LE OPINIONI

IL COMMENTO Chiediamoci come stiamo

DI RAFFAELE MIRELLI

Non ho voglia oggi, alla luce e all’ombra di tutto ciò che ci è accaduto, farmi strada in un sentiero di opinioni, commenti. Scusate se interrompo i soliti toni di scrittura. Quando avvengono catastrofi, bisogna invertire la rotta, sovvertire gli ordini delle logiche. Su tutti i fronti. Vi chiedo una cosa semplice, che può fare la differenza anche sulle postazioni social come Facebook. Non voglio innescare il meccanismo delle opinioni o del semplice dissenso/consenso. Vi chiedo come state. Pensatelo, se state leggendo un formato cartaceo, pensatevi in questa tragedia. Prendetevi del tempo per farlo davvero. Da soli. Se, invece, leggerete questo sfogo sui social, esprimete il vostro stato d’animo. Come sto facendo io, per tenermi saldo sulla giusta narrazione dei fatti. Quella emotiva, del dolore. Senza mischiare i piani emotivi e logici. Le speculazioni le faremo in seguito, oggi stiamo salutando chi ci ha lasciato. Per sempre.

Perché faccio questo? Perché proprio attraverso i social a i mezzi di informazione abbiamo ridicolizzato il nostro dolore e, siccome non mi sento ridicolo, né vittima di questa situazione, mi limiterò a scrivere come sto, come mi sento, da lontano. Esprimiamo insieme il nostro stato d’animo, senza azzuffarci, alimentando la Torre di Babele mediatica, la giostra del consumismo di identità. Lo faccio per primo e mi limiterò a dire quello che già sapete, perché a mio parere rispetto al dolore, nessuno di noi “la sa più lunga” dell’altro. Mi sento in lutto, perché in queste ore stiamo finalmente dando pace alle vere vittime dell’accaduto. Mi sento arrabbiato per tante cose che mi frullano in testa. Perché questa tragedia ha messo a nudo – ancora una volta – la nostra fragilità e la nostra identità. Mi sento in imbarazzo per la miriade di azioni poco sane che sono state messe in campo nella gestione di questa tragedia annunciata: mi chiedo che cosa avremmo potuto fare in questi anni che hanno preceduto l’accaduto. Mi sento infastidito dalle tante voci che hanno voluto commentare in modo macabro, senza rispetto, da coloro i quali hanno preso la parola, senza permesso. Mi sento triste, quando parlo con chi ha perso casa. Mi sento bene quando “ammiro” la grande rete di azioni solidali che hanno creato una “contro alluvione” di bene. Mi sento spaesato quando mi arrivano video crudi, che riguardano il recupero delle salme, quelli che girano purtroppo sulle chat private, che creano in me un senso di impotenza. Penso a coloro i quali hanno attivato queste azioni e mi verrebbe da dir loro: “Ma come ti viene?”. Mi sento logoro quando, chi si presta a interviste, alle partecipazioni televisive, deve a un certo punto della discussione fermarsi, perché è vero, la colpa è anche mia, nostra. Mi sento spaesato quando vedo i cosiddetti influencer fare a gara per narrare in modo patetico le emozioni, quelle che ci hanno consegnati all’opinione pubblica come vittime.

Non mi sento una vittima e credo che nessuno di noi debba sentirsi tale.

Perché? Perché, anche se era prevedibile, non fa differenza, per nessuno. E perdonatemi se lo dico senza mezzi termini: mi sento più carnefice. Mi sento responsabile dell’accaduto, spesso. Lo faccio quando assecondo le politiche della negligenza, quando voto di pancia chi mi dovrebbe fare un favore. Bisognerebbe imparare a votare seguendo il “senso del fastidio”. Le cose giuste, spesso, sono quelle che vogliono cambiarci, infastidendoci. A Ischia troppo spesso seguiamo le politiche del gran consenso. Dobbiamo cambiare! Mi sento in imbarazzo anche per il lavoro svolto dalla stampa nazionale, non c’è da dire altro: mi sento in imbarazzo per loro e per la poca capacità di narrazione dimostrata, sottraendo dignità a chi sta soffrendo. Mi sento stupido, lanciato oltre il fango, nella melma, perché il fango è divenuto melma. Non mi sento di proseguire in questo modo nella mia esistenza: voglio cambiare atteggiamento verso il territorio che mi ospita e che non mi appartiene, voglio essere un dissidente della mediocrità, voglio che i miei diritti non vengano visti o interpretati come favori. Voglio ed esigo competenze da chi mi rappresenta, voglio chiarezza, sostegno, perché sono – adesso – un cittadino frustrato, del Sud, annichilito dalla negligenza e dall’incompetenza. Pretendo condivisione oltre l’appartenenza comunale, politica, religiosa, sociale. Mi sento volenteroso e capace di rispondere a questo stupro esistenziale con progetti, perché so che siamo tutti stanchi di “elemosinare” diritti. Allo stesso tempo devo riconoscere anche i miei limiti e avere il coraggio di interrompere la logica del servilismo, della sopraffazione e della paura.

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Sapete, in questi giorni ho perfettamente compreso che in buona parte siamo diventati poveri. Sono troppe le persone che arrancano ogni giorno per sopravvivere in questa “stupenda bellezza” di cui tutti ci facciamo portavoce. La bellezza non ci appartiene se limitata alla contemplazione di un panorama; non è andando al mare che incontriamo la vera bellezza e nemmeno mangiando il cibo più prelibato del mondo, sull’isola “più bella del mondo”. E se mi dicono che il luogo in cui vivo è il più bello al mondo, allora per rispetto verso me stesso, ne dubito. Si sta veramente nella bellezza quando l’esistenza dei miei cari e dei miei amici, di tutti, è protetta, sicura, dignitosa. Quando possiamo avere condizioni di vita che ci offrono di poter scegliere cosa fare, e non di scendere a compromessi per alimentare quella bellezza che, se bene ci riflettiamo, sembra riguardare “davvero” solo poche persone. E non mi sento di dire che la mia isola sia “solo” bella. Chi me lo dice, la sta mercificando, per vendere. Non sono d’accordo! La nostra isola è un essere vivente. Allora mi sento infelice, ancora, dopo pochi anni dal 2017 e prima ancora, perché la felicità dovrebbe essere ciò che fonda e non affonda la bellezza. Mi sento stupido, di nuovo, guardando al passato, al nostro passato. Quanti monumenti ancora dovranno “cercare” di riportarci alla felicità? Non lo so. So che da oggi, ancora una volta, con la restituzione dei nostri concittadini, fratelli e sorelle alla terra, il diritto alla felicità è stato negato, di nuovo. Siamo poveri, perché abbiamo perso “tutti”. Nessuno escluso.

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* FILOSOFO

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