LE OPINIONI

IL COMMENTO Le rivoluzioni della comunità ischitana

DI GIUSEPPE LUONGO

Se si osservasse con i ricordi sprofondati nella memoria lo scenario dell’isola d’Ischia e si rapportasse a quello attuale, emergerebbe una storia di rivoluzioni e involuzioni culturali e sociali che ha attraversato la comunità isolana, trasformando profondamente il quadro antropologico culturale accompagnato da uno sviluppo economico tra i più alti della società meridionale. Chi scrive è stato un testimone a distanza, non vivendo le vicende della comunità locale, e a sbalzi per l’alternarsi di contatti che per varie motivazioni diventavano più radi o più frequenti e di più lunga durata. I primi corrispondono al periodo della fanciullezza e i secondi all’età matura. Così nei primi anni ’50 apprendevo che la parte meridionale dell’isola era un paradiso naturalistico e Sant’Angelo era un borgo di pescatori, meta frequentata da chi voleva vivere un’esperienza lontano dallo sviluppo che mostrava i segni della contrapposizione alla natura. La natura dell’Isola e la storia della colonizzazione greca furono illustrate dalle ricerche di Alfred Rittmann e da Paolo e Giorgio Buchner con risultati straordinari per la Vulcanologia e l’Archeologia. Ischia diventò un attrattore per le sue caratteristiche dell’ambiente fisico e antropizzato con i suoi centri abitati di comunità di pescatori e di contadini. Questa intersezione tra culture creò un clima dalla vivibilità armonica tra diversi, tale da richiamare sempre di più l’attenzione verso l’Isola. Questo processo è stato accompagnato da una vera e propria rivoluzione mentale della comunità di pescatori, agricoltori e artigiani per accogliere gli ospiti che portavano un benessere economico mai provato; e un’altra rivoluzione c’è voluta per passare dall’accoglienza alla gestione organizzata dell’accoglienza.Fino a quando l’ospitalità si è mantenuta su livelli contenuti nel numero e alto nelle aspettative qualitative del benessere che l’Isola potesse offrire, le trasformazioni del sito sia naturali che culturale non hanno ferito il fascino del luogo.

La comunità ischitana e gli ospiti non ambivano a mutare quello stato in cui vivevano, ma poi quel mondo è diventato un fondo al quale tutti attingevano senza prudenza e il risultato è stato la rottura delle armonie culturale e naturali, subendo il territorio e la comunità delle vere e proprie catastrofi. L’offerta di luogo del benessere che caratterizzava Ischia si è impoverita, venendo meno il fascino di vivere un’esperienza con una comunità nella quale si erano stratificati miti, tradizioni e saperi dei popoli che avevano tracciate rotte nel Mediterraneo e costruiti insediamenti negli ultimi tremila anni. Pertanto, se ad una comunità che ha subito il processo di urbanizzazione, annullando le differenze dei ruoli produttivi che generavano saperi e valori diversi, diverse mappe cognitive e che solo in particolari circostanze si fondono, si aggiunge la riduzione degli attrattori naturali per una gestione del territorio a dir poco confusa, per usare un eufemismo, viene a mancare l’interesse per una realtà naturale sognata, divenuta luogo dell’omologazione. In passato ci sono stati blocchi da superare non solo per il saper fare, ma anche per il timore dell’ignoto, e blocchi sono anche nella vita economica. Una transizione importante per l’Isola avviene in risposta al disastroso terremoto del 1883, quando tecnici di valore e un Ministro coraggioso trasformarono profondamente l’assetto urbanistico dell’area terremotata e fu realizzato un centro di monitoraggio geofisico in funzione della sicurezza della popolazione. L’Isola sperimentò anche l’alluvione drammatica del 1910, alla quale si rispose con un intervento di risanamento idraulico del Monte Epomeo. Poi poco o nulla è stato realizzato per la difesa dai due rischi, sismico e idrogeologico; al contrario l’Osservatorio Geofisico fu chiuso e le opere idrauliche furono lasciate scomparire al disotto delle frane e dei rifiuti. Neanche il centenario del terremoto nel 1983 ha prodotto un’inversione in questa scelta dell’oblio per il timore che la parola rischio potesse produrre un’immagine negativa allo sviluppo del turismo. Se la comunità isolana non ha sostenuto nel lungo periodo la necessità del funzionamento delle strutture tecniche per la difesa del territorio, accettando il loro degrado e scomparsa, ciò è accaduto perché ha ritenuto che si trattasse di cose di nessuna importanza, mentre l’esperienza dei recenti disastri ha mostrato che quella era la cosa importante da fare.

Occorre una nuova rivoluzione per superare il blocco attuale del cambiamento del clima globale e delle nuove tecnologie che sono sotto il segno dell’intelligenza artificiale (A I). Il superamento di questi blocchi produce sia la crescita della sicurezza del territorio, che quella della vita economica. Le occasioni o, meglio, i segnali della necessità del cambiamento nell’Isola in questi anni non sono mancati, sia per gli eventi naturali che per la dinamica della globalizzazione. La nuova rivoluzione deve prevedere l’allineamento della tecnica con la ricerca, altrimenti la tecnica, con l’avanzamento tumultuoso della conoscenza scientifica, resta nella sfera di un modello conoscitivo in parte superato e, questo non è accettabile da una comunità che deve competere con concorrenti agguerriti, proprio sui temi delle risorse ambientali. Ma una comunità in ritardo nella ricerca disconosce il valore della conoscenza come strumento di sviluppo.

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Elvira Petrachi

Esatto…

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