CULTURA & SOCIETA'

Cartaromana, alla ricerca dei tesori sommersi Benini: «Aenaria crocevia del Mediterraneo. Dieci anni di scavo, ci aspettiamo altre sorprese»

Al Festival “Le Vie del Mare” incontro con l’archeologa subacquea che sta riscrivendo parte della storia e della topografia antica del versante sud orientale dell’isola d’Ischia. L’insediamento d’epoca romana, la gestione del sito archeologico sottomarino, gli aspetti inediti di una storia ancora tutta da scrivere

In mezzo alle terre. Un mondo liquido, incrocio di genti, lingue, commerci, circostanze alla base di equilibri fatti e disfatti. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia. Crocevia, fin dall’antichità, di culture e identità che si fondono, si sovrappongono, si accatastano le une alle altre. Non solo un luogo geografico, talmente vasto da renderne avventuroso il navigare, ma testimone della storia di tante comunità che vi si sono affacciate, commerciando e contendendosi lo stesso territorio, tra relazioni a volte amichevoli e a volte no.

Nella tappa ischitana del Festival “Le Vie del Mare” (dal 1 al 30 settembre) le vie liquide del Mare Nostrum ci hanno condotto sul Castello Aragonese per parlare di Aenaria, insediamento romano sull’isola d’Ischia. Nel mondo degli studi classici, è la greca Pithekoussai a comandare l’attenzione. La scarsità di evidenze archeologiche di età romana ha rafforzato l’idea di un’isola semi-abbandonata, squassata da terremoti ed eruzioni vulcaniche, di scarsa rilevanza archeologica nel quadro dell’edilizia aristocratica (preponderante invece nella vicina terraferma flegrea), privata del ruolo di crocevia nelle antiche rotte marittime.

Le campagne di scavo subacqueo (arrivate al decimo anno) stanno in parte smentendo questo preconcetto, con la scoperta nella Baia di Cartaromana dell’antico porto di Aenaria e dei resti di una villa marittima. Il ritrovamento della banchina di un porto antico e l’analisi dei materiali ceramici rinvenuti nel corso delle ricerche hanno documentato non solo una frequentazione della baia protrattasi nell’arco di almeno otto secoli, ma anche un traffico commerciale proveniente da tutto il bacino del Mediterraneo, confermando anche per l’età romana la centralità dell’isola lungo gli itinerari che solcavano il Mare Nostrum. Una banchina portuale incredibile nel suo stato di conservazione; frammenti di imbarcazioni, lingotti di piombo, materiale ceramico proveniente da tutto il Mediterraneo, tesserine di mosaico, parti di colonne e statue. Non solo un punto d’approdo, ma sede di qualche villa marittima. Tutto sott’acqua. A sei metri sotto il livello del mare. Dove si immerge l’archeologa subacquea Alessandra Benini, direttrice di cantiere della spedizione che, sotto la direzione della locale Soprintendenza Archeologica, e insieme ai mezzi e agli operatori subacquei della Marina di Sant’Anna, sta riscrivendo parte della storia e della topografia antica di questo versante dell’isola.

In che fase di scavo ci troviamo e che cosa possiamo dire di più rispetto all’anno scorso?

Grosse novità non ce ne sono, perché in questo momento siamo impegnati a pulire la parte esterna della banchina. Contiamo a giorni di rimuovere tutti i sedimenti recenti. Se si è conservato qualcosa in più sotto il crollo, lo troveremo. Abbiamo aspettato proprio per documentare in maniera completa tutta la parte esterna della banchina, in modo da determinare anche la struttura sovrastante crollata, poterla documentare sia graficamente sia fotograficamente. Quando cominceremo a rimuovere il crollo, potranno arrivare le sorprese. Se ci saranno, lo sapremo presto. Questo è il decimo anno di campagna di scavo sottomarino nella Baia di Cartaromana, sarebbe un modo bellissimo di festeggiare il decennale.

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Riportare a galla Aenaria sommersa può mettere in luce aspetti inediti dell’epoca romana o l’esperienza e le testimonianze di Baia o Pozzuoli hanno già detto quasi tutto?

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No, ogni sito fornisce un contributo importante. Baia è Baia, ma Aenaria sarà Aenaria. Con la sua storia, le sue vicende e la sua voce. Già il fatto di aver individuato un insediamento romano sull’isola d’Ischia è di per sé un dato fondamentale da un punto di vista di ricostruzione storica. La conferma che la baia, quindi l’isola, continuò a essere crocevia di rotte commerciali ed economiche.

Se spalmiamo i reperti ritrovati su una cartina geografica del Mediterraneo, li ritroviamo un po’ dappertutto. Aenaria non fu solo punto di approdo di una villa marittima o scalo d’importanza secondaria. Ebbe invece un ruolo primario nel passaggio di navi impegnate in attività di import-export lungo la rotta che, attraverso il Tirreno, da sud andava verso Pozzuoli, Roma, la Francia e la Spagna.

È vero che il mare consente di mantenere i giacimenti archeologici molto più protetti rispetto a quelli in ambiente aereo?

Verissimo. Proprio per il fatto che si trovano sott’acqua, i siti archeologici sommersi non sono soggetti all’edilizia moderna. Il mare spesso è l’elemento migliore per proteggerli. Prendiamo Baia, Pozzuoli, ma la stessa costa della Baia di Cartaromana: tutta la fascia costiera terra è coperta da insediamenti moderni, mentre quello che è rimasto in mare si è conservato in maniera splendida. Della fase romana di Ischia si conosceva ben poco proprio perché, essendo stata travolta da questo smottamento, la parte a terra è stata cementificata, quindi persa; quella invece finita in mare, si è salvata.

Il materiale emerso dalle ricerche va sempre portato a galla? Quando è proprio indispensabile tirarlo su e quando invece è meglio che resti dove sia?

Sarebbe bello poterlo lasciare sott’acqua. Quando si crea un itinerario archeologico subacqueo, ammirare i reperti sott’acqua è tutta un’altra cosa. Il problema è il rischio di furto o asportazione. Tutti quelli che sono gli oggetti piccoli, che possono essere facilmente sottratti, vanno per forza di cosa tirati fuori. Possiamo invece lasciare sott’acqua tutto quello che è grosso e pesante. Noi abbiamo lasciato sott’acqua le colonne, mentre la ceramica fine, per quanto frammentata e deteriorata, l’abbiamo riportata su.

Coi bronzi di Riace cosa avrebbe fatto?

Opere talmente pazzesche che devono essere fruibili per tutti, quindi andavano portati su. Il mondo subacqueo è ancora limitato a chi voglia di indossare maschere e pinne.

Come si gestisce, oggi, un sito archeologico sommerso?

Esistono insediamenti in cui si è deciso di lasciare i materiali al loro posto. Penso ai grandi relitti in fondo al mare. In quei casi si predispone un sistema di videosorveglianza subacquea con cui, attraverso una serie di telecamere, è possibile controllare il sito. Di solito sono affidati a società, diving o associazioni. Che hanno diritti e doveri: porto i turisti a visitare il sito, ma al tempo stesso controllo che nessuno porti via qualcosa.

Cosa si immagina per il futuro di Aenaria? Cosa vorrebbe?

Questo è il primo anno in cui abbiamo avuto l’autorizzazione dalla Soprintendenza a portare i visitatori sott’acqua per immersioni subacquee e snorkeling. Prima era possibile accedervi solo attraverso delle escursioni in barca per una questione di tutela dei reperti e dello stato dei luoghi. Il futuro che immagino? Creare un itinerario subacqueo fatto per bene, magari con dei pannelli illustrativi. Il passo successivo sarà il 3D, il virtuale, le ricostruzioni. Tutto ciò che può aiutare anche i bambini, o chi non va sott’acqua, a capire meglio quello che è emerso e a fare un’immersione virtuale dentro Aenaria.

In questi anni avete mai ricevuto chiamate da parte di residenti o turisti che, durante le immersioni nei fondali dell’isola, hanno trovato qualcosa?

No. Ma siamo in contatto con gli scopritori di Aenaria, in particolare con Renato d’Ambra. Più volte è venuto a trovarci e a dirci che aveva individuato una via tra la banchina del porto e l’attuale chiesa di Sant’Anna. L’abbiamo cercata disperatamente, finora non siamo riusciti a ritrovarla. Forse ancora sepolta dalla sabbia, chissà.

A che punto siamo per il turismo subacqueo nel Golfo di Napoli?

Finalmente si trovano subacquei che hanno in parte esaurito la passione per la fotografia e la biologia marina. Si immergono, anche a quattro, cinque metri, dove possono ammirare ancora tanta biologia e al tempo spesso ammirare delle straordinarie strutture antiche.

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