CRONACA

Abusi “pittoreschi” alla Corricella, il Tar accoglie il ricorso

Una vicenda di natura edilizia decisamente surreale alla Corricella: casa e chiosco bar in una prua di una barca, eppure per i vicini vanno demoliti. La magistratura amministrativa dà ragione all’avvocato Bruno Molinaro ed alla sua tesi difensiva ma non è tutto. I giudici condannano e “bacchettano” il Comune di Procida (colpevolmente silente) e decidono di nominare un commissario ad acta per l’esecuzione

La vicenda di cui vi raccontiamo oggi è davvero singolare, al punto che nel descriverne i passaggi si potrebbe quasi pensare a un qualcosa di paradossal-surreale. Si sposano (e nel contempo divorziano, non riuscendo a camminare a braccetto la creatività dell’uomo, I vincoli e i rigori della legge. E le sorprese non mancano … non solo ad Ischia ma anche a Procida, per giunta in una località come la rinomata CORRICELLA, non a caso patrimonio dell’umanità, che Steve Jobs di Apple elesse come icona mondiale per la presentazione della nuova versione dell’iPhone 6. Partiamo dall’inizio, però, perché in questa storia ogni particolare ha la sua importanza. Su TripAdvisor il “corpo del reato” è così descritto: “Felice Mare alla CORRICELLA è uno dei luoghi più pittoreschi di Procida. Approdo per le barche, bar, punto di ritrovo e di ristoro, dove le frazioni del suo fondatore allietano lo sguardo e stimolano l’intelletto: dalle barche al giardino alla CASA-NAVE”. Peccato che, almeno secondo i vicini, sia tutto abusivo. Lo si legge nella diffida inviata al comune e ritenuta meritevole dal TAR Campania Napoli, Sez. VI, che, con la recentissima sentenza n. 2293/23, in accoglimento del ricorso proposto per i vicini dall’avvocato Bruno Molinaro, ha annullato il silenzio rifiuto del comune, condannandolo anche al pagamento delle spese del giudizio per violazione dell’obbligo del “clare loqui”, ovvero della TRASPARENZA. Il TAR ha anche disposto la nomina di un commissario “ad acta” in caso di accertata inottemperanza, ponendo le spese a carico dell’Ente.

UNA VICENDA ASSURDA PARTITA DA UN ATTO STRAGIUDIZIALE

I fatti sono così riassunti nell’atto stragiudiziale che ha innescato il procedimento. «Gli intimanti sono proprietari, in comune e “pro indiviso”, di un locale (esercizio commerciale di “bar”) all’insegna “Malazzè” sito in Procida alla via Marina Corricella, distinto in catasto al foglio 7, p.lla 181, sub. 8, confinante con altro immobile di proprietà del sig. PAGANO Felice. Tale immobile è costituito, in particolare, da un’abitazione privata, in catasto al foglio 7, p.lla 181, sub. 7, con caratteristiche simili a quella di una prua di una barca, con antistante “chiosco” di circa mq 6,: chiosco adibito dal PAGANO a pub e bar, con insegna “Felice Mare”, nel difetto dei requisiti prescritti. Va subito evidenziato che, come si evince dalla visura che si allega, il predetto immobile è identificato come appartenente alla categoria A4 e, pertanto, con destinazione ad uso abitativo e nient’affatto commerciale.Né, peraltro, risulta che il chiosco sia stato realizzato in virtù di regolari titoli edilizi o che abbia formato, comunque, oggetto di istanze di condono edilizio tali da legittimarne l’uso e il mantenimento in sito. Ciò trova conferma nella circostanza che gli intimanti, a seguito di formale istanza di accesso ex artt. 22 e ss. della legge n. 241/90, hanno potuto estrarre copia di tutti gli atti esistenti all’interno del relativo fascicolo, comprovanti la fondatezza di quanto affermato. Dall’esame della documentazione acquisita è emerso soltanto che, in data 12 gennaio 2005, è stato rilasciato dal comune un permesso di costruire (n. 35/05) avente ad oggetto la  sostituzione della copertura del chiosco bar. È evidente che a tale titolo non possa attribuirsi alcun effetto in carenza di elementi di prova in ordine alla legittimità e al mantenimento in sito del chiosco, costituente costruzione in senso tecnico-giuridico, richiedente, nella specie, il rilascio sia del permesso di costruire che dell’autorizzazione paesaggistica, ricadendo l’intervento in zona assoggettata a vincolo (…). È stato, inoltre, accertato che l’intera area antistante la proprietà PAGANO e quella degli intimanti è occupata abusivamente, per la maggior parte, da sedie e tavolini asserviti alla attività commerciale svolta dal PAGANO stesso. È dimostrato, infatti, che la concessione demaniale n. 6 del 20 aprile 2018 rilasciata in favore di Pagano Michele, quale titolare del Chiosco “Felice Mare”, ha ad oggetto l’occupazione di suolo pubblico per soli m 11.70, di cui m 5,40 da destinarsi a chioschetto e m 6.30 da destinarsi per sedie e tavolini. La residua porzione di suolo occupato non risulta assistita da alcun titolo concessorio. Inoltre, per l’attività commerciale esercitata all’interno (e all’esterno) della predetta struttura è stata presentata “S.C.I.A. in data 27 marzo 2018”, comunque invalida ed inefficace in quanto relativa ad opere abusive e prive dei requisiti richiesti, dovendo il locale: avere una destinazione d’uso commerciale; rispettare, se ubicato in zona assoggettata a speciale protezione, i vincoli paesaggistici e storici imposti ex lege o con provvedimento ministeriale; rispettare i regolamenti in materia di sicurezza sul lavoro; rispettare i regolamenti in materia di igiene; essere isolato a livello acustico a regola d’arte >>.

LA RICHIESTA DI DEMOLIZIONE E DEL RIPRISTINO DA PARTE DEI RICORRENTI

Si aggiunge nel successivo ricorso al TAR che: <<A fronte delle violazioni commesse su suolo privato, i ricorrenti hanno chiesto al comune di Procida di voler provvedere alla adozione, nei confronti del contravventore, delle sanzioni della demolizione e della rimessione in pristino dello stato dei luoghi di cui agli artt. 27 e 167 del d.lgs. n. 42/04 (…). Per gli abusi realizzati in area demaniale comunale, invece, i ricorrenti hanno chiesto l’adozione di un provvedimento di sgombero, oltre all’applicazione dell’art. 35 del d.P.R. n. 380/01, il quale prevede che il Dirigente del settore edilizio adotta una previa diffida, cui deve seguire l’ordine di demolizione rivolto al responsabile e, in caso di inadempienza, la demolizione in danno. Trattasi, come è noto, di norma di particolare rigore, in quanto l’abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, determina un “vulnus” agli interessi tutelati ancor più grave di quello commesso su suolo privato in assenza di titolo (così, fra le tante, T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 23 gennaio 2009, n. 364). Va ancora aggiunto che, come sottolineato nella predetta istanza-diffida, le opere realizzate senza titolo nella proprietà limitrofa hanno sin qui provocato grave pregiudizio alla proprietà dei ricorrenti, oltre che per la arbitraria occupazione di porzione di suolo pubblico, tale da aver determinato il mancato godimento dei propri beni, anche e soprattutto per la diminuzione di valore conseguente al degrado urbanistico ed ambientale provocato dall’altrui attività in un’area, quale è quella della “Corricella” di eccezionale pregio paesaggistico, candidata all’inserimento nella lista dei beni appartenenti al patrimonio dell’umanità (Unesco). Ciononostante, alla istanza-diffida presentata, benché sia abbondantemente decorso il termine previsto per la conclusione del procedimento, il comune di Procida non ha inteso far seguire alcun comportamento concludente>>.

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IL TAR ASSOLVE E “BACCHETTA” LE OMISSIONI DEL COMUNE DI PROCIDA

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Il TAR ha accolto il ricorso dell’avvocato Molinaro e stigmatizzato il comportamento omissivo del Comune, sulla base della seguente motivazione. <<Il ricorso è fondato. Il ricorso è anzitutto ammissibile, sussistendo la legittimazione e l’interesse ad agire dei ricorrenti, atteso che, come reiteratamente statuito da questo TAR:  il proprietario di un’area o di un fabbricato confinante con l’immobile nel quale si assume essere stato realizzato un abuso edilizio, è titolare di un interesse differenziato e qualificato all’esercizio dei poteri repressivi e sanzionatori da parte dell’organo competente e può pretendere, se non vengano adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la conseguenza che il silenzio serbato sull’istanza e sulla successiva diffida integra gliestremi del silenzio rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente (CdS, VI, 18 maggio 2020, n. 3120; Id. id., 9 gennaio 2020, n. 183; TAR Campania, VII, 4515/19; TAR Campania 4426/16); sussiste l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati sul terreno confinante – ovvero di definire con provvedimento espresso il procedimento di sanatoria e di condono eventualmente pendente per gli abusi – formulata dal proprietario del fondo limitrofo, il quale, per tale aspetto che si invera nel concetto di vicinitas, gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività, subendo gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà, onde egli è titolare di una posizione di interesse legittimo all’esercizio dei tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 c.p.a. (TAR Lombardia, II, 28 settembre 2018 n. 2171); anche a seguire l’indirizzo più rigoroso da ultimo fatto proprio da questo TAR (per tutte, TAR Campania, VI, 10 gennaio 2022, n. 151) a mente del quale in subiecta materia è necessario anche dimostrare (oltre alla vicinitas, quale legitimatio ad causam) anche la esistenza dell’altra condizione della azione costituita dall’interesse al ricorso (legitimatio ad processum), correlato allo specifico pregiudizio derivante dagli interventi edilizi che si assumono illegittimi – risulta dal corpus delle allegazioni della parte ricorrente e dalla produzione documentale che tali allegazioni assiste, la effettiva sussistenza di uno specifico interesse al retto e puntuale acclaramento e definizione dello stato edilizio e urbanistico delle opere de quibus, e al ripristino della legalità violata, siccome strettamente adiacenti ai locali ove i ricorrenti esplicano la propria attività commerciale; e ciò, peraltro, in mancanza di specifica, veruna, contestazione sul punto, sia da parte della Amministrazione che da parte del controinteressato, non costituiti in giudizio, seppur ritualmente intimati dalla parte ricorrente.

La mancata emanazione di un provvedimento espresso che concluda il procedimento iniziatosi con la istanza del privato, quale che ne sia la natura (di accoglimento ovvero di reiezione), frustra in ogni caso il soddisfacimento dell’interesse pretensivo azionato dall’istante, dapprima in sede procedimentale e, in seguito, con la domanda giudiziale. E, invero, nel giudizio avverso l’inerzia della Pubblica Amministrazione ex art. 117 c.p.a., l’interesse che sorregge il ricorso, ed il correlato bene della vita che ne costituisce l’indefettibile sostrato sostanziale – salva la ipotesi, che quivi peraltro non ricorre, in cui non residuino margini di discrezionalità e non sia necessario procedere ad acclaramenti istruttori – afferisce all’ottenimento di una formale manifestazione di volontà della Amministrazione, quale che ne sia il contenuto e la natura, in ossequio all’obbligo del clare loqui e di tempestiva conclusione del procedimento (art. 2 l. 241/90; art. 97 Cost.) che deve sempre e comunque informare l’agere dei pubblici poteri. Il ricorso va in conclusione accolto, con conseguente ordine all’Amministrazione resistente di dispiegare la propria potestas di vigilanza edilizia, emanando un provvedimento espresso idoneo a dare formale riscontro alla diffida dei ricorrenti, entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza. Acclarata la inosservanza dell’obbligo di provvedere va disposta pertanto la adozione delle misure più idonee ad assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale per cui quivi si insta, in conformità della espressa richiesta di nomina di un commissario ad acta formulata da parte ricorrente, a’ sensi dell’art. 117, comma 3, c.p.a., ove è testualmente dato leggere che “Il Giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata”.  Occorre, pertanto, imporre all’Amministrazione di dare esecuzione alla presente sentenza entro sessanta giorni dalla sua notificazione ad istanza di parte o dalla sua comunicazione in via amministrativa.  In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora quale commissario ad acta il Dirigente della Direzione Pianificazione territoriale metropolitana della Città Metropolitana di Napoli o un funzionario dotato di adeguata qualificazione professionale da lui delegato; il compenso spettante al commissario è posto a carico del comune di Procida e sarà liquidato dalla Sezione su richiesta dell’interessato che documenterà l’attività svolta e le spese eventualmente sostenute per lo svolgimento del suo ufficio. Il commissario assumerà le funzioni, trascorso il termine assegnato all’Amministrazione per adempiere e provvederà, entro i successivi sessanta giorni, all’esecuzione dell’incarico, con la adozione degli atti necessari all’assolvimento del suo mandato, direttamente o, sotto la sua responsabilità, attraverso un funzionario delegato, anche avvalendosi, per quanto occorra, della struttura organizzativa della resistente Autorità. Le spese seguono la soccombenza, nei confronti della parte pubblica intimata, nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, o accoglie e, per l’effetto: ordina all’Amministrazione resistente di provvedere in maniera espressa sull’atto di diffida presentato dai ricorrenti, entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza; – dispone che, in caso di inerzia, all’intimato Comune di Procida si sostituisca il commissario ad acta che è nominato in persona del Dirigente della Direzione Pianificazione territoriale metropolitana della Città Metropolitana di Napoli o di un funzionario dotato di adeguata qualificazione professionale da lui delegato. Pone a carico del comune di Procida il compenso eventualmente spettante al commissario ad acta, da liquidarsi con separato provvedimento. Condanna il Comune di Procida al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in € 1.500,00, oltre accessori come per legge, con attribuzione in favore dell’avv. Molinaro, siccome dichiaratosi antistatario. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa>>

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