IL PUNTO Casamicciola tra i presepi del mondo
DI ARIANNA ORLANDO
Ho riflettuto sui paesaggi opachi della sfera casamicciolese, ho rivisto le cose miscelate di fango e non le ho riconosciute. Ho sentito la pioggia battere di nuovo, con inquieta sfrenatezza, contro i vetri e sulle cose macchiate di vita naturale e artificiale-vasi con i fiori, asfalto e lampioni-e ho creduto nel trambusto di sentire lo zoccolo dell’asino che conduceva Maria al suo parto divino. Ho letteralmente immaginato una Madonna in carne e ossa vagare e girovagare tra le aree del Rarone in cerca di un riparo, ho immaginato la mia Maria e il suo Giuseppe – gravidi entrambi di speranza – passare con un lume acceso nelle sere di inverno tra i luoghi sventurati di Casamicciola e ho sentito sollevarsi dal fango argilloso -come un tempo le bibbie dicono che sia avvenuto – gli uomini. Erano gli uomini del presepe: contadini, lavandaie, allevatori, gentili raccoglitori di acqua ai pozzi. Ho creduto di sentirli animarsi, ho percepito l’attesa della speranza e la creatura nel grembo di Maria ha sussultato e forse ha anche pianto.
Nella mia visione sono risorti gli artigiani, i contadini; sono risorte le lavandaie, le fornaie, le sarte e hanno iniziato a lavorare di notte – come gli gnomi delle fate – per cucire quello che si è strappato, per ritrovare ciò che si è perso. Hanno animato un presepe vivente che non era la ricostruzione romanzata e “teatralizzata”(per così dire) della nascita del Cristo, ma la visione metaforicamente così autentica della necessità di rinascita e speranza. Oggi abbiamo bisogno più che mai di qualcosa in cui credere, di un lume – seppure piccino – come quello della lanterna dei pastori e di un sentimento comune di collettività come quello delle loro pecore che si muovono all’unisono. Come Maria ha condotto un viaggio complesso in attesa del suo parto e di suo Figlio, i casamicciolesi sono in attesa e noi tutti siamo in attesa.
Abbiamo assistito inermi allo strabordare del fango, allo strappo di vita che ancora adesso è un buco scucito e lacerato di un ricamo bellissimo; abbiamo assistito all’esodo casamicciolese, abbiamo guardato con diffidenza la coltre di fango e ascoltato con dolore la pioggia dei giorni dopo. Ci siamo augurati che Natale non venisse mai più chè si era spento ormai il concetto di ciò che crediamo sia il Natale. E invece Maria è venuta lo stesso e sventurata, triste nel suo cuore di Madre e al contempo forte e determinata cammina sulle strade infangate e Giuseppe l’abbraccia, il bambino è pronto a nascere e a simboleggiare una nuova alleanza tra noi e noi stessi, noi e gli altri, noi e la natura, noi e lo Stato. E in questa notte di Natale funambolica perché sospesa, come il fiume del presepe di De Filippo, tra il prima e il dopo, tra la vita e la morte, benché non lo sappiamo e benché molti di noi non sappiano neppure che lo stanno facendo, abbiamo atteso che Beniamino si svegliasse, si accorgesse che il Bambino era nato, che ce lo venisse a dire. “Casamicciola è tornata come prima”, ci diranno un giorno, e anche se non dimenticheremo e non potremo dimenticare, noi oggi vogliamo pensare che i bambini e i grandi che si sono perduti siano finiti in un presepe perpetuo dove sorge ogni notte una stella cometa e si ripete quotidiano il miracolo della nascita, la dolcezza della Luce che viene e l’erba cresce libera senza che si mietano i campi e le montagne non cadono.