LE OPINIONI

IL COMMENTO L’isola e il dibattito sugli autovelox

DI LUIGI DELLA MONICA

Una dolorosa polemica sociale si è scatenata nella trascorsa settimana sulla petizione che il Collega Vito Mazzella promuoveva per l’abolizione delle postazioni autovelox sul territorio isolano. Sono insorte le forze intellettuali, come il comitato “La Strada del Buon Senso” ed i familiari delle vittime della strada. Ho letto fazioni di supporters oppure di detrattori della iniziativa darsele di santa ragione sui social. Mi rammarica soltanto che una libera manifestazione di pensiero, se pur minoritario, sollevi un polverone così forte, del tipo di una tempesta di sabbia del deserto, alias “desert storm”. Prima che eventuali giudizi affrettati sul mio intervento possano bollarmi in un senso ovvero in un altro, chiarisco per onestà intellettuale che sono perentoriamente a favore degli autovelox e della moderazione nell’uso del mezzo circolante a motore. Sono genitore ed in quanto tale rispettoso verso quelle persone che hanno ricevuto la telefonata delle Forze dell’Ordine che li avvisava della perdita del proprio caro congiunto.

Mi interrogo soltanto sul motivo che abbia portato a dissentire circa 150 persone firmatarie della petizione online, che un mio Collega nel rispetto del suo ministero di difensore, come abilitato ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione, ha inteso divulgare ai media locali. Forse è il caso, al di là delle levate di scudi ideologiche, riflettere sulla estrema drasticità della misura, allo stesso tempo come è drammatico constatare che le infrazioni siano state elevate nel numero di rilevazioni. Non posso credere che gli avventori delle strade isolane siano ignari dei luoghi di posizionamento dei tanto sgradevoli marchingegni, perché la rilevanza della notizia è stata fortemente sentita dagli ambienti sociali ed istituzionali.

Non voglio condannare i tanti, credetemi tanti, veicoli che ho visto sorpassarmi stizziti dalla mia andatura sulla “Superstrada”, che non è quella di Clark Kent, ma una corsia a scorrimento veloce che alcuni non vogliono educarsi a percorrere moderatamente. Ma senz’altro ritengo che il moto di sollevazione di alcuni soggetti ragionevoli all’interno dei firmatari della petizione contestata risieda nel fatto che in alcuni tratti disciplinati dai nuovi autovelox la velocità imposta sia troppo rigida da rispettare.

Un’isola che ospita oggi 68mila abitanti solo fra i residenti stanziali certamente non può essere attraversata, ad esempio da Ischia a Forio in 45 minuti, ma certamente non lo può essere in 20 minuti ed a velocità folli. Forse non era il caso di scagliarsi da parte della maggioranza intellettuale contro le petizioni antiproibizionistiche, ma anche per i cosiddetti “no autovelox” va detto che forse non era questo il tempo opportuno di professare un no assoluto ed incondizionato. Ho letto su facebook frasi amare del tipo “basta a fare una cosa, se la consiglia un Avvocato!”. Quest’ultimo inciso mi induce a pensare che spesso non si riflette sul fenomeno oggettivo, ma si tenda a cavalcare l’onda emotiva delle questioni. Mi viene in mente una omologia con il pacifismo antirusso, che ultimamente sta dipingendo la bandiera arcobaleno del “no armi” all’Ucraina come rimedio per fermare la furia genocida di Putin. Abbattere gli autovelox significa riconsegnare la viabilità isolana al concetto di anarchia della velocità, abdicare a quell’effetto deterrente per gli amanti di Vin Diesel, protagonista dei nove film della saga “Fast and Furious”, a trasformare le strade pubbliche in arene di corsa e poi accettare il prezzo elevatissimo che vi possa capitare una povera vittima innocente come la sig.ra Cassandra Mele, ultima in ordine di tempo. Allo stesso modo, arrestare le forniture di armi intelligenti che consentono al valore delle truppe ucraine di proteggere fisicamente le nostre democrazie occidentali, significherebbe perdonare ai criminali di guerra russi gli stupri, le torture, le fucilazioni ai civili, come anche il rischio di lasciare al freddo milioni di persone innocenti, con ciò calpestando 150 anni di storia, di cronaca e di consuetudine del diritto umanitario internazionale. Unica strada possibile è dialogare in sede diplomatica, anche se io credo, umilmente che la Russia faccia la parte del leone, in quanto la Cina non ha apertamente battuto il pugno sul tavolo per indurla a bloccare il conflitto.

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Parimenti, l’isola deve mantenere il massimo rigorismo sulla sicurezza stradale, ma al fine di consentire la metabolizzazione delle nuove norme anche a coloro che dissentono, non deve demonizzarli, ma esortarli alla proposta di mediazione, per eventualmente elaborare a loro cura un progetto di innalzamento dei limiti, ovvero di uno studio progettuale di miglioramento degli attuali sistemi di rilevamento velocità. Ma costoro non si sognino di arrivare oltre la soglia dei 50km orari nei tratti particolarmente pericolosi, perché se è vero che alcune aree consentono l’accelerazione e l’andatura spedita, è altrettanto vero che la elevata densità demografica dell’isola, in inverno, come in estate, crea le premesse perché un pedone possa spuntare dal nulla e provocare un incidente mortale, come è incontrovertibilmente già accaduto. Mi rincresce alla fine della mia riflessione riscontrare che il mezzo telematico acuisce la conflittualità ideologica e non spinge le persone al dialogo ed al confronto autentico. Confido che tutti i malesseri della pandemia potranno diminuire questa aporia del sistema delle comunicazioni, perché non è possibile rimanere schiavi di una piattaforma virtuale governata da un uomo, il quale si fa riprendere mentre porta fra le mani un lavandino ed il giorno dopo mette in mezzo ad una strada circa tremila persone. Mettiamoci la faccia non il click, restiamo umani.

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