse lui. Ma se ad esempio oggi volessimo far attraccare il mezzo più avanzato del mondo nel nostro porto, esso non potrebbe entrarci: questo è un limite che testimonia il ritardo delle nostre infrastrutture. Non si può più parlare di trasporto marittimo senza includere anche le operazioni di imbarco e sbarco: sarebbe assurdo avere mezzi velocissimi, che poi impiegherebbero un’ora per l’attracco e lo sbarco. Inoltre, non dimentichiamo che il porto è un sistema complesso, e chi abita nelle vicinanze non può lamentarsi di certe “controindicazioni”, come il rumore, perché il trasporto marittimo è un servizio indispensabile, anche se comprendo i disagi».

FRANCESCO FERRANDINO

 

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