CRONACAPRIMO PIANO

Paolo Amalfitano ancora in carcere, appello al Ministro: «Si ponga fine a un’ingiustizia» 

Sulla vicenda del marittimo ischitano detenuto in Senegal ormai dallo scorso 4 luglio interviene il presidente del Cosmar, che ha scritto alla Farnesina chiedendo ancora una volta un pronto intervento

Si cerca di continuare a tenere i riflettori puntati sulla sorte del marittimo ischitano Paolo Amalfitano, primo ufficiale di coperta della nave della Grimaldi “Grande Nigeria”, agli arresti in Senegal da oltre due mesi dopo che sull’imbarcazione è stato rinvenuto un carico di ben 750 chilogrammi di cocaina.

Dopo che la vicenda è stata sollevata dalla stampa locale, in una nota sono intervenuti i familiari che hanno chiesto di mantenere la riservatezza e far calare l’oblio su questa storia, sottolineando comunque come Paolo stia bene ed i contatti con il proprio congiunto siano frequenti. Successivamente, però, c’è stato un primo comunicato del COSMAR, il comitato a salvaguardia della dignità dei marittimi, che riassumeva i fatti e contestava l’arresto operato ai danni del nostro concittadino e del comandante Biagio Pasquale Mattera, originario di Monte di Procida.

Giorgio Biandina, rivolgendosi a Di Maio, non ha dubbi: «I nostri connazionali sono penalizzati fisicamente e moralmente e l’Italia si trova ad essere in posizione subalterna rispetto al Senegal. E’ del tutto evidente che i lavoratori siano da considerarsi a tutti gli effetti degli ostaggi»

Adesso però il comitato esce ufficialmente allo scoperto attraverso una lettera che è stata indirizzata dal presidente Giorgio Biandina al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Nel testo Biandina scrive quanto segue: “Onorevole Ministro, il 4 luglio 2019 le Dogane del Porto di Dakar hanno sequestrato la M/n Grande Nigeria, ivi ormeggiata per operazioni di sbarco del carico proveniente da un porto del Brasile (caricatore Renault du Brasil), dopo aver rinvenuto a bordo occultati nel bagagliaio di quindici vetture Renault nuove, un totale di oltre 798 Kg di cocaina; le autovetture caricate erano destinate a Congo ed Angola. Contestualmente, le Dogane hanno incarcerato il comandante della nave Biagio Pasquale Mattera ed il 1° Ufficiale di coperta Paolo Amalfitano. L’aspetto aberrante è che, in maniera del tutto esplicita, i nostri marittimi sono stati arrestati sulla base di una presunta responsabilità oggettiva, ossia per il solo fatto di essere comandante e primo ufficiale di coperta della nave, senza alcuna evidenza del loro coinvolgimento nel fatto. Crediamo ve ne sarebbe a sufficienza per chiedere l’intervento degli Organismi deputati alla tutela dei basilari diritti umani. Signor Ministro, i nostri connazionali dopo due mesi si trovano ancora in prigione, se tale la possiamo chiamare, a Dakar. I nostri connazionali in questi due mesi sono molto deperiti perdendo anche peso corporeo, il comandante Mattera ha più volte manifestato malessere e svenimenti. Lo scrivente La invita a convocare l’ambasciatore del Senegal al fine spieghi la motivazione di questa palese ingiustizia  che oltre a penalizzare fisicamente e moralmente i nostri connazionali, pone la nostra nazione in una posizione subalterna al Senegal umiliando tutti i cittadini italiani. E’ del tutto evidente che i due lavoratori marittimi siano, ne più ne meno, ostaggi. Con ossequio”.

Parole forti, fortissime, che confermano una volta di più come il COSMAR non abbia dubbi sul fatto che si stia perpetrando un vero e proprio abuso, assolutamente intollerabile e di fronte al quale occorrerebbe un intervento serio. Concetti che in maniera magari meno pesante ma in ogni caso analitica erano già stati espressi precedentemente dal comitato che aveva bollato come estorsione l’atteggiamento del governo senegalese. Era il 29 agosto quando l’associazione scriveva: ““Riteniamo inaccettabile che due italiani vengano incarcerati senza titolo e gettati in una prigione di un paese del terzo mondo, senza le minime garanzie e senza la adeguata assistenza delle nostre rappresentanze consolari a differenza del governo tedesco che sta facendo fortissime pressioni per la liberazione dei due loro cittadini, incarcerati altrettanto assurdamente. L’armatore, pur con i tempi che gli sono propri, sta perlomeno contrattando con le autorità senegalesi ed in particolare con le loro Dogane il pagamento delle somme da questi richieste, cui, di fatto, il locale Magistrato subordina la liberazione ed il dissequestro della nave. In buona sostanza trattasi di atteggiamento assimilabile ad una estorsione. In questi due mesi i nostri connazionali hanno notevolmente perso peso corporeo. Il comandante è stato più volte sottoposto a visita medica”. Poi l’appello conclusivo, decisamente sentito e accorato “Si invitano le preposte autorità ad agire negli stessi modi e tempi messi in atto dalla Germania. Chiediamo alle deputate istituzioni la ragione per cui ancora non sia stato convocato l’ambasciatore del Senegal.  Non ci risultano trattative ufficiali tra il Governo italiano e quello senegalese. Ad alta voce e senza mezzi termini chiediamo sia fatta luce su questa incresciosa vicenda e che i nostri lavoratori del mare ingiustamente imprigionati vengano immediatamente liberati”. Fin qui, però, tutto ha continuato a tacere.

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L’odissea di Paolo Amalfitano ha avuto inizio lo scorso 4 luglio, quando le dogane del porto di Dakar hanno posto sotto sequestro la motonave Grande Nigeria, che si trovava ormeggiata per operazioni di sbarco di un carico proveniente da un porto del Brasile, dopo che a bordo della stessa occultati nel bagagliaio di quindici vetture Renault erano stati rinvenuti 798 chilogrammi di cocaina: secondo quanto si è poi appreso, le autovetture caricate erano destinate a Congo ed Angola. Da qui la carcerazione disposta a carico di Amalfitano e Mattera oltre che di due cittadini tedeschi, che si trovavano a bordo nell’ambito di attività turistiche che prevedono di provare l’esperienza di un viaggio a bordo di nave da carico. Anche loro, con il carico di droga, manco a dirlo, non avevano nulla a che fare. E anche loro, ovviamente, a distanza di due mesi si vedono ancora privati della propria libertà personale.

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