CULTURA & SOCIETA'

L’impareggiabile fascino delle feste di paese

DI ARIANNA ORLANDO

La festa del paese è davvero riuscita solo quando si riesce a esplorarla con tutti i nostri sensi. Odore di noccioline caramellate, il suono del motore che fa turbinare le arachidi alla bancarella del signor Carlo, le luci di settembre che sbiadiscono contro quelle dei lampioni irti in alto a sorreggere il cielo dell’Epomeo: la storia inizia così. È sineddoche delle nostre vite il torchio al centro della piazza su cui ciascun fontanese ha corso, ha giocato, ha camminato. È sineddoche della nostra cultura il vestito del contadino e anche quello della contadina sul corpo dell’uomo, della donna e del bambino tra noi moderni. È sineddoche dei nostri sensi la musica di Romolo Bianco che ha spaziato da qui a lì, circoscrivendo lo spazio del Mediterraneo di Napoli. E, giacché si ragiona per sineddochi, diciamo che la rappresentazione qui ora fotografica del tavolo imbandito per la festa è solo la parte per il tutto di un tutto che oseremmo spiegare così (attingendo le parole dai sensi di qualcuno): le mani di alcune donne con I grembiuli turbinavano nelle zuppiere cariche di insalata contadina, poi il gesto della distribuzione dell’olio e del sale, il taglio del pane: l’immagine di tua madre che ti preparava la merenda per la scuola e ti preparava il pane e pomodoro che ti piaceva, che ti faceva bene. E la donna al taglio del pomodoro, immagine speculare del nonno che ti toglieva la buccia di mela, che te la tagliava per lasciartene intatta la polpa.

Poi il suono delle voci: prima quella di Andy Dj, poi quella di Dj Faber. Un tempo Andy Dj curava, con la stessa attenzione, l’allestimento delle discoteche fontanesi: serate d’estate. Poi ancora la voce di Teresa e poi non più Teresa, questa è la voce di un’altra. E al lato poco distante il tavolo da gioco per il tressette e la briscola: le voci, i suoni: ho vinto! Cretino, che dici, hai perso. Sotto i piedi lo stuolo di sampietrini, formiche in colonia, l’uno addossato all’altro. Dove andiamo? Dove andate? Si sono visti i commercianti fuori i loro negozi con la polo indosso perché “l’aria s’è nfrscata, non è più agosto”, si è visto il pizzaiolo attraversare la piazza con passo cadenzato, si sono visti gli anziani gioire alla vista della festa, del torchio, dell’uva. È la festa della Madonna. Ma non c’è la Madonna, ci sono: gli uomini e i bambini, le donne e i ragazzi, le ragazze. La messa si prosciuga, la gente tra poco arriverà e allora la festa accelera il tramestìo. Di nuovo l’alternarsi di voci Fabrizio, Andrea, Romolo Bianco; c’è Giulia, c’è Madalena. C’è Teresa. C’è Rita. Ce ne sono altre e altri. Ci sono quelli vestiti da contadini in abiti tradizionali mischiati a quelli vestiti in abiti comuni che domattina, però, torneranno a fare i contadini nella vita di sempre. C’è un torchio che suona, c’è proprio un torchio che suona e la campana che fa don. Il paese sembra una giostra sulla cima di un carillon, l’odore di caramelle sulle papille gustative, il suono del pane che scrocchia per l’insalata appoggiato appena appena a queste orecchie.

Da dove viene la festa del paese? La Madonna è in alto in alto, questa è la festa sua. Il cielo è azzurro mentre sbiadisce, alcuni credono di essere sotto al suo velo. Si schiude la festa, inizia a cantare Romolo Bianco, iniziano a distribuire il cibo, iniziano ad arrivare le persone. E dalla finestra, è lo stesso e identico fascino nella poesia di Leopardi(è incredibile!)- questo è il giorno dopo il Sabato del Villaggio, la donzelletta esce di casa in jeans e tshirt, con la messa in piega e il rossetto, porta la figlia di cinque anni a comprare il palloncino di Yoghi che volteggia tra un unicorno e un fiore. Il rumore della motore per le noccioline fa rrrrrrmmmmm.

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