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Una politica senza cultura, una cultura senza politica

Non mi addentro volentieri in orizzonti troppo vasti e troppo importanti per un modesto osservatore di fatti locali quale sono e per un giornale che ha un raggio di interessi limitati (come dice la testata) al golfo partenopeo. Sento il bisogno, una volta tanto, di fare un’eccezione, allargando gli orizzonti, per meglio cercare di comprendere i limiti, anche sull’isola d’Ischia, sia della politica, sia della cultura. Partiamo dagli Stati Uniti e precisamente da quello che sostiene Lawrence Ferlinghetti (98 anni), poeta ed editore della Beat Generation che, nel 1956, fu arrestato per aver pubblicato il libro di poesie “L’urlo” di Allen Ginsberg, sequestrato per oscenità. Poi, fortunatamente prosciolti in virtù dell’emendamento che riconosce libertà di linguaggio alle opere d’arte. Per Ferlinghetti, poeta, pittore, appassionato di musica, pacifista, la cultura non è mai stata disgiunta dall’impegno politico. Ferlinghetti è terrorizzato dall’attuale situazione politica americana e, in un’intervista al Corriere della sera, afferma: “Mi sembra di rivivere l’incubo immaginato da Eugéne Ionesco nella sua commedia Il Rinoceronte.

L’apparizione di due rinoceronti, in una cittadina della Francia, provoca spavento e repulsione. Ma, piano piano, tutti si abituano, molto presto trovano che i rinoceronti non sono poi così brutti…Ciò che all’inizio era disgustoso diventa positivo, ammirevole. Così è accaduto in America con Trump. Almeno metà America ha accettato il rinoceronte Trump. Quanto all’Europa, Ferlinghetti sostiene che sì, è attraversata da populismi, ma che non tutti i populismi sono assimilabili e bisogna saper distinguere tra populismo e populismo. Quello alla Trump è pessimo, quello alla Barnie Sanders è positivo e attento ad un giusto riequilibrio della società. Sergio Romano, ex ambasciatore, già professore universitario in California, a Berkeley e alla Bicocca di Milano, ha – di recente – scritto il libro “ L’America e la fine dell’American Dream” in cui scrive che Trump è il rappresentante di una sola delle fazioni in cui è spaccata l’America attuale, non quella liberale e internazionale bensì quella nazionalista e isolazionista, sovranista e protezionista. America First.

In Europa e in Italia ci sono populismi che si ispirano agli istinti più bassi e irrazionali ( generato da forme esasperate di paura ed egoismo) e populismi ( o radicalismi) attenti all’emarginazione di alcuni strati di popolazione ( indigenti, giovani disoccupati, senza casa, portatori di gravi handicap) come può essere il caso del britannico Corbyn. La mancanza di un’adeguata cultura di chi deve deliberare e decidere la soluzione di problemi reali e non artificiosamente gonfiati, rende tutto più difficile. Si confonde la “ percezione” con la realtà dei fatti, proprio come quando avvertiamo una temperatura superiore a quella reale. In Inghilterra, un linguista e designer, John Koenig, ha inventato il neologismo “Chrisalism” per indicare l’attuale tendenza a rinchiudersi egoisticamente nel proprio guscio familiare e casalingo, per esorcizzare i timori degli avvenimenti esterni. Il termine “crisalismo” viene da “ crisalide” e vuole rendere l’idea di sentirsi protetti come in uno stato embrionale. E’ su questo che giocano i vari Marion Le Pen, Salvini, Puidgemont, Kurz, Strache e via dicendo.  In Italia, è molto probabile che, alle prossime elezioni politiche di marzo, avremo come candidati premier Berlusconi per il centro destra ( Corte Europea di Giustizia permettendo), Di Maio per i 5 Stelle e Renzi per il PD. Berlusconi ha una cultura di stampo imprenditoriale televisivo, Renzi una cultura digitale, esperienziale da boy scout, cristiana alla La Pira, senza l’afflato sociale e culturale di La Pira; Di Maio conosce a memoria il lessico di Grillo e il repertorio onirico catastrofico di Casaleggio.

I tre, messi insieme, farebbero fallire qualsiasi libreria d’Italia. Se questa è cultura… Ma di che parliamo, se la seconda municipalità di Napoli, per sgomberare un locale di proprietà, ha mandato al macero duecentomila libri dell’editore Tullio Pironti che li voleva regalare alla collettività; se il Presidente Mattarella ha recentemente sentito il dovere di ricevere i rappresentanti dell’Associazione Italiana Editori che doneranno libri ai ragazzi dei Comuni terremotati ( anche dell’isola d’Ischia, si informino i dirigenti scolastici locali) e che sollecitano probabilmente invano, una legge parlamentare organica a tutela del libro e della lettura. In Spagna, dove si confrontano a muso duro il nazionalismo spagnolo e il separatismo catalano, la scrittrice Alicia Gimenez Bartlett, giallista alla Camilleri, fa le seguenti considerazioni sugli intellettuali odierni: “Da tempo non contano nulla. Non solo qui e in questa crisi, in qualsiasi società del mondo. Non è tempo per la razionalità. Il mondo ha lasciato alle spalle il pensiero, la cultura, lo studio sereno e filosofico della vita” ( Corriere della Sera del 16 ottobre).

Tutto questo cosa c’entra con Ischia? Se ci riferiamo all’attuale classe dirigente politica, certo non ci troviamo di fronte a Sindaci o amministratori che inclinano alla paura del diverso .Eppure, nonostante che il terremoto abbia evidenziato, ancora di più, la necessità di una semplificazione amministrativa che superi l’attuale frammentazione in 6 Comuni, nonostante ciò assistiamo a tentativi individuali di tutelare il proprio Comune, illudendosi che l’isola non sia un’unica omogenea realtà, nel bene come nel male, e che gli attuali Comuni non fungano da “ vasi comunicanti” per cui ogni effetto dell’uno ricade inevitabilmente sull’altro. Ricette superate, diversità di vedute, disomogeneità di indicazioni agli Enti sovraordinati, è questo il quadro attuale. Senza offesa per nessuno, l’incapacità di comprendere l’inevitabilità di una coesione e fusione amministrativa dell’isola d’Ischia è la conseguenza di una “scissione” avvenuta – ormai da anni – nel mondo, in Europa, in Italia, a Ischia, tra cultura e politica.

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Non che i “sovranisti” e i “localisti” siano tutti ignoranti. Mi guardo bene da una superficialità di giudizio del genere ( alcuni miei cari amici, sicuramente più colti di me,sostengono tesi separatiste e cosiddette identitarie). E’ solo che, per un fenomeno che definirei “schizofrenico” tengono nell’emisfero di destra del cervello il “ localismo” e in quello di sinistra la “cultura”. Senza mettere in connessione i due emisferi. O fanno funzionare l’uno o funzionare l’altro, con il risultato che quando discutono di cultura ( senza la prospettiva  politica) disegnano una specie di empireo, un platonico “ mondo delle idee” a cui il mondo reale non riesce mai ad assomigliare e quando discettano di politica ( senza cultura) finiscono con l’assumere provvedimenti per l’oggi che non tengono conto delle lezioni del passato e non si occupano di futuro.

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Farò, da ultimo, un esempio relativo al Comune d’Ischia. Avevamo un po’ tutti salutato, con misurata speranza, la formazione di una Giunta, diversa dal solito, costituita da uomini ( e donne) con autonomia di pensiero rispetto all’establishement politico e con marcata connotazione culturale. Fino a questo momento, si ha la netta sensazione che la Giunta va da una parte, il Consiglio da un’altra. Non c’è alcuna fusione tra il “ sentire” degli esterni chiamati a governare e quello degli interni ( consiglieri) che sembrano attendere, sulla riva del fiume, il cadavere che passa. Avviene nell’apparato comunale, quello che abbiamo ipotizzato su più larga scala e cioè la scissione tra emisfero destro ed emisfero sinistro, tra politica e cultura .E’,infine, il caso di ricordare, senza ripiegamenti nostalgici che, come l’Italia delle radici repubblicane ebbe uomini probi ed illustri di grande caratura, così anche l’isola d’Ischia del dopoguerra ebbe uomini probi ed attenti agli interessi collettivi; forse con qualche clientelismo ed assistenzialismo di troppo, ma sempre coniugando le cognizioni culturali, spirituali, religiose con l’azione politica. Pensiero ed azione, insieme, come non sappiamo più fare.

Franco Borgogna

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