LE OPINIONI

IL COMMENTO Quando pensare è molto difficile

DI LUIGI DELLA MONICA

“Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi” (Carl Gustav Jung). Mi voglio sbagliare ma questo medico psichiatra e padre di una scuola terapeutica ha significato l’approdo storico di una presa di coscienza significativa da parte della collettività, in ordine alla sua dimensione del giudizio critico in politica.

Questa volta non mi occupo, come ho fatto nelle mie precedenti analisi, di politica nazionale e\o di fatti accaduti sulla terraferma, ma della dialettica iniziata dal sacerdote Don Carlo Candido e dal successivo suo contraddittore Lello Pilato, sugli argomenti spinosissimi delle politiche giovanili e sull’asserito clientelismo della chiesa. Sarò subito chiaro e diretto con i lettori, nell’affermare che non sposo alcuna delle due tesi, ma mi soffermo sulla necessità di riflettere e dialogare in tutte le sedi, culturali ed istituzionali. Vorrei comunque dipingere un quadro descrittivo di satira garbata e divertente, per dirla alla Guareschi, che ci ha portato il benessere economico sull’isola. Anatema! Ma quale sciocchezza ci sta propinando Luigi Della Monica? Voglio trarre spunto da un aneddoto storico reale, per ricordare alla comunità isolana che il contrasto dialettico, ideologico e culturale, il parlare e confrontarsi fa sempre bene alla coscienza collettiva, perché il male assoluto del nostro tempo, a qualsiasi livello, è la testa nello schermo dello smartphone. La chicca storica è quella del “cummenda”, il compianto ed unico Angelo Rizzoli, utilizzò anche gli utili provenienti dalla “Cineriz” per il film “Don Camillo e Peppone”, il cui autore del soggetto era Guareschi, per costruire il suo Hotel “Regina Isabella”.

Mi perdoneranno i protagonisti reali su citati di questa metafora, ma Don Carlo dovrà interrogarsi delle motivazioni profonde dell’abbandono dell’isola da parte dei giovani e Lello Pilato della “grossa” affermazione “la Chiesa produce clientelismo”. L’isola, che nessuno nega essere un paradiso terrestre, si sta avvicinando ad un girone dantesco, come tutta l’Italia in questo periodo storico, ma il Covid è stata solo la spallata finale ad un sistema di valori ormai decaduto. Diciamolo a chiare lettere: fino all’età di dieci anni i bambini vivono in una dimensione quasi onirica e senza apparenti dolori. Si gode del mare da maggio a settembre inoltrato, si fanno passeggiate nella pineta, su in collina, feste con amichetti in case e\o villette da sogno, ambienti circoscritti ed ovattati. Improvvisamente arriva l’incubo della adolescenza, quella fase intermedia fra l’essere autonomi ed indipendenti, di ricercare una identità che però deve fare i conti con le eventuali deficienze della famiglia di origine. In questa fase formativa essenziale, a parte la ormai distruzione dell’istituzione scolastica, sotto gli occhi di tutti, dovrebbe sopperire la chiesa, l’apostolato di don Carlo, oppure l’opera socialdemocratica della tradizione di sinistra del dott. Pilato. Purtroppo, il cyber mondo allontana i giovani da queste realtà di confronto.

Io conosco don Carlo anche laico e cultore delle materie non strettamente canoniche ed ho avuto modo di apprezzarlo e ricordarlo con affetto nel corso pre-matrimoniale seguito e per le “giornate mondiali della gioventù”, per cui è certamente lui un maestro in questo; ma voglio ricordare al dott. Pilato che i giovani orientati in teorie politiche anticlericali ed antiecclesiastiche sono troppo spesso “tentati” dal mettersi una cravattina borghese e perdere il fascino della sciarpa a mezzo collo e dei capelli lunghi. I ragazzi, caro Don Carlo, hanno bisogno di conforti e di essere accettati per quello che sono, ma hanno forte bisogno di una identità individuale, ferma restando l’umiltà che è una virtù sia laica sia cattolica! Questa è la chiave di una distanza generazionale che ad Ischia, come nel resto della Italia del Sud ed anche nella benestante Milano, porta all’abbandono del territorio: non si dimentichi che ci sono centinaia di milanesi che si portano verso l’Estero, perché delusi delle dinamiche clientelari italiane. L’identità che cercano i ragazzi viene illusoriamente amplificata dagli strumenti telematici, generando il c.d. fenomeno del leone da tastiera, ovvero della vittima della tastiera.

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In un baleno si producono effetti catastrofici come anoressia per sembrare più magri ed iconici, bullismo per sopraffare gli altri colmando le proprie insicurezze, per questi ed altri mille motivi i giovani si illudono che abbandonando l’isola pongano fine a tutto. Scendendo alla realtà isolana, i pochi eletti che riescono ad avere un percorso di studi, garantito dalle agiatezze economiche delle loro famiglie, nelle facoltà blasonate di Roma e Milano, mentre i comuni mortali a rincorrere un posticino stagionale in un albergo, per una paga medio-alta che vedranno però tra settembre ed ottobre, anticipando mille sforzi e mille sacrifici da maggio ad agosto inoltrati. Molti di questi giovani sognano da lontano, come se abitassero su Marte, di vivere Ischia durante la stagione estiva, che viceversa subiscono per il caos e per la pelle bianca in pieno solleone. Nel frattempo guardano come spettatori impotenti il degenerare dell’ambiente e della comunità circostante con i terremoti che buttano giù realtà edilizie fatiscenti, il dissesto idreogeologico che viene affrontato con una sorta di rassegnazione generale, la perdita delle conifere centenarie come un fenomeno di indifferenza. Unico rifugio che sembra credibile è lo schermo del proprio smartphone.

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Alle tante mamme e nonne che si rivolgono a Don Carlo per pregare per i loro figli, esorto a guardare le motivazioni serie ed ancestrali che hanno indotto i loro cari dall’abbandonare il paradiso vissuto per i primi 10\15 anni della loro vita e consegnarsi nelle mani di una solitudine ancora più amara ed implacabile di città europee che raramente sono clementi con i forestieri. Prima ancora che i ragazzi si rivolgano ad un pastore della chiesa, oppure ad un circolo politico di coscienza sociale – dicevano alcuni il 20^ secolo sarebbe stato il secolo della riscossa dei lavoratori – bisogna capire che i giovani abbandonano la propria terra natia, perché vedono che i propri familiari, a parte le dovute e serie eccezioni di contesti disastrati, hanno perso la forza di combattere il sistema malato e di far valere la propria voce. I giovani in questo nichilismo si sentono stritolati e soccombono o con la fuga nella ludopatia, nella anoressia, nella dipendenza alcolica, nella alienazione telematica, ovvero con l’emigrazione. Non è l’isola ad offrire clientelismo, ma è l’intero sistema che si basa sulla indifferenza ed il silenzio e l’immobilismo morale. Questo mi fa riflettere sulla statistica della DIA che dipinge l’isola come fattore 0 per la malavita e certo non sono io a contestare, ma la mentalità della indifferenza, che uccise Peppino Impastato sulle sponde della Sicilia, è ugualmente assassina delle coscienze, per cui non posso dire che in questo Ischia sia immune.

* AVVOCATO

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