LE OPINIONI

IL COMMENTO Assuefatti a una società che si sta sgretolando

DI ANTIMO PUCA

Il refrain della canzone di Enzo Jannacci – “Vengo anch’io? No, Tu no” – potrebbe sembrare l’incipit di un racconto allegro e divertente. Purtroppo, non è così. Siamo divenuti, ormai, assuefatti ad un “sistema” politico-amministrativo malato, spregiudicato, depauperato di qualsivoglia seria e proficua progettualità. Siamo quasi anestetizzati di fronte ad una società che si sgretola sotto i nostri stessi occhi. Ebbene, c’è ancora qualcuno, in mezzo alla folla, che, spettatore di questa torre che si frantuma giorno dopo giorno, riflette, sente e immagina un futuro. Lontanissimo dai polli da batteria anemici di Zelig, da quelle risate che sembrano registrate anche dal vivo, dai tormentoni triti, dallo sberleffo innocuo del potere di turno. Molto distante anche dall’italiano aziendale con degradazione anglofona, arrogante e ingolfato negli intercalari da yuppies.

Chiudere la porta a quelle centellinate realtà che, quotidianamente, 24 ore su 24 fanno del popolo un epicentro di sana informazione, sviluppo di competenze, conoscenza e tutela dei diritti significa, in un gioco perverso e autolesionistico, murare la finestra della vita. In virtù degli obiettivi evolutivo-giornalistici diviene necessario e perentorio far luce su chi ci “rappresenta” che “dovrebbe” secondo una definizione enciclopedica partecipare  <<…con l’azione, lo studio, l’impegno, ecc. alla vita pubblica… la disponibilità ad attuare programmi, progetti e sim. di significato e importanza politica.>> (Treccani.it ). Dire “no” a quelle poche, pochissime possibilità in cui la società politico-amministrativa potrebbe riscattarsi, riconquistando un filo di rispetto agli occhi di chi ancora sa guardare oltre il cancello, è un colpo mortale auto inferto. 

Ciò conferma: che per la larva istituzionale che vive in contemplazione dei detriti di cui lei stessa diviene attrice,  la parola “competenza” non è mai esistita e non esisterà mai; che non studiare, conoscere, approfondire è anticamera di pena capitale; che la dignità non rientra nel decalogo delle priorità della vita; che l’essere avulsi dall’evoluzione culturale e umana è l’epilogo di un atto teatrale in cui si è protagonisti di un trono eretto su un cumulo di melma e rifiuti; che “logica di scambio” è valida sempre e bisogna prepararsi al prossimo atto, dietro la porta, con un nuovo scenario e nuovi tristi e insulsi protagonisti; che  se non si è in grado di capire quanto beneficio possa produrre credere nel popolo significa che il diritto alla vita stessa viene negato; che non si può respirare autonomamente se l’unico strumento che tiene in vita è il “bacino di voti” che garantiscono la celeberrima “pagnotta”; che  non basta sorridere alle inaugurazioni per sentirsi in pace; che non è possibile dormire sereni sapendo di essere i fautori o complici di un disastro ambientale effondente percolato e scuole, abitazioni, palazzi a rischio idrogeologico o con amianto che semina, silentemente, morte; che non saranno la “busta paga” o i propri interessi soddisfatti a salvare dal futuro impietoso in cui le proprie orme ergeranno un unico vessillo: LA VERGOGNA; che il delitto efferato verso le generazioni future prima o poi dovrà pagare il conto che la vita riserva. 

È ora di dire basta a questa gente pagata coi soldi pubblici – è il vero tormentone della storia politica. Sono parolieri, l’allegra combriccola dei politici di turno che si svegliano appena si rendono conto che manca poco all’inizio dello spettacolo. In genere le stampelle alla Enrico Toti si gettano con furia contro l’annunciato politico processato nelle intenzioni di voler sciorinare pericolosissimi imbrogli.

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Talvolta il paese, anziché essere una Repubblica fondata sul lavoro, sembra esser tenuta insieme dalle tragedie. L’alta politica ha solcato i luoghi della tragedia promettendo da un lato il “rigoroso accertamento delle responsabilità”, e dall’altro che lo Stato “garantisca sicurezza” ai suoi cittadini. Giustizia e sicurezza sono il collante senza il quale un paese perde il senso stesso di comunità. l’Italia funestata dai disastri ha eletto ad eroi imperituri i vigili del fuoco perché sono uomini abituati a vedere cose che nessuno mai dovrebbe. Ciò che è venuto giù ha provocato uno squarcio nel cuore di Ischia, una ferita profonda che nessuna doverosa giustizia può cancellare. Ischia non si arrende: l’anima del suo popolo continuerà a lottare. Come altre volte, sapremo trarre dal nostro cuore il meglio, sapremo spremere quanto di buono e generoso vive in noi.  Il destino non si sceglie. Ma Ischia saprà rialzarsi. 

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L’alta politica lascia Ischia con le promesse da mantenere e la gente con il dolore nel cuore e la paura di dover vivere altri momenti come questo. Dal porto si alza la voce delle sirene. Un suono sordo e prolungato, l’ennesimo simbolo, che quest’isola conosce bene e che si usa per dire addio. Ma anche benvenuto.

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