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Cas e dintorni, arriva il parere su concessione e istruttoria

DI GAETANO FERRANDINO

ISCHIA. E’ un parere lungo, complesso e articolato. Ma che senza dubbio viene a portare chiarezza soprattutto in una serie di questioni delicate e legate alla concessione del CAS (Contributo di Autonoma Sistemazione) alle vittime del terremoto dello scorso 21 agosto. A redigerlo, dimostrando ancora una volta competenza e professionalità, l’avvocato Alessandro Barbieri, chiamato a mettere ordine e fare chiarezza su una serie di dubbi e quesiti sollevati negli ultimi tempi e su cui qualcuno aveva tanto per cambiare “marciato” provando a seminare inutilmente il “panico”. I punti sui quali si è soffermato il professionista sono stati diversi: in primo luogo la corretta interpretazione da dare all’art. 2 dell’ordinanza n. 476 e nello specifico nella parte in cui la stessa stabilisce che “il Commissario delegato, anche avvalendosi dei Comuni interessati, è autorizzato ad assegnare ai nuclei familiari la cui abitazione principale, abituale e continuativa sia stata distrutta in tutto o in parte, ovvero sia stata sgomberata in esecuzione di provvedimenti delle competenti autorità [….] un contributo per l’autonoma sistemazione [….]“. Il secondo punto oggetto di chiarimenti è quello relativo alla possibilità che il comando di polizia municipale possa svolgere attività istruttoria in merito ai Cas. Una serie di precisazioni che noi riportiamo a beneficio dei nostri lettori, degli interessati e degli addetti ai lavori in genere e che certamente potrebbe contribuire a fare chiarezza su una serie di aspetti sui quali si è molto dibattuto.

LA NATURA DEL DIRITTO ALLA CONCESSIONE DEL CAS

Relativamente a questo primo punto, l’avvocato Barbieri sottolinea tra l’altro che “il riconoscimento del contributo in favore dei soggetti danneggiati per effetto del sisma, discende dalla legge e dalle successive ordinanze commissariali che hanno stabilito requisiti soggettivi, oggettivi e limiti dei benefici stessi al sussistere dei quali non residua in capo all’Amministrazione alcuna discrezionalità quanto alla sua erogazione”. Poi il discorso scivola sulla nozione di dimora abituale, stabile e continuativa, che pure rappresenta un presupposto per poter ottenere il contributo economico: Barbieri cita una serie di riferimenti normativi e poi spiega che “Da tanto discende che per ‘vivere abituale’ si intende quella circostanza che viene in rilievo allorquando ci siano degli elementi oggettivi per verificare che una persona effettivamente viva all’interno di una determinata abitazione e che ricorre laddove ci sia l’intestazione di utenze come luce, gas, telefono, acqua come pre-requisito formale e un effettivo consumo che sia ragionevole per chi dovesse abitare quell’immobile realmente. Pertanto, il luogo di dimora abituale, che può coincidere con la residenza, è quello in cui un soggetto svolge effettivamente le proprie attività di vita quotidiana… Ne deriva che la residenza è, comunque, una situazione di fatto, alla quale deve tendenzialmente (ma non necessariamente) corrispondere una situazione di diritto contenuta nelle risultanze anagrafiche. Poi nello specifico arriva un’altra significativa sottolineatura: “Ciò che viene in rilievo ai fini dell’erogazione del CAS non è tanto – o non solo, ovvero in via esclusiva – la residenza c.d. anagrafica, quanto piuttosto la residenza di fatto (anche non ricollegata alle risultanze anagrafiche) che provi il requisito della abitualità e continuatività”.

L’ATTIVITA’ ISTRUTTORIA SUL CAS E LE COMPETENZE

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E passiamo a quello che è stato un punto oggetto di una controversia interna. Nello specifico ecco cosa scrive nel suo parere l’avvocato Alessandro Barbieri: “L’Amministrazione comunale, vista l’ordinanza n. 476 del 29/09/2017, emessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile – ha reso disponibili dei modelli CAS (sub specie di ‘Dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà’ ex D.P.R. 445/2000) per ottenere il relativo contributo. La suddetta dichiarazione attesta, sotto la responsabilità del dichiarante, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2 della predetta ordinanza. Ciò posto, va in limine chiarita la natura della predetta dichiarazione la quale, come si vedrà, ha rilevanti ripercussioni sotto il profilo dell’istruttoria a compiersi. Il D.P.R. n. 445/2000, normativa di carattere generale, ha infatti favorito la semplificazione dei procedimenti amministrativi, consentendo al cittadino di produrre autocertificazione ed autodichiarazioni in luogo di documenti, fermo restando l’obbligo della P.A. di definire le modalità di espletamento dei controlli a campione… L’art. 43 prevede, poi, la possibilità che l’Amministrazione effettui accertamenti d’ufficio. La citata norma dispone, infatti, che ‘le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonche’ tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato. La suddetta normativa attribuisce al cittadino il potere di attestare, sotto la propria responsabilità, la sussistenza dei presupposti per l’ottenimento del contributo, fermo restando la responsabilità penale per l’ipotesi di mendacio, nonché l’obbligo della Pubblica Amministrazione di revocare il provvedimento esitato in favore del privato e di dar corso all’attivazione dei conseguenti procedimenti penali”.

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PER EROGARE IL CONTRIBUTO BASTA L’AUTODICHIARAZIONE

Dopo questa prima sottolineatura, il noto legale spiega che “Il meccanismo e gli effetti giuridici della c.d. autocertificazione consentirebbe di concludere nel senso che il CAS vada, dunque, liquidato in virtù di quanto autodichiarato dal soggetto istante anche, e soprattutto, alla luce delle esigenze ed alla ratio sottesa (e) al Contributo medesimo (fornire un contributo, immediato, ai nuclei familiari colpiti dal sisma), salvo il potere/dovere di verificarne la veridicità ai sensi dell’art. 43 D.P.R.”. E le conclusioni in questioni, si aggiunge, trovano anche conferma in una circolare del 9 settembre 2016 emessa dal capo dipartimento della Protezione Civile a seguito dell’evento sismico che colpì il centro Italia e nello specifico Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. E dove è riportato chiaramente che ‘i Sindaci sono tenuti a controllare, anche a campione, la veridicità delle autocertificazioni rese e ad erogare i contributi salva la ripetizione di quanto pagato all’esito degli accertamenti di competenza, da reiterare con cadenza periodica, per verificare la permanenza in capo ai percipienti dei requisiti per la corresponsione del contributo in parola. Ove sia accertata la carenza dei predetti requisiti i Sindaci provvedono a revocare l’erogazione del contributo ed agire per la restituzione di quanto percepito indebitamente’.

LE DICHIARAZIONI E IL RUOLO DELLA POLIZIA MUNICIPALE

E qui arriviamo al nocciolo della questione, col parere di Alessandro Barbieri che entra nel vivo: “Dalla lettura della predetta circolare emerge – si legge – da un lato, che i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sono demandati al Sindaco e, dall’altro, una spiccata contestualità tra il controllo circa la veridicità dell’autocertificazione, anche a campione; l’erogazione del contributo; la ripetizione di quanto pagato all’esito dell’accertamento. Inoltre, dalla lettura della Circolare in parola emerge (implicitamente) che: la verifica a campione costituisce modalità alternativa ma non esclusiva; sussiste un duplice livello di istruttoria (quello afferente la regolarità e la completezza delle dichiarazioni e quello afferente la verifica circa la veridicità delle stesse); l’erogazione può – anzi deve – avvenire (salva l’ipotesi di dichiarazioni palesemente infedeli) anche nelle more della conclusione del procedimento di verifica. In sintesi, e strettamente interpretando la normativa di riferimento, il CAS andrebbe rilasciato sulla scorta di quanto dichiarato dal privato salvo l’accertamento successivo, anche a campione, in merito alla veridicità delle dichiarazioni”.

“Tuttavia – prosegue il parere – regole di buona amministrazione, impongono di soffermarsi sul punto sub b), ovvero sull’istruttoria a compiersi nell’ambito della quale vanno, certamente, contemperate una serie di esigenze. In maggior dettaglio, e come anticipato, si potrebbe ipotizzare una istruttoria a c.d. tutele crescenti: i) una prima fase (svolta dall’Ufficio CAS) tesa ad accertare la completezza e la regolarità della dichiarazione resa dal privato anche attraverso un incrocio delle banche dati in possesso dell’Ente (Agenzia delle Entrate, Tari etc). All’esito di tale istruttoria, e laddove emergessero situazioni che non riescono a superare la soglia di c.d. criticità, potrà essere richiesto all’istante, anche attraverso la notificazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10 bis Legge n. 241/90, adeguata integrazione della documentazione resa in sede di autodichiarazione al fine di dimostrare il possesso del requisito (oggettivo) di cui all’art. 2 O.P.C.M. Una seconda fase [che può originare sia da verifiche a campione sia dagli esiti procedimentali di cui al punto sub i)] tesa a verificare, ai sensi dell’art. 43 D.P.R. n. 445/2000, la falsità della dichiarazione resa dal privato.  In tale ipotesi, la verifica circa la falsità o meno delle dichiarazioni rese dal privato spetta alla Polizia Municipale atteso lo stretto nesso di interdipendenza che la lega al Sindaco (cfr. artt. 1 e 2 Legge n. 65/86 come interpretati da ultimo da Tar Campania, Salerno, sez. II, n. 265/2017) cui l’OPCM e le circolari esplicative demandano il potere di verifica”.

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