LE OPINIONI

Patria e Onore

Di Luigi Della Monica

Queste due parole campeggiavano sul cortile principale della caserma “Duca degli Abruzzi” del Maricentro La Spezia, allorquando varcai la soglia del confine ideale e materiale fra la comoda vita civile e quella disagiata militare. Queste parole apparentemente evocative di un senso nazionalista e reazionario si riempiono di significato riflessivo alla luce della triste vicenda di spionaggio occorsa negli ultimi giorni. Un capitano di fregata, che per chi non fosse avvezzo ai gradi di marina equiparato al tenente colonnello, il dott. Walter Biot, è in carcere con l’accusa di spionaggio. Naturalmente da avvocato ed in ossequio alla linea del giornale, ribadisco che la notizia è da riportare con gli opportuni distingui di presunzione di non colpevolezza per l’indagato, ma ciò non ci esime dalla valutazione delle conseguenze devastanti che essa ha avuto per il comune sentire della società civile ed anche militare.

Lo spionaggio, le guerre invisibili fra poteri forti, proiezioni dello Stato democratico e\o deviati, sono retaggi della filmografia degli ultimi 60 anni, a cominciare dal primo “007 licenza di uccidere”, fino alle saghe favolistiche “Mission Impossible” e Jason Bourne. Nel caso che ci occupa si tratta di cruda realtà. Un uomo irreprensibile e padre di famiglia, per una ridicola quanto grave cifra, avrebbe, ribadisco con il beneficio del dubbio pro-reo, trasferito al “nemico” segreti militari classificati, adducendo a sua discolpa le difficoltà economiche conseguenti al COVID ed alla perdita del lavoro della moglie. Mi rendo conto che, fra i lettori alcuni potrebbero meravigliarsi della esistenza dei segreti militari, ma essi costituiscono di norma un importante valvola di sicurezza per gli effetti detonanti di certe notizie divulgate alla pubblica opinione, che potrebbero, per così dire attentare all’ordine democratico. Per fare un esempio, non certamente esaustivo, si pensi ai danni che il solo spionaggio industriale cagiona al “Made in Italy”, che interpretato come se fosse un piano di difesa militare rivelato a Paesi non certamente amici dell’Italia sarebbe ancora più devastante. Forse non riesco ancora a colpire la sensibilità del lettore, ma ricordo, a parti inverse, che lo spionaggio del mossad (intelligence israeliana) trasferì nel 1956 all’Occidente il testo genuino ed integrale del discorso di Nikita Krusciov contro le uccisioni di massa di Stalin: – (riporto stralci del libro MOSSAD, Michael Bar-Zhoar, Nissim Mishal, cap.5^ pag.58-59 ed. Feltrinelli nov-2012) nella primavera del 1956 Lucia Baranovski si era perdutamente invaghita di un avvenente giornalista, Victor Grayenvski…In Polonia, in quella mattina del 1956…Victor aveva fatto visita alla sua amante negli uffici del segretario del Partito. Qui aveva adocchiato un fascicolo rilegato in rosso posato su un angolo della scrivania, numerato e stampigliato come TOP SECRET…uno dei segreti meglio custoditi dell’intero blocco comunista…Nikita Krusciov, l’onnipotente Segretario del partito comunista sovietico…in occasione del XX Congresso del PCUS. Il 25 febbraio…aveva parlato per ben quattro ore…si era soffermato su ogni dettaglio dei terribili crimini del suo predecessore, venerato come una divinità da milioni di comunisti di tutto il mondo…

In altre parole, una informazione riservata ad una cerchia ristretta di persone, se non divulgata nelle forme corrette, è suscettibile di provocare effetti devastanti per il mantenimento dell’ordine nazionale ed internazionale, per cui i media non si sono soffermati sulla natura dei messaggi trasmessi all’interlocutore di nazionalità russa dell’ufficiale italiano, ma certamente è stato molto grave che siano caduti, a quanto sembrerebbe, nelle mani sbagliate. Si dice volgarmente servire la Patria con Onore, riportandomi all’intestazione dell’articolo, anche facendo la guardia ad un barile di benzina. Non molti sanno o forse dimenticano che all’interno della Repubblica Federale Russa vi ò la città di Ozersk dapprima denominata “City 40” che è una città inibita all’esterno e non consente il movimento in esterno ai propri residenti: una relazione spionistica con un Paese che ancora professa le limitazioni delle libertà individuali non è certo una inezia.

Al tempo della II Guerra Mondiale, la marina inglese era intimorita dall’espugnare il porto di Taranto, ma ciò avvenne fra il 11 e il 12 novembre 1940 in conseguenza di intense attività spionistiche. Taranto è un porto strategico per la sua felice posizione che permetteva alle truppe italiane di avere parte del controllo del bacino del Mediterraneo, pertanto spina nel fianco soprattutto per la marina inglese, che aveva basi ad Alessandia di Egitto e Gibilterra. Ma Taranto era anche sede destinata alla riparazione delle unità navali danneggiate, grazie soprattutto alla disponibilità di grandi bacini di carenaggio, ed alla presenza nel suo arsenale di tutti i pezzi di ricambio per i macchinari e le armi. Proprio ad Alessandria d’Egitto si manifestò il più fulgido esempio di onore ed amore di patria con il Tenente di Vascello Luigi Durand De La Penne. Quest’uomo e i suoi compagni d’armi, Bianchi, Martellotta, Marino, Marceglia e Schergat, compirono una delle azioni dall’effetto più devastante della seconda guerra mondiale senza fare praticamente vittime. Nel novembre 1941 la Mediterranean  Fleet britannica fu in una situazione critica avendo a disposizione solo le corazzate Valiant e Queen Elizabeth con base ad Alessandria.

La Regia Marina studiò attentamente come trarne vantaggio: se fossero state distrutte queste due grosse unità da battaglia, tutti i convogli per la Libia avrebbero potuto salpare in sicurezza e la guerra d’Africa avrebbe avuto un successo sicuro. La missione di distruggere le due corazzate britanniche fu affidata alla X Flottiglia Mas, specializzata negli assalti. Il 18 dicembre il sommergibile Scirè, comandato da Junio Valerio Borghese, si avvicinò silenziosamente ad Alessandria dopo aver superato mille difficoltà ed ostacoli.  A questo punto vennero rilasciati 3 “Maiali”o SlC (Siluro a Lenta Corsa) guidati da Durand de La Penne e dai suoi uomini. Il bersaglio di Durand e di Bianchi era la Valiant, quello di Marceglia e di Schergat era la Queen Elizabeth e quello di Martellotta e Marino era una petroliera da 16.000 tonnellate. Una volta completata la missione, il commando si sarebbe ritrovato con lo Scirè in un determinato punto della costa egiziana per tornare a casa sano e salvo. Ma i britannici avevano difeso il loro porto estremamente bene;  vi erano reti metalliche protettive con cariche esplosive ovunque e sentinelle dappertutto. Così entrare con i maiali nel porto fu più arduo del previsto per gli italiani.

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Finalmente Durand de La Penne e Bianchi superarono le barriere e raggiunsero la Valiant, ma in quel momento il  loro Maiale si fermò affondando proprio sotto la corazzata e Bianchi scomparve. Durand de La Penne, con uno sforzo fisico sovraumano riuscì a recuperare il Maiale e ad agganciarlo sotto la chiglia della corazzata. Sfinito, Durand de La Penne emergendo dall’acqua riuscì a ritrovare Bianchi trovandolo svenuto per un guasto del suo respiratore e tentò quindi, trasportando il compagno, di raggiungere il molo ma fu avvistato e catturato dalle sentinelle britanniche. L’Ammiraglio Cunningham comandante in capo della Mediterranean Fleet ordinò quindi che i due italiani venissero subito rinchiusi nella Valiant ben al di sotto della linea di galleggiamento, nella speranza di spaventarli e farli confessare dove fosse la carica esplosiva. Una volta rinchiusi, Durand de La Penne disse a Bianchi (naturalmente in italiano) che se per loro non c’era più speranza potevano morire felici poiché la loro missione aveva avuto successo (la carica sarebbe esplosa dopo tre ore). Comandante, le suggerisco di evacuare la sua nave e salvare il suo equipaggio: la Valiant esploderà in pochi minuti” disse Durand de La Penne. La storia ci insegna che l’obiettivo militare fu brillantemente raggiunto ed il giovane tenente di vascello a costo della propria vita salvò quella dei nemici inglesi.

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Questo è ben oltre l’umana immaginazione agire secondo Patria ed Onore. A questo riguardo mi chiedo se mai il capitano di fregata indagato ai giorni nostri abbia rivolto il pensiero ai suoi blasonati predecessori, ovvero si sia nascosto dietro la banale scusa: così fan tutti. Non lo posso immaginare e non mi permetto nemmeno di giudicare, poiché non è mio compito. Allo stesso tempo mi sento di fustigare con incommensurabile veemenza quello Stato ingrato verso i suoi tanti silenziosi servitori che per paghe ben più modeste del colonnello Biot danno la vita, oppure la libertà (caso di La Torre e Girone), senza ricevere adeguata tutela in caso di difficoltà economiche. Le leggi istitutive di fondi di garanzia e di soccorso per gli uomini dello Stato sono troppo poche e troppo esigue, se non per alcune caste, nella casta. Io mi domando a volte, l’art. 13 delle Disp. Att. alla Carta Costituzionale ha abolito la nobiltà, come segno distintivo della cittadinanza ed ha fondato sul lavoro la democrazia (art.1). Ma forse assistiamo ad un novello fenomeno di gattopardismo? I nobili forse sono confluiti nei poteri privati ed in alcune lobby che determinano la vita pubblica?

Non conosco il “cursus onorum” del colonello Biot, ma è facile pensare che a 55 anni non provenga da una Accademia Navale frequentata a 18 anni, perché altrimenti sarebbe stato Ammiraglio con ben altri appannaggi economici. Con uno stipendio di Ammiraglio e responsabilità rilevantissime forse avrebbe riflettuto a commettere questo sbaglio, in esito alla perdita del lavoro della moglie. Voglio ricordare ai lettori che per lunghi decenni, nelle Forze Armate, nessuna esclusa, ci è stata una silenziosa segregazione culturale fra Ufficiali di serie A, provenienti dalle carriere ordinarie delle Accademie (Modena, Livorno, Milano, Pozzuoli) e quelli di serie B, provenienti dal complemento, oggi soppresso, dove il grado veniva conferito sempre in esito a concorso, ma la ferma durava soltanto 18 mesi. Ciò a significare che il merito poteva sussistere solo nelle carriere delle Accademie, mentre gli altri sarebbero stati sempre arretrati e surclassati in graduatoria. Naturalmente una responsabilità di un pubblico funzionario è oggettiva, non bada a provenienze di carriera, ma sicuramente per decenni lo Stato non ha avuto un atteggiamento premiale di fronte ai meritevoli: questo è un esempio di carriere militari, che sono speculari alla società civile.

Viviamo in un contesto sociale, dove il meritevole non approda subito al ruolo di guida della comunità e, talvolta, se vi arriva lo fa al costo di grandi sacrifici e frustrazioni. In tal senso, non sto effettuando una assoluzione sociologica dell’errore commesso dal Com.te Biot, che verrà acclarato nelle sedi opportune, ma in termini di prevenzione lo Stato italiano, come quelli occidentali del blocco mitteleuropeo, dovranno rivedere gli accessi ai ruoli chiave della società ai meritevoli e non solo ai fortunati. Ecco perché attecchiscono nell’immaginario dei giovani i falsi miti dei reality, o dell’uno vale uno: si sta facendo drammaticamente avanti l’ideale del progresso del furbo, del bullo, dello spaccone o del saltimbanco, quasi come se il vivere onesto fosse da perdenti. In tale dimensione, lo Stato ha fallito perché ha richiesto forti sacrifici al singolo, ma lo ha lasciato solo a combattere con i suoi problemi quotidiani ed in molti casi gli sta negando l’aspettativa di vita, in assenza del vaccino. Per questo, concludo ricordando ai giovani che esempi da seguire sono quelli del tenente di vascello Luigi Durand de La Penne e non quello del Com.te Biot, ma quest’ultimo è stato schiacciato, cedendo alla tentazione del momento dell’effimero guadagno, a fronte di un sistema di potere che stritola e schiaccia il senso di umanità.

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