CULTURA & SOCIETA'

Don Milani e la chiave fatata che apre ogni porta

Al Museo Diocesano di Ischia la conferenza incentrata su Don Milani, incentrata sulla dinamica scolastica voluta dal priore di Barbiana: presenti anche alcuni studenti del Liceo Buchner

DI ARIANNA ORLANDO

Presso il Museo Diocesano di Ischia Ponte, si è tenuta una conferenza dal titolo “la parola: la chiave fatata che apre ogni porta”. Ogni riferimento a Don Milani, il priore di Barbiana, non è puramente casuale. Tutta la conferenza, cui hanno partecipato alcuni alunni del liceo Buchner, è incentrata sulla dinamica scolastica voluta e concepita da don Lorenzo Milani che-dopo l’esperienza della scuola popolare a San Donato- scrive “e così eccomi qua, Barbiana. Una chiesa e quattro case, una bella pergola in cortile. Poi colline e colline e ulivi a perdita d’occhio”. Di lui parla Edoardo Martinelli, allievo di Don Milani e coautore di Lettere a una professoressa, ribadendo quanto per Don Milani fosse fondamentale questo principio: “ricomincerò da capo con la scuola popolare: questi giovani hanno bisogno di qualcuno che li armi. No, niente fucili o pistole per fare la rivoluzione, no. Un’arma migliore: la lingua italiana”. La scuola di stampo barberiano, nata cioè cioè Barbera nel 1954, è un indirizzo popolare le cui qualità invisibili sono senz’altro rinvenibili nella possibilità di accedere agli strumenti intellettuali fondamentali e indispensabili per essere cittadini. Il battesimo di questo specifico indirizzo scolastico avviene nell’idea che non può esistere una scuola uguale per tutti poiché una scuola che si dichiara tale appartiene alla classe dominante. La scuola popolare deve rivendicare la sua diversità. Quella di Barbiana è una scuola attenta alle esigenze della comunità, specie di quella che maggiormente-all’alba degli anni sessanta- subisce i danni e lo sperpero e l’abuso del consumismo e dell’industrializzazione, perché desidera costituire non le caratteristiche dello studente ma quelle del cittadino. La conoscenza della lingua e la sua padronanza costituiscono i presupposti fondamentali per permettere alle classi popolari l’inserimento nella società dei potenti. La lingua, e non il linguaggio elaborato, è alla base della didattica di Milani il quale decide di allestire una scuola in mezzo a un paese del Mugello che conta quaranta anime. Abbandona la teoria dei banchi isolati o doppi: questi studenti, che non lo sono nel senso generico, studino sui tavolacci larghi su cui si imbastiscono i pranzi. Non usino che un libro di testo soltanto,  leggano invece i giornali, conoscano i fatti del mondo. Non sappiano nulla di come si compone in versi, ma sappiano scrivere in modo chiaro e sappiano comprendere un testo per comprendere infine un contratto di lavoro. 

È così che Don Milani imbastisce il gruppo di lavoro per Lettere a una professoressa per “portare il mondo a Barbiana e Barbiana nel mondo”, destinato a mettere in contatto due sistemi: l’esterno e l’interno di Barbiana.       

All’insegnante burocrate, all’insegnante cieco, all’insegnante indifferente scrive Don Milano e scrivono i suoi cittadini. I suoi contadini scolarizzati. I suoi scolari che compiono il miracolo dell’istruzione e il sogno della democrazia e della cittadini.

“Al contrario dei loro coetanei borghesi e cittadini, questi verranno volentieri a scuola.” Don Milani partorisce un modello di didattica che è un vestito idoneo ad alcuni che non sono “alcuni” ma “alcuni nomi” radunati in una classe, fatta di persone con esigenze diverse e possibilità diverse. 

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Tutti questi sono stati i discorsi dell’allievo di Milani che parlava alla platea studentesca, reduce orgoglioso del suo passato di scolaro, egregio e illuminante esecutore della parola fatata che leggera brillava sulla sua testa. Oggi il termine educazione desidera sposare la diversità che non è assolutamente diseguaglianza e crea numerose occasioni di interazione e interesse per un pubblico studente a volte ostico, a volte invece malleabile sotto i flussi degli educatori. Ma quanto i giovani sono consapevoli realmente di tutto ciò? E quanto sono effettivamente consci del fatto che educare significa amare la gioia di chi educhi e che essere educati è un privilegio? Siamo qui per difendere il sacrosanto diritto allo studio “così un giorno potranno essere condotti a scoprire il mare”

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