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Acque termali e minerali, ecco le novità della nuova legge regionale

di Luca Antonio Pepe

 

ISCHIA – L’acqua è il petrolio del terzo millennio, elemento che negli anni futuri certamente scatenerà guerre per la gestione del possesso. Del resto già in Campania negli ultimi mesi l’argomento è piombato nei consigli di molti enti locali, scatenando l’ira di molti ambientalisti e comitati locali e nazionali. Indubbiamente l’acqua deve rimanere un bene pubblico e scevro da mani private che possono gestirla a loro piacimento orientando la vita dei cittadini. Ma l’argomento, delicato, è piombato pure sull’isola verde che come sappiamo è la patria dell’acqua termale; e sembra che una svolta sia alle porte. Ma facciamo un passo indietro, analizzando parte del business che ruota attorno alla problematica, per poi giungere anche a una vicenda che ci tocca da vicino.                                                                                                                                                               Le Regioni hanno il potere di fornire le concessioni delle acque termali e minerali; e fin qui, nulla di nuovo. Ciò che però dovrebbe far riflettere sono i modi in cui in questi anni son state fornite tali concessioni. Partendo dalle acque minerali si può toccare con mano il paradosso dell’acqua. Prima di addentrarci in alcuni tecnicismi occorre riflettere sulla stupidità dell’italiano medio che, pur avendo a disposizione l’acqua che sgorga dalle proprie fontane, preferisce acquistarla in bottiglia, ignorando che quella casalinga è molto più sicura e controllata rispetto a quella venduta dalle multinazionali; controllata perché è oggetto di molte più analisi rispetto a quella imbottigliata; sicura perché l’acqua che viene venduta spesso rimane nei propri involucri di plastica anche per anni prima di essere smerciata, potendo essere oggetto di fonti di calore che possono scogliere i contenitori e causare dei danni alla salute.

Ma oltre il discorso ambientalista, occorre fare anche un duplice discorso economico; in primis occorre sapere che i costi di smaltimento delle bottiglie ammontano intorno ai 200 miliardi, e sono a carico dei cittadini, pagati con la tassa dei rifiuti a livello locale. La seconda problematica riguarda le concessioni, come accennavamo prima. Sostanzialmente le grandi multinazionali per accaparrarsi la gestione delle fonti pagano dei canoni irrisori, al limite della decenza. Il calcolo del canone avviene in proporzione alla quantità emunta, tenendo conto che mediamente le aziende pagano per ogni litro circa una lira della vecchia valuta; se si pensa a quanto viene rivenduta ogni bottiglia non si può che rimanere sgomenti innanzi a questo furto legalizzato. Su un giro di affari di 2,8 miliardi di euro il canone di concessione italiano arriva ad un totale di circa 5,16 milioni di euro, e solo la Basilicata, la Lombardia, la Sicilia, l’Umbria e il Veneto hanno introdotto un canone aggiuntivo; ma non la Campania, che continua a regalare le proprie fonti alle varie Lete e Ferrarelle. E  ovviamente chi ci rimette sono i campani, dal momento che la propria regione potrebbe incassare molti milioni in più, adoperabili tanto in servizi pubblici, quanto ad esempio nella sanità. Un’altra problematica grave riguarda il modo in cui sono state fornite e gestite le concessioni. E ci avviciniamo a piccoli passi al caso Ischia. Occorre sapere che il 30 dicembre del 2014 con decreto 1371 il dipartimento della programmazione dello sviluppo economico della Regione Campania ha prorogato per i successivi cinque anni le concessioni per le acque minerali e termali alle aziende, in barba alla direttiva europea e alle disposizioni nazionali  che prevedono invece una gara pubblica. Non a caso con la sentenza 117 di giugno del 2015 la Corte Costituzionale blocca tutto – su input del Premier Matteo Renzi – demolendo la finanziaria promossa dall’ex Governatore della Regione Stefano Caldoro e ribadendo la necessità di concedere le fonti solo dopo una gara ad evidenza pubblica; del resto sia l’Europa che alcune direttive nazionali erano state chiare. Ma il paradosso nel paradosso è che appena 120 giorni prima Invitalia, società partecipata al 100% dal Ministero dell’economia, finanzia con 25,5 milioni di euro  la Ferrarelle tra contributo in conto impianti e finanziamento agevolato, permettendo una nuova linea di imbottigliamento PET: i funzionari del Ministero tecnicamente avrebbero concesso un ingente finanziamento a una società che gestisce delle fonti in maniera illegittima secondo le disposizioni europee e nazionali, stando a quanto poi confermato dalla Corte Costituzionale. Dunque, dicevamo, in piena estate s’è dunque deciso di ritenere illegittima la proroga automatica di 5 anni concessa da Caldoro alle aziende e agli albergatori; e qui tocchiamo con mano il caso Ischia, dal momento che secondo quanto stabilito dalla Corte, l’affidamento delle fonti termali va postergata rispetto all’esito di una gara ad evidenza pubblica. Questa decisione ovviamente ha il merito di favorire la libera concorrenza e di abbattere le barriere all’entrata nel settore delle acque termali e minerali, permettendo ad altri operatori economici di poter entrare in questo mercato; in linea teorica questo genere di provvedimento che spinge per la libera concorrenza, garantisce una maggiore innovazione, una miglior qualità dei servizi e un abbattimento dei costi. Ma ovviamente ha prontamente gridato allo scandalo chi opera da sempre in questo ambito, timoroso di vedersi sostituito da chi magari può vantare maggiori competenze o che può garantire alla Regione un maggior flusso di cassa. Facendo un passo cronologico in avanti il 9 settembre la Giunta regionale, recependo la sentenza della Corte Costituzionale, approva un disegno di legge avente ad oggetto il riordino degli ATO (ambito territoriale ottimale) e le concessioni delle acque termali e minerali; e, balzando alla cronaca degli ultimi giorni, il 16 novembre è stata approvata in Consiglio la tanto discussa legge sull’acqua, col voto contrario del Movimento 5 Stelle che in segno di protesta ha occupato l’aula. Senza entrare nel merito della protesta e delle ragioni, finalmente la tematica delle concessioni sembra arrivare a un punto di svolta. Snocciolando la legge sul riordino del servizio idrico integrato e sull’istituzione dell’ente idrico campano, l’approvazione dell’articolo 24 proroga di 120 giorni le concessioni termali e minerali, in attesa che vengano espletate le gare pubbliche. Il problema  è che per come è scritto il testo, v’è il serio rischio che le concessioni, di proroga in proroga, rimangano strettamente salde nelle mani dei soliti noti dal momento che non sono previste sanzioni o commissariamenti  in caso di mancato eseguimento delle suddette gare entro i termini previsti. Ovviamente non si parla nemmeno lontanamente di un eventuale aumento delle concessioni o magari di uno sconto per i concessionari che imbottigliano l’acqua in contenitori di vetro (potrebbe essere un’idea ecologica e soprattutto atta a far risparmiare un bel gruzzoletto per lo smaltimento). Ma quel che desta maggiore preoccupazione è il comma numero 3 dell’articolo 24, ove si legge che “le concessioni sono affidate anche in assenza del Piano regionale di settore delle acque termali, minerali, naturali e di sorgente”. Ciò significa che le concessioni saranno affidate senza il parere della commissione consiliare competente, senza sentire gli enti locali interessati e senza il parere delle associazioni imprenditoriali dei concessionari per lo sfruttamento delle acque; e per di più questo comma vieta alle associazioni di categoria interessate di proporre eventuali osservazioni. In poche parole diminuiranno i soggetti che potranno esprimersi  ed avere influenza in tema di concessioni. Allo stato attuale la nuova legge non fa che peggiorare la situazione preesistente, rinforzando i poteri della Giunta e indebolendo Commissione ed enti locali. Tutto cambia perché nulla cambi, e ad essere penalizzati potrebbero essere anche gli operatori termali che, senza le giuste amicizie, avranno meno voce in capitolo

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