LE OPINIONI

IL COMMENTO La crisi del modello sociale

DI GIUSEPPE LUONGO                                                                                                                                  

La crisi del modello sociale di una comunità ha un’intensità variabile, proporzionale all’entità e vastità e variabilità della causa che l’ha determinata. Esiste anche una legge fisica che governa la frequenza delle crisi, sia che abbia una sorgente prevalentemente fisica che antropica e non mancano correlazioni tra le due cause. Questo aspetto va chiarito, altrimenti la scelta delle azioni da attivare per la mitigazione degli effetti può risultare erronea. Ebbene, semplificando l’analisi, un evento naturale intenso come un terremoto o un’alluvione non solo produce danni al patrimonio della comunità interessata dall’evento, ma riduzione o arresto delle attività produttive e delle infrastrutture di comunicazione o ancora delle attività del tempo libero e della mancanza delle strutture di accoglienza, se l’attività della comunità è rivolta maggiormente verso il settore turistico, come ad esempio si osserva nell’isola d’Ischia. La conseguenza della catastrofe naturale induce effetti negativi nella economia e nella vita sociale anche per l’incertezza del futuro che accompagna il ritorno alla normalità. Pertanto, in un’area disastrata bisogna intervenire immediatamente non solo per il soccorso, ma realizzare in tempi brevi il recupero della vivibilità proiettando la comunità verso il futuro, utilizzando la catastrofe come occasione di rinnovamento economico e sociale. Ma la mancanza di un tale obiettivo è ben nota a quanti sono stati coinvolti in una catastrofe naturale; tuttavia, la loro esperienza non è di insegnamento ad altre comunità esposte agli stessi rischi, né alla comunità che occuperà lo stesso territorio a rischio, in anni successivi, quando i disastri, più volte ripetutisi, sono lontani nel tempo. 

Un esempio di tale comportamento è quanto accaduto a Casamicciola, dove le catastrofi si sono più volte ripetute dalla fine del Settecento e la stessa parola “casamicciola” ricorda un luogo disastrato. Questo è un problema che possiamo definire culturale, in quanto la prevenzione non si costruisce accumulando esperienze negative, ma utilizzando la conoscenza acquisita sull’azione dei fenomeni naturali e i conseguenti effetti ai beni materiali e immateriali e alle persone fisiche. Spesso, e per fortuna, i fenomeni intensi hanno una frequenza bassa, tale che i componenti di una comunità raramente sperimentano più volte nella vita lo stesso dissesto. Questa, purtroppo non è una regola che la natura rispetta, infatti, dallo studio delle catastrofi emerge, frequentemente, che un territorio possa presentare più crisi in brevi successioni, quando il sistema è in crisi e non ritorna alle condizioni normali fino a quando non è stata scaricata tutta l’energia accumulata. Non manca l’esperienza sugli effetti negativi di una catastrofe naturale sull’economia della comunità, ma esiste anche l’interazione opposta con la crisi economica che produce disattenzione verso la cura del suolo e la difesa da eventi calamitosi intensi. Se tale comportamento trova una qualche giustificazione nel corso di profonde e prolungate crisi economiche, per la difficoltà di bilancio della cosa pubblica, diventa una grave manchevolezza non procedere nella realizzazione di una politica di prevenzione, quando sono floride le condizioni economiche della comunità esposta ai rischi. La storia dei disastri naturali mostra che le comunità che hanno attraversato le crisi degli eventi naturali estremi, hanno realizzato una transizione ecologica, ovvero hanno risposto, chi meglio e chi peggio, ai fenomeni naturali con azioni che hanno reso il territorio maggiormente resiliente. Ma questi processi hanno interessato il territorio a macchia di leopardo, perché gli eventi si sono succeduti in aree diverse e in tempi diversi, mai una visione globale nella difesa da tali eventi.  

Oggi emerge sempre più pericoloso il fenomeno del cambiamento climatico globale e la risposta non può essere locale ma globale, come il fenomeno. Qualunque sia la causa, antropica o naturale, tutti subiscono gli effetti negativi di tale cambiamento e, nel caso dell’origine antropica, come afferma l’organizzazione delle Nazioni Unite sul clima, siamo anche tutti, chi più, chi meno apportatori di inquinamento. Il cambiamento climatico globale non è un processo che si manifesta solo con un peggioramento lento della qualità dell’ambiente, ma con l’intensificarsi degli eventi estremi, quali precipitazioni, inondazioni, oscillazioni dei valori delle temperature dell’aria e del mare, scioglimento dei ghiacciai, siccità, variazione del livello del mare.Il monitoraggio di tali fenomeni avviene nell’ambito dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO,World Meteorological Organization) delle Nazioni Unite con sede a Ginevra.Ma per la sicurezza non è sufficiente un ottimo monitoraggio dei fenomeni che caratterizzano il tempo e il clima; occorrono strutture adeguate alla crescita della pericolosità idrogeologica e idraulica, come paventano gli studi sul clima globale. Quanti vivono in aree a rischio, dopo le tragiche esperienzerecenti per il succedersi dei disastri, temono che le misure che si adottano per la sicurezza siano insufficienti e si pongono la domanda se i modelli utilizzati per la valutazione della pericolosità idrogeologica e idraulica da parte dell’Autorità di Bacino siano stati aggiornati ai dati rilevati sul clima e sul tempo negli anni recenti, dopo l’istituzione delle Autorità di Bacino nel 1989.

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