CULTURA & SOCIETA'

PILLOLE DI STORIA Tobia e San Raffaele Arcangelo

DI IVANO DI MEGLIO

La tela si trova all’interno della Chiesa di San Sebastiano di Barano d’Ischia. È collocata sopra la porta d’uscita. È della seconda metà del secolo XVIII ed è stata attribuita all’artista lacchese Alfonso Di Spigna. È alta 110 cm, per 94 cm di larghezza. Il dipinto è ispirato all’omonima tela di Giacinto Diano (Pozzuoli 1731- Napoli 1801) nella chiesa napoletana di San Pietro ad Aram. Ultima revisione 2005 da parte di ARTPAST/Famiglietti e C. La abbiamo letteralmente sopra le nostre teste ma, uscendo dalla chiesa, magari non la notiamo (grave). Cosa raffigura? Quale episodio? Raffaele (ebr. “Dio guarisce”) è ricordato nel libro di Tobia come uno dei sette angeli che stanno davanti al trono di Dio. Anche se il suo nome non compare nel Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica gli riconosce, dopo Michele e con Gabriele, il titolo di Arcangelo; la sua festa, che inizialmente cadeva il 24 ottobre, è poi portata al 29 settembre con gli altri due.

La vicenda narrata nell’antico Testamento ha il sapore di una fiaba popolare. L’anziano Tobi (o Tobia, ebr. “Yahwè è il mio bene”), un pio ebreo della tribù di Neftali, vive nella città assira di Ninive, dove il suo popolo è stato deportato dopo la distruzione del regno di Israele (722 a.C.). Egli segue la legge del Signore, a differenza di molti altri della sua nazione che hanno abbandonato la retta via, ed in particolare si dedica alla sepoltura dei defunti ebrei, che gli Assiri per disprezzo abbandonano fuori dalle mura della città. Proprio dopo aver compiuto, di notte, uno di questi atti di pietà, si addormenta nel suo cortile, e degli uccelli lasciano cadere i loro escrementi sui suoi occhi. Al risveglio si accorgere di essere diventato cieco. Disperato per non poter più sostenere la famiglia, incarica il figlio Tobia (in alcune traduzioni: Tobiolo) di recarsi in Media, presso un suo antico socio in affari, per riscuotere una grossa somma che aveva lasciato in deposito. Il figlio parte, in compagnia di un giovane, che si presenta come un lontano parente, ma è in realtà l’angelo Raffaele, e di un cane (la bestiola compare spesso nell’iconografia). Il viaggio è ricco di avventure. Sulle rive del Tigri, mentre Tobia si lava, un grosso pesce gli morde il piede; su consiglio di Raffaele egli lo cattura, ne estrae il fiele, il cuore e il fegato che, seccati, serviranno come medicamento. Intanto in Media una famiglia di ebrei, imparentati il vecchio Tobi, è afflitta da una grave sventura. L’unica figlia, Sara, si è già sposata sette volte, ma ogni volta il demonio Asmodeo ha fatto morire il marito prima che il matrimonio fosse consumato. Spinto da Raffaele, Tobia chiede in moglie Sara; la sera delle nozze, dopo aver pregato il Signore, brucia sul bruciaprofumi il fegato e il cuore del pesce, mettendo in fuga il demonio. Su richiesta della famiglia della sposa, felice per la fine della maledizione, Tobia si ferma per quattordici giorni presso di loro, mentre Raffaele va a riscuotere il credito per lui. È ora di tornare a casa; Tobia, Sara, Raffaele, con il corteo di servi e cammellieri carichi delle ricchezze avute in dono dai genitori di Sara, tornano a Ninive, e Tobia, istruito da Raffaele, col fiele del pesce ridona la vista al padre. A questo punto Raffaelle svela la sua identità, dopo di che scompare alla vista di tutti. La narrazione termina con un inno al Signore, e la profezia che Gerusalemme sarà distrutta, ma risorgerà. (Fonte: beniculturali)

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