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Le “calde” tradizioni ischitane: carbone, carbonelle e “a vrasera” di Maria da Piedimonte

Il braciere con relativo asciuga panni,  è stato per gli ischitani della costa, della campagna e della montagna nei mesi freddi  il toccasana per riscaldarsi e al contempo ricevere  calore nella casa in cui vivevano. Il braciere in uso in casa  per lo più fino agli anni ’60, ha accompagnato diverse generazioni  in un calore familiare domestico forte quanto, e forse più, il  calore stesso del braciere intorno al quale ci si riuniva e si raccontavano le belle storielle, quelle dei nonni, che facevano felici i più piccoli. Carbone, carbonelle e “cernitura” riempivano quell’utile contenitore di rame o di ottone che risale ai tempi dei romani e greci e che  nella stagione invernale diventava il padrone assoluto del rifugio familiare di ogni ceto e condizione sociale. I poeti a modo loro lo hanno decantato, alcuni autori di novelle lo hanno messo al centro dei loro racconti.

La scrittrice Maria delli Quadi ne parla così: il braciere era una istituzione  nelle case dei nostri paesi di montagna; insieme col camino esso costituiva la fonte di calore necessaria per la nostra sopravvivenza. Era un bel  recipiente circolare,  di rame, con il bordo di ottone cromato e due manici cesellati; esso faceva bella vista al centro della stanza dove la famiglia si riuniva  per lo più di pomeriggio: i ragazzi per studiare, le donne per cucire o fare la maglia, gli uomini anziani per guardare un giornale se sapevano leggere, per fumare la pipa o il sigaro o, semplicemente, per conversare: una pedana circolare di legno,  con un grosso foro al centro,  conteneva il recipiente”.

Ne ha scritto  anche Maria D’Acunto, da Piedimonte non nuova a componimenti che riescono sempre a catturare l’interesse di chi con piacere li legge. Maria e il Braciere, o meglio ‘A Vrasera è il titolo immediato che ci sentiamo di dare all’intervento  che ha postato sulla sua pagina di Facebook  in cui con il suo acume e fertile fantasia, da par suo, ha dipinto un quadretto familiare con il calore ed i colori giusti che una scena d’altri tempi disegnata intorno al braciere o ‘ Vrasera, sa offrire. Riportiamo il piccolo racconto di Maria per intero:  “Se il fuoco è sacro, scrive Maria D’Acunto,  ‘a vrasera era il nostro sacrario. Era al centro non solo della stanza, ma anche della nostra vita nelle lunghe serata invernali. Tutto si svolgeva intorno a questo oggetto magico.

Non c’erano televisori, telefonini sofisticati, drone: c’eravamo solo noi. Ma non ci annoiavamo, perchè sapevamo stare insieme, piccoli e grandi. Le donne filavano, gli uomini fumavano la pipa. E noi arrostivamo le fave secche sull’ardente brace. E tutto con i piedi poggiati sul portabraciere. Si parlava (i discorsi non finivano mai), si rideva, si litigava per contendersi le fave. E ogni tanto volava una sgridata o una tirata d’orecchio. E si celebrava un rito: quello del rosario. Sempre intervallate da dissertazioni o da risate, le cinque poste duravano ore. Quando si arrivava alla litania, alcuni di noi si erano già addormentati.

A condurre il rosario era zia Renata. Non era proprio una nostra zia, ma allora tutti gli anziani venivano appellati così: zì Tore, zi Vicienzo. zia Carmela, zia Cuncetta. Zia Renata veniva da Roma (chissà come era finita qui, nello sperduto paesino che era allora Piedimonte!) Era stata a teatro e conosceva tutte le opere liriche (poi mi regalò i libretti. Devo a lei le prime conoscenze operistiche): Era l’unica che sapesse i misteri che si recitavano alla fine di ogni posta. misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi. A noi piaceva il quinto mistero gaudioso. Ci faceva ridere, perchè zia Renata lo recitava così: “Nel quinto mistero gaudioso si contempla come Giuseppe e Maria ritrovarono Gesù che era sparito. Lo cercarono e lo trovarono nel tempio che sputava, essendo di anni dodici.” Il salto di una sillaba iniziale ci divertiva moltissimo”.

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