LE OPINIONI

IL COMMENTO Il turismo delle tre crisi (e di un terremoto)

Matteo Maggiori 36 anni, professore ordinario di Finanza all’università di Stanford, dice che i giovani economisti sono gli “economisti delle tre crisi“: la Grande Crisi del 2008, la crisi del debito sovrano del 2012 e quella attuale. Qualcosa di analogo accade al nostro turismo. Ci leccavamo le ferite della crisi del 2008 quando piomba sull’Italia – più che in altri paesi – la crisi del debito che trucida le piccole imprese. Il tempo di rilassarsi un attimo e arriva il Covid- 19. In mezzo il terremoto ad Ischia. Insomma non c’è pace per il turismo. Ma il problema non è solo questo. Le tre crisi e il terremoto hanno formato, infatti, una generazione di imprenditori del turismo coraggiosi, intraprendenti e innovativi: una sorta di cavalieri dell’Apocalisse cui si devono i numeri positivi degli ultimi anni nonostante i cataclismi sopraelencati e la complessiva tenuta del sistema. Ma ora c’è qualcosa di peggio. Molto peggio. Il Covid-19 infatti non è un virus, è la fine di un’epoca. Dopo di lui nulla rimarrà intatto.

Non è solo una questione di vaccino (che prima o poi arriva) di mascherine con le quali dovremo convivere o di App. Non è neanche una questione filosofica perché in tempi di guerra le libertà individuali devono cedere il passo alla salute pubblica, come è sempre stato e come sta avvenendo. In un frangente in cui molti non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, non è opportuno neanche intrattenersi sulla fine della società liquida o sulla globalizzazione che insieme alle crisi porta da un angolo all’altro del pianeta anche i virus, né più né meno di quanto avvenuto sistematicamente in passato. La peste del 1348 e la spagnola del 1918 hanno dimezzato la popolazione europea. Il fatto è però che il Covid-19 muterà il pensiero e le politiche economiche dei prossimi dieci anni. “La crisi ha fattezze nuove.” – sostiene Maggiori – “la pandemia non ha soltanto infettato i corpi delle persone e messo alla prova le leadership politiche. Sta conferendo caratteri paradossali a questa recessione. Questa è una crisi sia di domanda che di offerta”. Il carico da undici arriva da altri illustri economisti e storici: Gordon Lichfield, direttore di Technology Review, in un articolo tra i più cliccati in rete, sostiene per esempio che quella imposta dal Covid – 19 sia l’inizio di uno stile di vita completamente diverso. A breve termine il contraccolpo è, infatti, per le imprese che contano su un gran numero di persone che si riuniscono in massa: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, gallerie d’arte, centri commerciali, fiere dell’artigianato, musei, concerti, luoghi sportivi, compagnie di crociera, compagnie aeree, trasporti pubblici, scuole private. Insomma il turismo e il suo indotto.

A Lichfield, fa eco tra gli altri lo storico israeliano Yuval Noah Harari che parla dell’inizio di uno stile di vita completamente diverso che darà un impulso decisivo alla Shut-in economy, l’economia on demand che vede svolgere le transazioni prevalentemente online. E questo è la notizia peggiore: perché il turismo non può essere praticato on line. Almeno sino ad oggi. Alcuni dati: 115 miliardi di euro (4 volte il valore dell’agroalimentare e oltre 4,5 quello generato dal tessile compreso la moda). 3,56 milioni di posti di lavoro pari al 14 % dell’occupazione in Italia. 33.000 esercizi alberghieri con 2.261.000 posti letto. 430 milioni di presenze registrate nel 2018 di cui il 50,5% straniere. Questi numeri del turismo italiano sono tali da richiedere un sostegno pubblico senza se e senza ma e in tempi rapidi. Non è facile capire quale scenario ci attende, anche perché essendo il turismo sinonimo di società e di mobilità, le sue sorti sono legate a filo doppio con gli eventi internazionali che dipendono da fattori non controllabili persino dagli stessi attori: si pensi a Trump e alla ricetta del disinfettante in vena per curare il coronavirus, all’immunità di gregge di Johnson e alle amene riflessioni di Lagarde sugli aiuti all’Italia. Si possono avanzare solo alcune timide previsioni.

Il turismo internazionale, rispetto a quello domestico avrà bisogno di più tempo per riprendersi in quanto è lecito ipotizzare che l’emergenza durerà a lungo e la ripartenza dei trasporti internazionali richiede un’organizzazione più complessa. Aerei, treni, autobus e navi potranno trasportare meno passeggeri con conseguente aumento dei costi. Idem per i trasporti pubblici locali. E’ lecito pensare che per questioni di sicurezza si ricorrerà al trasporto individuale e si opterà, prevalentemente, per un turismo di prossimità. Alberghi: tolte igienizzazione e disinfezione più accurate e sistematiche, le strutture possono, senza costi aggiuntivi, accogliere turisti, ma per gli spazi comuni, hall, ristorante, sale convegni, sala TV avranno grandi difficoltà a garantire il distanziamento sociale. Si può ipotizzare che come luoghi per il pernottamento saranno preferite, almeno nel breve periodo, strutture più piccole come appartamenti per vacanze, esercizi di affittacamere, B & B. Per ristoranti, bar, locali di intrattenimento è veramente difficile pensare al distanziamento dei tavoli per un gruppo di amici che vanno al ristorante o al bar a meno di non esibire la patente di immunità che deve possedere ogni componente del gruppo. Stabilimenti balneari: il distanziamento sociale farà sì che ogni bagnante sia distante dagli altri il che se per gli adulti potrebbe funzionare, per i bambini che rappresentano il motivo principale della vacanza al mare, non è immaginabile. Per le terme vale lo stesso discorso con l’aggravante che il virus ha una velocità di propagazione maggiore negli ambienti umidi. Commercio: il distanziamento sociale influisce negativamente sui costi per le imprese e riduce il piacere dello shopping per i clienti. Escludiamo del tutto eventi sportivi e concerti. Una situazione di incertezza perdurerà dunque sul settore per molto tempo ed è ipotizzabile una ripartenza solo nel momento in cui sarà messa a punto una cura farmacologica efficace per il trattamento della malattia. Nel frattempo è importante ripensare alle architetture delle strutture ricettive dimensionando in maniera adeguata gli spazi comuni e questo, per le strutture esistenti, potrebbe richiedere cospicui investimenti. Per tutto il sistema di offerta ad iniziare dagli alberghi occorrono – come detto – contributi pubblici sia a fondo perduto che con il sistema del credito di imposta. La ripartenza sarà sicuramente complessa se si pensa, per esempio, che gran parte dell’offerta era venduta a tariffe variabili che puntavano alla piena occupazione dei mezzi di trasporto, degli alberghi ecc. Bisognerà ripensare e riprogettare nuovi modalità di vendita.

Per quanto riguarda la domanda è necessario superare un aspetto di carattere psicologico. Non è facile pensare al relax indossando mascherine e guanti e rispettando il distanziamento sociale. Per questo motivo nella prima fase di ripartenza potrebbe essere utile cercare di intercettare quei turisti già abituati a viaggi con queste precauzioni; in particolare cinesi e giapponesi. La grande bellezza dei nostri luoghi ma anche il lavoro di generazioni di imprenditori, di operatori dell’offerta, di decisori politici e di cittadini hanno reso il sistema dell’offerta turistica italiana tra i più competitivi a livello globale. Questo patrimonio che cresceva a ritmi elevati nel quinquennio prima dell’epidemia rischia di essere vanificato. Una prospettiva non rosea dunque per il nostro turismo che poi significa una parte determinante dell’economia nazionale e campana in particolare. Ma sicuramente un’occasione di crescita, di riflessione e ripensamento. Il modello di sviluppo cui siamo abituati non regge e non serve dare la colpa a serpenti e pipistrelli. Serve invece ripensare ai luoghi dell’abitare, alle forme di economia circolare alla sperimentazione di forme di mobilità sostenibile, ad un welfare state che garantisca un sistema di medicina diffusa in grado di resistere ad eventuali aggravamenti della situazione pandemica. Ad un turismo che crei ricchezza diffusa e che valorizzi e non mortifichi le risorse naturali che sono di tutti anche di quelli che non beneficiano direttamente dell’indotto turistico e soprattutto dei nostri figli.

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Bisogna prendere atto che ogni località potrà accogliere un “numero chiuso” di visitatori commisurato alle proprie infrastrutture e attrezzature di accoglienza. Numero oltre il quale si rischia di compromettere la vacanza del turista con maggiore probabilità di contagio. Questo che apparentemente potrebbe costituire una negatività potrebbe invece rappresentare un’opportunità per località congestionate, che soffrono di eccessiva pressione turistica. Utile per ridefinire anche la progettazione dei nostri alberghi dove spesso a fronte di un grande capacità ricettiva ci sono spazi comuni estremamente piccoli. In particolare per le piccole isole il modello sostenibile appare l’unico sensato soprattutto in vista di un distanziamento sociale che rimarrà a lungo e che non consentirà numeri, in termini di presenze, elevati come quelli cui eravamo abituati. Dobbiamo pensare piuttosto ad un’offerta che privilegi la qualità alla quantità che non possiamo più contenere e che comunque non ha garantito sino ad oggi i livelli di qualità della vita sperati. Pensiamo ad Ischia e ai livelli di povertà a dispetto di numeri di turisti elevatissimi. Non bisogna inventarsi nulla: c’è la teoria: il dossier “Pandemia e sfide green del nostro tempo” presentato in web conference dal Green City Network e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in partnership con Ecomondo – Key Energy. è solo l’ultimo in ordine di tempo. E ora c’è anche la necessità perché dopo Covid – 19 nulla rimarrà intatto. E se siamo bravi miglioreremo la vita nostra e quella dei nostri figli.

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Articolo ben articolato e molto interessante, anche se per alcuni punti non del tutto condivisibile.
Personalmente non mi verrebbe mai in mente di andare in un b&b o in un affittacamere, piuttosto oggi opterei per una struttura alberghiera di alto livello, in grado di garantire pulizia e privacy nonché colazioni, pranzi e cene in camera o all’esterno in terrazze comuni ma sufficientemente ampie.
Per buget di livello medio preferirei invece un residence con angolo cottura o se con famiglia, per un alloggio in affitto breve, che sono disponibili sul mercato per tutte le tasche. Da escludere i grandi complessi alberghieri con stanze minime prive di terrazzo e spazi comuni non proporzionati al numero di ospiti.
Per il resto è vero che il turismo non potrà avere più i numeri di prima, quindi sarebbe più saggio orientarsi per una riduzione del numero sproporzionato di attività, nate come funghi negli ultimi anni, e per una riconversione adeguata di quelle meno adatte a sopravvivere al nuovo trend, visto che occorrerà convivere per circa un biennio con questo maledetto virus cinese!

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