LE OPINIONI

IL COMMENTO Autonomia differenziata: il Sud, le sue colpe e il 1861

DI BENEDETTO MANNA

Guai ai vinti dicevano i conquistatori romani. Ormai storicamente siamo condannati a rappresentare, come Mezzogiorno, il luogo più problematico e incompiuto del nostro Bel Paese. Con la proposta di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, dopo quella inattuata sul federalismo fiscale, sempre a suo nome, ci ritroviamo di nuovo nell’occhio del ciclone per essere additati come la parte della Nazione che sottrae impunemente, senza arrossire, risorse dalle Regioni più virtuose. Diventiamo così nuovi Giuda, previsti dalla Storia, per dar luogo al corso degli Eventi, così come vengono voluti dai potenti di turno, non certo “Illuminati”. Ben venga finalmente, si pensa, dopo tanto sperperare, il momento di far abbandonare la nave, senza mezzi di salvataggio (alla faccia della sussidiarietà), lasciati definitamente al proprio destino, con grande soddisfazione, si osservi bene, non del popolo italiano, ma di quella parte del potere che è sempre stato di tipo affaristico, corporativo, padronale, che fin dall’Unità d’Italia, ha considerato il nostro Meridione come terra di conquista, per poter gestire meglio le sue risorse e le sue genti, tramite il sostegno di una politica faziosa e corrotta, che ha voluto scrivere anche la storia per legittimarsi. Siamo lasciati a persistere nell’ignoranza, nell’individualismo, nell’opportunismo (per non dire peggio), nella scarsa fiducia per un futuro dignitoso, nelle ristrettezze economiche, in pratica nell’impossibilità di poter essere alla pari con il resto del Paese, senza sentirsi cittadino di seri B della Nazione, perché risulti “brutto, sporco e cattivo”.

A questo punto è però doveroso rendersi consapevoli di una verità, che viene ad arte non enunciata palesemente. L’Unità d’Italia è stata una forzatura e non rientrava pienamente nell’ideologia popolare. Per il Meridione in verità è stata l’inizio della sua capitolazione, alla quale ci si oppose con il cosiddetto Brigantaggio, che ha rappresentato la prima testimonianza di resistenza e lotta civile, con i suoi martiri, della neonata Nazione, anche se oggi non si rinnega più, per numerosi fattori storici, il senso di appartenenza alla Madre Patria, per la quale vederla di nuovo spezzettata, suona come oltraggio a tutto ciò che essa unisce. Con l’autonomia differenziata, che si va proponendo, avocando a sé tutte le deleghe, si riproduce la continuità storica con le stesse identiche situazioni di 164 anni fa con l’annessione del Sud d’Italia al Regno Sabaudo. Da quel momento le condizioni di vita del Meridione, senza ombra di dubbio, lo dico per i perplessi, sono peggiorate, fino ad arrivare ai giorni nostri, per essere ancora valutati come un peso per il Paese. Come si dice “cornuti e mazziati”. Qualcuno potrà obiettare che prima stavamo messi peggio. Basta osservare solo, per confutare, che l’emigrazione non era, prima dell’unificazione, ancora un’esperienza vissuta sulla propria pelle e che il Regno delle Due Sicilie godeva di un proprio tessuto produttivo, oltre che agricolo, come raccontano le fabbriche siderurgiche di Pietrarsa a Portici, di Mongiana, che nel 1860 dava lavoro a circa 1500 operai in Calabria, i cantieri navali di Castellamare di Stabia, le seterie di S. Leucio, ante litteram modello Olivetti di Ivrea, ecc. Si deve invece ammettere per fedeltà storica che è stata compiuta dall’allora Regno Sabaudo un’aggressione economica alle strutture produttive economiche del Regno annesso, con il prosciugamento dei ricchi forzieri del Banco di Napoli e come avvenne nel 6 agosto 1863, quando ci fu l’intervento armato contro i lavoratori napoletani in sciopero contro la chiusura programmata dello stabilimento di Pietrarsa, in favore dell’Ansaldo di Genova.

L’autonomia differenziata, approvata al Senato in settimana, ha le stesse caratteristiche di aggressione economica, iniziata 164 anni fa, che si è già attualizzata con i criteri della “Spesa storica”, nella ripartizione delle risorse regionali. Adesso per renderla operativa si dovrà attendere, entro due anni, ad una definizione truffaldina dei “LEP” (Livelli Essenziali delle Prestazioni), “senza oneri per lo Stato”, ispirata dalla politica dello scarto per chi è più svantaggiato ed è anche meridionale, come segno di colpevolezza. Lo scopo mal celato è sempre lo stesso, far sprofondare di più il Sud, per continuare ad essere terra di dominio, oggi come allora, utile da sfruttare per manovalanza e altro; in pratica tutti camerieri, non nel senso dignitoso di lavoratore di strutture ricettive, ma di un Italia spaccata in due, dove una parte prevale sull’altra. Senza alcun riguardo per l’art.3 della Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…”: vera priorità tra le priorità per lotta senza quartiere alle diseguaglianze sociali. Il principio della spesa storica applicato al Welfare locale, per la distribuzione della spesa sociale per i comuni italiani, agisce come un Robin Hood al contrario. In base a una valutazione dei fabbisogni standard, se non hai erogato un servizio, come per esempio gli asili nido comunali, può significare che non ne avevi bisogno, senza sapere che si va a violare il principio di solidarietà nazionale. Di conseguenza, nel Sud abituati a non avere niente, si avranno meno risorse. Si avrà un fabbisogno sociale basso dove ci sono più disoccupati e poveri e viceversa dove c’è più benessere e occupazione. Non è poi questa una visione territoriale “selettiva”, se prevale quanto hai speso su un fabbisogno standard? I comuni più deboli sono discriminati rispetto a quelli con una spesa storica importante e con una Pubblica Amministrazione efficiente.

Con la legge n.42/2009 del Federalismo Fiscale è stato previsto un fondo di solidarietà per coprire il fabbisogno e la capacità fiscale dei comuni in difficoltà, ai sensi del dettato costituzionale che prevede un federalismo efficiente e solidale, ma non ha funzionato. Adesso con il testo di legge sull’Autonomia differenziata è previsto che le singole regioni potranno chiedere fino ad un massimo di 23 materie: dalla Tutela della Salute all’Istruzione, Sport, Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero. La concessione di una o più “forme di autonomia” è subordinata alla determinazione dei LEP, cioè quantificare i servizi a cui un cittadino ha diritto in modo uniforme sull’intero territorio nazionale: asili nido, scuole a tempo pieno, infrastrutture, servizio alla persona, servizio a domanda individuale; per allineare le esigenze degli italiani alla statura del Paese. Orbene, venendo al nocciolo della questione, quanto un cittadino italiano dovrebbe avere se le autonomie fiscali entrassero in vigore? Nei palazzi ministeriali dell’economia hanno simulato un calcolo e hanno nascosto i risultati in un cassetto perché è il castello di carta che non sta in piedi. Le risorse non ci sono e il Paese verrebbe spaccato dalle REGIONI STATO. Esse, facendo leva sulla riduzione del residuo fiscale (differenza tra quanto i cittadini della Regione pagano in tasse e quanto lo Stato spende per offrire servizi), e in presenza di una nuova competenza finanziaria per incamerare più quota di tasse (IVA, IRPEF, legate all’andamento della crescita economica, riscontrabile nelle regioni ricche Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), saranno le uniche che potranno beneficiare dei servizi migliori e più efficienti. In sintesi con l’acquisizione delle 23 materie si impadronirebbero delle risorse dello Stato per gestirle direttamente, mantenendosi le somme risparmiate, e avrebbero in più la facoltà di agire per la tassazione del sovra gettito. Lo Stato assicurerebbe pure i LEP, in presenza di passività. Prendono tutto il banco. Le Regioni del Sud, che non sono nelle stesse condizioni di quelle ricche, non chiederanno l’Autonomia e dovranno cavarsela con i LEP assegnati, che al momento sono un’incognita, non potendo prevedere come saranno stabiliti e se potranno coprire tutti i fabbisogni standard, con la speranza che non si ricada nell’inganno del gioco delle tre carte come avvenuto con le risorse assegnate sulla base dei dati storici, che come visto può corrispondere a uno “zero al sud”, come documentato sull’omonimo libro del giornalista Marco Esposito. Rimane da dire agli AMMINISTRATORI LOCALI nostrani di cominciare ad amministrare in modo più oculato, in modo virtuoso, ricorrendo a tutti i fondi europei e non, perequativi (per competenze, strutture e personale), messi a disposizione, perché altrimenti il rischio è di trovarsi annullati e di diventare “camerieri”, in senso cattivo, trascinando ad esserlo tutta la popolazione. Sanità, Trasporti, Asili Nido, Istruzione, Cultura, Ambiente e Territorio, Urbanistica, Edilizia privata e pubblica, sono tutti settori che meritano di ricevere la giusta attenzione a prescindere da qualsiasi LEP, per tenere alto l’orgoglio e il senso di appartenenza di tutta la comunità isolana.

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