CULTURA & SOCIETA'

Musica, sperimentazione e amicizia: l’altra voce del mare

L’intervista a Emiliano Barrella, il batterista e percussionista del duo di “Portami a vedere il mare” di Luigi Esposito, album uscito con l’etichetta indipendente Apogeo Records e presentato a Villa Gingerò il 22 agosto.

Di Restituta Rando

“Portami a vedere il mare” è il racconto di un’anima che chiede due voci per essere narrata: quella del pianoforte di Luigi Esposito e quella della batteria e delle percussioni di Emiliano Barrella.

Emiliano è un musicista di ampio respiro, che ha intrapreso percorsi accademici tra Napoli, Lucca e La Spezia e si è perfezionato con grandi musicisti del panorama musicale internazionale, fra i quali John Riley e Aaron Parks. Fra le sue numerose collaborazioni artistiche, quella con Luigi Esposito è stata una costante tale da diventare il perno di questo progetto così vasto e importante quale “Portami a vedere il mare” è.

Sarà dunque interessante scoprire l’altro volto del disco, quello raccontato non dal suo compositore ma dal batterista e percussionista che lo affianca in questo viaggio.

Emiliano, l’album “Portami a vedere il mare” si caratterizza, sin dal primo ascolto, per una finissima cura dei suoni, tra loro anche molto diversi: ce n’è uno a cui tu sei più legato e perché?

Ads

Sì, senza dubbio sono molto legato a quello del set della batteria che utilizzo – che è un set ibrido tra batteria e percussioni – perché è la conseguenza di una lunga ricerca, che ha attraversato diversi progetti e diverse esperienze musicali. È stato il punto fermo dal quale ha preso corpo il lavoro con Luigi a questo disco.

Ads

Essendo quindi frutto, come accennato, di una vasta ricerca, il disco di Luigi Esposito va anche a costituire un nuovo linguaggio: tu come lo definiresti?

È difficile dire che linguaggio sia. Forse lo si potrebbe delineare come quello della ‘nota dopo nota’, del ‘colpo dopo colpo’. Il lavoro che abbiamo fatto è consistito nell’allontanarci dalla classica idea del trio per diventare un duo, cosa che ha cambiato il mio e il nostro modo di suonare.

Una delle novità di “Portami a vedere il mare”, infatti, sta proprio nell’utilizzo della coda del pianoforte come una percussione. Avevi già sperimentato una cosa del genere?

No, non avevo mai suonato nel pianoforte se non per gioco – e per gioco è iniziata questa sperimentazione, perché mentre Luigi mi faceva ascoltare i pezzi, io ero appoggiato al pianoforte e ho iniziato a percuoterlo. Questa innovazione mi ha lasciato un più grande ventaglio di suoni a cui poter attingere e da qui ho cominciato a suonare anche in maniera inusuale le stesse percussioni.

A proposito di uso insolito degli strumenti: cos’è quel suono grattato che si sente in “Ingranaggi”, che è forse il pezzo sonoramente più interessante fra quelli contenuti nel disco?

Quel suono metallico è la cordiera del cajon; ma andando oltre e arrivando alle immagini, è proprio il suono dell’ingranaggio. Nella mia mente, questo pezzo riproduce l’atmosfera di una fabbrica vuota con al centro un vecchio macchinario che è rimasto acceso nella stanza e produce questo suono sgangherato, che esce appunto grattato e impreciso.

Volendo dunque tirare le somme di questo immenso lavoro che ha condotto al risultato finale di “Portami a vedere il mare”, cosa rappresenta per te questo disco?

Questo disco… Al di là di qualsiasi sperimentazione o tecnicismo, questo disco, per me, è la calcificazione di un’amicizia. Io non suono per la musica in sé, ma per quello che la musica fa accadere.

Foto di Claudio Cervera

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex