LE OPINIONI

IL COMMENTO Verso dove corrono le donne quando fanno spinning

DI ARIANNA ORLANDO

Il prototipo della donna-gym è M., perché lei è davvero nata per essere bella. Ha i capelli liscissimi e sempre, sempre lucenti. Li ordina in una treccia per allenarsi ma quando ha finito e li scioglie, sono lisci e lucenti comunque. Allora spiegaci qual è il segreto, M., perché sei proporzionatissima anche se non mangi a regola d’arte e dici “sgarro sempre!” e ridi, ridi di noi perché ti guardiamo e pensiamo che tu sei nel posto giusto, nella palestra, dove il tuo fisico si modella sotto la scure secca degli squat. Ed è qui che stiamo commettendo l’errore di Renee che, nel film I feel pretty, ha il sogno di diventare bellissima e confronta il suo corpo paffuto con quello di Emily Ratajkowsky che, in quella commedia, è un personaggio regolato per essere il modello del corpo “che tutti vorrebbero” e nella vita invece è una fotomodella americana molto famosa. Renee si sente a disagio, si vede brutta, si nasconde tra gli anonimi reparti delle profumerie e dei supermercati per comprare i suoi trucchi e, con la faccia sepolta nel doppio mento, va a fare spinning piena di vergogna. Sono le donne-Renee le vere protagoniste della palestra, il vero motore dello sport non atletico. Sono le persecutrici dello sport fai-da-te, de “la palestra a casa tua”, delle “personal trainer” online che in alcuni casi promettono – con deleterie e crudelissime e bugiarde foto del prima e del dopo – corpi perfetti in poche e semplici mosse. Sono le inseguitrici seriali dei corsi di spinning in cui l’istruttore motiva a “divertirsi”, “a superare i limiti” mentre si è orrendamente (senza dirlo a nessuno) consapevoli che da quella sella e da quella bike si vogliono chili in meno e sedere sodo.

A chi chiede “perché fai questo sport?”, si dice “è per il fisico, per sentirmi meglio” e invece le foto di Belen e delle altre sui social vibrano nel cervello dell’abisso coperto di buone intenzioni e di motivazioni profonde. Ma perché occorre necessariamente una buona motivazione per allenarsi? Perché necessariamente si ha bisogno di giustificare la fantasia di essere quello che fisicamente si sogna di essere? Perché si deve rendere conto agli occhi nello specchio della propria condotta alimentare e alla taglia di jeans degli squat fatti e non fatti? È una questione non logica, ma culturale e del sistema. Il sistema è patriarcale e quindi è antifemminista e quindi pretende dalle donne che siano belle e in forma, truccate e silhouettate ma il sistema è anche anti-maschio perché se dalla donna pretende tanta severità, anche agli uomini recentemente sta chiedendo “ma perché vai dall’estetista?”. Il mondo della bellezza è un impero incivile, tirannico e violento in cui nessuno – nemmeno Emily Ratajkowsky – è perfetto ma ciascuno crede che l’altro abbia maggiore possibilità di esserlo. Il mondo della bellezza ritiene di essere l’unica condizione possibile per la felicità e l’unica tenaglia possibile per rompere i lucchetti a sigillo degli scrigni d’oro delle opportunità. La verità è che essere belli non serve a niente, serve solo a essere belli. E la bellezza è una qualità che merita gratitudine ma non ragionamenti ossessivi.

Ultimamente, ad esempio, sull’isola d’Ischia sta diventando particolarmente famosa una certa personal trainer la cui attività è dubbia: con un allenamento di tipo domestico, paradossalmente registrato in condizioni neanche lontanamente professionali, lei promette “culi sodi in poco tempo anche senza allenamento purché si usino i prodotti consigliati” e i “prodotti consigliati” sono i suoi. Non ragioniamo sulla qualità del movimento fisico, non vogliamo approfittare nemmeno della retorica a favore della facilità di essere truffati da pubblicità sopraffine e fotografie ingannevoli, perché a questo punto tutti ci sarebbero ragione e condannerebbero la personal trainer: a noi questa cosa adesso non interessa. Ci interessa moltissimo però discutere di quanto si diventi idioti (si legga la parola in senso buono) di fronte a una insicurezza, di fronte a una vulnerabilità e quanto si diventi disponibili a sacrificare i propri soldi e forse anche la propria sicurezza fisica per seguire gli spasmi di un sogno, pure che si presenti in veste così incredibile. E ragioniamo altresì sulla circostanza che permette a una qualunque altra persona di approfittare di questa vulnerabilità e di costruire su questa fragilità un proprio rendiconto economico. Bisogna insistere sull’idea espressa recentemente in un video social di Patrizia Falcone: non sono io che devo entrare nel vestito, è il vestito che deve stare su di me. E con ciò lei ha voluto chiaramente dire: se non ti entra più quel jeans, non cambiare necessariamente taglia ma cambia jeans.

“È bello parlare dall’altezza di un culto sodo, di una taglia 40, di un seno senza smagliature”, direbbe qualcuno. Eppure è sempre vero che il pulpito si alza da tanti luoghi bassi: ipocondrie, ansie, problemi fisici, intoppi etici o morali, questioni familiari deprimenti. Non si hanno mai molti motivi per essere felici, ma nessuno è capace di rinunciare alla sua infelicità. Abbiamo conosciuto ragazzi grassi che avevano paura della parola “grasso”, come fosse uno sprezzante riflesso di un corpo inadatto. Ma chi ha inventato la legge dei corpi? Il sistema, diciamo, che perdona più facilmente a un uomo di non essere Marcello Mastroianni e più difficilmente a una donna di non essere la Loren. Eppure, eppure, esiste in questo mondo la possibilità di una legge sociale interna che in questo luogo abbiamo battezzato come la “legge dello spinning” in favore di E. che ai suoi/alle sue spinners non dice mai con giudizio “qui si dimagrisce” ma sempre “divertiti!”.

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