LE OPINIONI

IL COMMENTO Quando il calcio va a braccetto con la politica

DI ANTIMO PUCA

Forse solo i più ingenui possono restare sorpresi. Ma tutti non possono non restare scossi dalla naturalezza e dalla sistematicità dell’interazione calcio-politica, calcio-potere economico, calcio-destino di una nazione. Molte dittature hanno utilizzato il calcio come macchina del consenso.Il Mondiale argentino del 1978 (i militari erano al potere con Videla) con i sospetti di combine sul campo e le sanguinose retate di oppositori da nascondere agli occhi dei giornalisti”. Cesar Menotti, l’allenatore di sinistra portò l’Argentina alla conquista della Coppa il cui calcio evocava un’Argentina libera e creativa.

La storia del Barcellona, il club-nazione che ha rafforzato l’identità collettiva dei catalani, come ci hanno narrato le cronache giornalistiche. Il drammatico e pretestuoso Mondiale 1978, organizzato e vinto dall’Argentina militare di Videla, alla finale registrò il più alto tasso di rapimenti e conseguenti scomparse di giovani studenti e oppositori politici, altresì battezzati dalla storia come desaparecidos, il tutto nella logica strategica del panem et circenses per spostare la soglia dell’attenzione pubblica altrove.

In quest’ottica di violenza associata allo sport, il ruolo che è stato attribuito al calcio, in Europa in particolare, è quello di essere la nuova valvola di sfogo d’odio nei confronti dell’altro, del diverso, e di conseguenza è divenuto, de facto, il più grande accentratore d’identità nazionale. Ad esempio il sentimento di rancore covato dagli olandesi nei confronti dei tedeschi ha trovato terreno fertile sul campo da gioco fin dalla finale mondiale persa dall’Arancia Meccanica del ’74 – il centrocampista fiammingo Van Hanegem dirà che i tedeschi “hanno ovviamente gli antenati sbagliati” – per arrivare poi alla vittoria, acclamata come un successo bellico, nell’europeo ’88, con milioni di tifosi in piazza che non si vedevano dai tempi della Liberazione. Il calcio è anche ricordi e rancori della 2° guerra mondiale. La più grande partita del rancore, nel calcio europeo, è stata Olanda-Germania. Nell’estate del 1988 l’Olanda ha battuto, ad Amburgo, la Germania per 2 a 1 nella semifinale del Campionato Europeo. Quella sera Amsterdam visse una nottata memorabile con migliaia di olandesi in piazza Leidseplein che lanciarono in aria le loro biciclette urlando “ci siamo ripresi le nostre bici”. I tedeschi, che nel corso della 2° guerra mondiale occuparono l’Olanda, avevano confiscato tutte le bici. Mattatori di quella ‘storica partita’furono Van Basten (autore dei due goal) Gullit e Frank Rijkard. Calciatori il cui ricordo suppongo provochi,. in ciascuno di noi, un’intensa ondata di nostalgia e un grande rimpianto.

Nel  maggio del 1989 il Milan si aggiudica il primo trofeo europeo dell’era Berlusconi e quindi si festeggia con un sontuoso banchetto. “Tutti i giocatori, dirigenti e accompagnatori del Milan erano già seduti ai tavoli, quando le porte della sala si aprirono ed entrò Berlusconi. Praticamente tutti si alzarono dalla sedia per applaudire e, mentre il presidente avanzava trionfante, da tavolo a tavolo, tutti si protendevano in avanti per stringergli la mano. Quando si avvicinò al tavolo dei suoi tre giocatori olandesi smise di sorridere. Gullit, Van Basten e Rijkard rimasero seduti. E, secondo quanto rivelò Rijkard, addirittura Van Basten continuò a mangiare e Gullit a parlare. Il presidentissimo non sapeva cosa fare e passarono lunghi e angosciosi secondi prima che Rijkard si alzasse per stringergli la mano. La faccia del presidente era salva. Il tempo in cui il calcio era soltanto un gioco o perlomeno uno sport come gli altri è ormai un ricordo di pochi: in certi momenti leggendo i giornali sembra quasi che l’unica speranza per questo incredibile mondo di conservare intatta la sua bellezza sia che quel tempo ritorni. Sono attimi, certo: se tutto tornasse solo piacere, solo festa, solo gioco… ma forse è un tempo che non è stato mai, un finto ricordo costruito ad arte.

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