ARCHIVIOARCHIVIO 3ARCHIVIO 5

Detersivi e saponi inquinanti, la vittoria di Ischia al Bio. Ma i supermercati non la rispettano

L’ecologia entra sempre più spesso nelle nostre case e nelle nostre abitudini e questa volta grazie anche all’azione dei sei comuni della nostra isola.

La buona notizia è che a Ischia i sei comuni dell’isola hanno vietato la commercializzazione e pertanto la vendita di detersivi e saponi inquinanti a favore di prodotti biodegradabili.  Il problema è che l’ordinanza c’è ma non viene rispettata dai vari supermercati e attività commerciali che vendono questi prodotti  molto aggressivi e dannosi per l’ambiente e per il nostro mare e, ancor più grave, è che manca completamente il controllo della polizia municipale che dovrebbe far rispettare l’ordinanza.

Giovan Giuseppe Mazzella, conosciuto come Mizar, nostro amato opinionista, è il promotore di questa ‘battaglia green’  ed è  solo merito suo se i sei sindaci hanno firmato l’ordinanza che mette al bando la commercializzazione e l’utilizzo di saponi e detersivi non completamente biodegradabili.

Una battaglia significativa, fortemente voluta dal nostro Giovan Giuseppe e sostenuta da Il Golfo per un’isola che deve presentarsi  sempre più sensibile alla tutela dell’ambiente e con amministrazioni sempre più decisi a creare un territorio “green”.

Ma ad andare controcorrente ci sono i comandi vigili dei sei comuni che, in barba alle ordinanze, non puniscono chi (i supermercati e le attività di vendita di detersivi) non rispetta l’ambiente e il territorio  e in modo particolare le ordinanze imposte dai primi cittadini.

Ads

Nel 2017 gli uomini del comando di polizia locale di Ischia, avevano iniziato una timida serie di controlli nelle attività commerciali (in particolar modo negli esercizi della grande distribuzione) “ricordando” ai titolari ed ai direttori che esiste un’ordinanza sindacale che vieta la messa in vendita di saponi e prodotti non biodegradabili e invitando ovviamente i diretti interessati ad attivarsi quanto prima ad esaurire le scorte giacenti sugli scaffali ed in deposito e di attrezzarsi per acquistare per il futuro prodotti che rispondano agli standard precitati. Un primo passo importante al quale, però, non hanno fatto seguito altri, più incisivi che mettessero finalmente la parola fine alla vendita di detersivi.

Ads

Che fossimo davanti ad una svolta importante e significativa lo si era intuito nel mese di settembre del 2016 quando il sindaco di Forio Francesco Del Deo, nella sue vesti di presidente, convocò l’assemblea del Cisi presso gli uffici di via Leonardo Mazzella. Quell’assemblea era molto attesa anche perché all’ordine del giorno c’erano sette punti, tra i quali la vendita ed uso di detersivi non biodegradabili e successive iniziative. Un argomento che all’epoca non si prese la copertina che meritava perché era il periodo in cui di discuteva anche circa la fattibilità dell’azione di responsabilità verso i precedenti amministratori, che di fatto avevano letteralmente “svuotato” le casse del consorzio con una gestione che definire dissennata sarebbe praticamente un complimento. Quell’appuntamento si rivelò un momento decisivo perché si sancisse in maniera chiara, netta e definitiva l’utilizzo di soli saponi e detersivi biodegradabili sul nostro territorio.

E di passi avanti in effetti ce ne sono stati eccome, dal momento che il liquidatore Pierluca Ghirelli indirizzò una nota ai sindaci isolani avente ad oggetto “divieto di vendita detersivi non biodegradabili – suggerimenti per l’applicazione ad opera del personale di polizia giudiziaria”. Il professionista scriveva quanto segue: “In riferimento alla strategia per realizzare e rendere effettivo il divieto di vendita e detenzione di detersivi non biodegradabili al cento per cento e con residuo contenuto di fosforo, questo ufficio di presidenza, approfondito ulteriormente l’argomento su esplicita richiesta delle SS.VV., segnala che, tra gli altri, uno dei metodi di controllo possibili, che sia semplice ed al contempo efficace, potrebbe essere costituito dall’accertamento della presenza, sui prodotti oggetto di verifica, di almeno uno dei seguenti certificati di qualità: Ecolabel; Bioceq-Cepb; Aiab-Icea. La presenza di tale certificazione è resa nota attraverso la stampa, sulla confezione del prodotto, del logo grafico ufficiale associato. La presenza del logo di certificazione sul prodotto è ragionevole garanzia di qualità, tanto più che il certificato Ecolabel ha un riscontro istituzionale ufficiale per l’Unione Europea, Bioceq è ente certificatore accreditato dalle autorità italiane mentre Aiab ed Icea, dal canto loro, sono certificati che godono di ottima reputazione di affidabilità e serietà”.

E in effetti le amministrazioni di lì a poco hanno firmato, iniziando da Ischia e finendo con Forio, ultima in ordine cronologico, firmarono le ordinanze nelle quale si provvedeva a disporre il completo divieto per chiunque, privati e aziende, di usare, commercializzare e importare nel territorio di pertinenza  “saponi, detersivi, detergenti e qualsiasi tipo di prodotto solido, liquido, in polvere, in pasticche, in crema e sotto qualsiasi forma destinati ad attività di lavaggio e pulizia, al bucato a mano o in lavatrice”. Il divieto comprende anche le cosiddette prestazioni ausiliarie per lavare, destinate al prelavaggio, al risciacquo e al candeggio di indumenti,  gli ammorbidenti per tessuti, i prodotti destinati alla pulizia delle suppellettili da cucina, della casa e dei pavimenti, che non siano ecocompatibili e biodegradabili nella misura del 100% e in tutte le loro componenti che contenessero fosforo e fosfati in qualsiasi percentuale. L’ordinanza esclude comunque dal divieto i prodotti destinati all’igiene personale, e in via transitoria sarebbe stato consentito, per i tre mesi successivi all’adozione del provvedimento, la vendita e l’utilizzo di una serie di prodotti elencati il cui livello di biodegradabilità  fosse comunque non inferiore a quello stabilito dalla legge, allo scopo di consentire l’esaurimento delle scorte e dei depositi di magazzino. L’infrazione al divieto, recita ancora l’ordinanza, comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative da  25,00 fino a 500 euro.

Insomma, sulla carta tutto sembra fatto. Il problema, come spiegato in apertura del nostro servizio, è cominciato proprio quando dalla teoria si è trattato di passare alla pratica. Perché praticamente nessuno si è preso la briga di far rispettare le ordinanze, per quanto nel testo si individuavano chiaramente i soggetti che avrebbero dovuto far sì che ciò avvenisse.

Di Francesco di Meglio

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex