LE OPINIONI

IL COMMENTO Ischia, adesso non ti disunire

C’è una frase molto significativa nel film “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, che viene pronunciata dall’attore che impersona il regista cinematografico Antonio Capuano: “Non ti disunire” detta a Paolo. E’ una frase iconica, con la quale s’intende dire che bisogna evitare la scissione interiore dell’uomo. I tedeschi chiamano questa situazione psicologica e psicoanalitica “Spaltung” (scollatura). Ma esiste anche una “spaltung” che, anziché riguardare l’individuo, riguarda la società. E Ischia, ancor prima delle calamità su di essa abbattutesi negli ultimi anni, con particolare accanimento su Casamicciola, è apparsa del tutto disunita, e non solo dal punto di vista istituzionale amministrativo ma anche, e soprattutto, sotto il profilo etico-economico, solidaristico e di giustizia sociale. La tragedia ultima di Casamicciola e l’aggressione delle televisioni e quotidiani nazionali hanno provocato una reazione, una chiusura a riccio, un’autodifesa del corpo sociale isolano. Ma non illudiamoci troppo per la ritrovata solidarietà tra concittadini, dimostrata da tanti volontari di fronte al martirio delle famiglie alluvionate. Aspettiamo di vedere se si consolida nel tempo tale ritrovata “coesione” sociale.

Ha scritto Graziano Petrucci, nel suo ultimo “Caffé scorretto”: “La frana ha fatto crollare la società sparpagliata nei sei Comuni, troppo invaghita del suo senso tribale”. Ecco, vorrei soffermarmi su questa espressione “il suo senso tribale” che è un concetto metagiuridico, non istituzionale, ma sociologico. Ischia tende a frammentarsi in gruppi tribali. Vi farò un solo esempio, a dimostrazione di ciò: le chat. Che cosa è una “chat”? Un gruppo di conversazione via internet tra diversi interlocutori. E’ un male, è un bene? A scanso di equivoci, preciso che anch’io partecipo a cinque-sei diverse chat, per cui non c’è, da parte mia, un preconcetto negativo. Vorrei però precisare quelle che ritengo siano le insidie di questo strumento di interrelazione e comunicazione. Premesso che un incontro di amici al bar, davanti a un caffè, guardandosi negli occhi e studiandosi come fanno i giocatori di poker, è preferibile a qualunque chat, va detto che le modalità con cui si creano i gruppi di chat (uno tira un altro), giocoforza vede, alla fine, insieme persone che non necessariamente hanno un sentire comune. Pertanto, a me pare che le chat più efficaci siano quelle strettamente tematiche. Ad esempio, la chat del gruppo di volontari La strada del buonsenso, dove ci si scambia informazioni e proposte sul tema unico della sicurezza stradale e la chat degli Amici di Pietro Greco che, al di là del ricordo imperituro del grande divulgatore scientifico isolano, segue l’evoluzione della componente scientifica per il progresso umano. C’è un collante unico che tiene compatto questi gruppi. In altri casi di chat troppo “aperte” e generiche, si rischia di riversare nella “chiacchierata” via internet un misto di sensazioni, di opinioni che si accavallano senza un fil rouge che le tenga in piedi. Si rischia così di replicare la stessa confusione e lo stesso generalismo che imperversa sui social.

Detto della “disunione”, della funzione delle chat, vorrei aggiungere che abbiamo un altro pericolo da evitare, come possibile conseguenza del dopo alluvione. Dobbiamo decidere, senza sbagliare, quale direzione debba prendere l’isola d’Ischia per un futuro di serenità e prosperità. Corriamo il serio rischio di rincorrere le emergenze, di convogliare risorse ed attenzione esclusivamente sull’ultima emergenza scoppiata. E lo sappiamo bene che l’ultima emergenza è stata devastante per le vite giovani, giovanissime, che ha troncato ma anche per gli animi che ha fiaccato e che rischiano di non sollevarsi più. Certo dunque che, a seguito di ciò, dobbiamo, con urgenza, varare un Piano di emergenza in caso di frane o terremoti. Certo che dobbiamo elaborare progetti ingegneristici in grado di mitigare i rischi. Certo che dobbiamo trovare, e subito, l’alternativa abitativa a coloro che, a prescindere dall’abusivismo edilizio o della regolarità urbanistica, non possono più abitare in zone che la storia statistica ( se non le carte geologiche) hanno dimostrato esiziale. Ma sarebbe un errore clamoroso se sotto l’onda emozionale, estrapolassimo da un Progetto Ischia 2050, solo il rischio idrogeologico e vulcanico. Ischia si salva e si assicura un futuro ancora roseo solo nella misura in cui riesce ad elaborare un Progetto complessivo eco-sostenibile (finalmente ho sentito parole giuste nell’intervista al TGR di martedì del Presidente di Federalberghi isolano, Luca D’Ambra), un nuovo modello di sviluppo che non sia più fine a se stesso e privo di effettivo progresso sociale. Alcune amministrazioni erano appena all’inizio di una nuova filosofia che superasse il piccolo cabotaggio quotidiano. Quella strada non va assolutamente abbandonata, concentrandosi solo sull’emergenza di turno.

Il Comune d’Ischia, per esempio, aveva messo in cantiere un Progetto Dossier per candidare il Borgo di Ischia Ponte a Patrimonio Unesco dell’Umanità. Aveva inoltre incaricato l’esperto di turismo Ejarque di predisporre un Progetto di rilancio turistico su basi nuove e sostenibili. Questi progetti non vanno abbandonati né rallentati, vanno anzi accentuati e accelerati. Gli albergatori termalisti avevano, da poco, presentato una ricerca statistica nazionale sul Termalismo, condotta da Renato Mannheimer, per ripartire su basi nuove e più rispondenti alle aspettative moderne di mercato. Insomma, in vari settori stava timidamente maturando la coscienza che solo su basi scientifiche, solo con una seria raccolta di dati, solo con lo studio comparato con altre situazioni analoghe nel mondo, è possibile uscire dall’improvvisazione e da un modello logoro che, continuando di questo passo, finirebbe col consumare suolo, risorse naturali, risorse geologiche, archeologiche, termali, in maniera irreversibile. Abbiamo assistito, nei giorni scorsi, all’audizione, alla Commissione Ambiente della Camera, dei vari responsabili che avrebbero dovuto prevenire, pianificare e mitigare i rischi da alluvione. In particolare c’è stata un’ampia Relazione, per conto dell’Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale, della dottoressa Vera Corbelli: “Nell’area interessata dalla frana di Casamicciola del 26 novembre, negli anni, c’è stata una forte alterazione dei luoghi…è avvenuta una modifica completa del reticolo idrografico”. Addirittura è stata evidenziata la presenza di un grosso tubo nell’area del Celario ed altre opere “improbabili” che hanno fortemente compromesso il naturale deflusso delle acque e di detriti. Tutto questo, detto come se la dottoressa Corbelli fosse un perito del Tribunale, chiamato dal giudice ad emettere un giudizio tecnico sulle cause del disastro. Ma l’Autorità di Bacino non è neutra, non fa perizie postume. E’ l’Ente pubblico deputato ad elaborare il Piano di gestione del bacino idrografico e il Piano di gestione del rischio di alluvioni (decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, lettera “e” art.5). Ed è la Conferenza Istituzionale Permanente di detta Autorità che elabora gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione. Di tale Conferenza fanno parte il Ministro dell’Ambiente, il Ministro delle Infrastrutture e quello dei Trasporti, il Capo della Protezione Civile. Nessun organo dello Stato, della Regione, della Città metropolitana, dei Comuni, dell’Anas, della Protezione Civile può chiamarsi fuori e giudicare gli altri. Troppe volte abbiamo assistito allo scaricabarile tra organi diversi. Sono tutti chiamati a rispondere e tutti sono chiamati a trovare quelle soluzioni che non avete saputo o voluto adottare: Un Piano isolano di emergenze, un Piano di delocalizzazione dai luoghi del rischio e contemporaneo Piano di riallocazione in case, scuole, uffici e laboratori in luoghi più sicuri, un Piano di manutenzione e infra strutturazioni moderne per la mitigazione dei rischi, una messa in sicurezza o un’alternativa di allocazione delle scuole situate nei punti critici della fragilità territoriale.

Attenzione, poi, a come risolviamo il problema dello stoccaggio e smaltimento di fanghi e rifiuti vari. Sono iniziati i viaggi, con Traspemar, per lo smaltimento nella discarica di Quarto di terriccio e residui di materiali rocciosi o comunque naturali, sotto la stretta sorveglianza della Guardia Costiera. I costi di trasporto sulla terraferma hanno, è vero, costi enormi, ma il costo sociale ed ambientale di un eventuale smaltimento in loco, a mare, sulle coste o altrove, non suffragato da prove certe della “non nocività” dell’intervento, sarebbe di gran lunga più grave e dispendioso. Lo si faccia, per il ripascimento degli arenili, ma senza superficialità scientifiche. Di fronte a questi temi, l’isola non può non compattarsi, unirsi, per evitare una definitiva scissione del corpo sociale.

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