LE OPINIONI

IL COMMENTO Ischia è ancora cattolica? E in che misura?

Il 6-7-8 novembre hanno messo in vetrina un B&B del cattolicesimo ad Ischia: Bassetti e Brambilla, Presidente e Vice della CEI che hanno cercato di fare il punto della situazione delle Parrocchie, della loro attuale capacità di evangelizzare e di dare una pratica attuazione dell’enciclica Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Il Vescovo Lagnese, da parte sua, nel discorso di apertura ha sottolineato l’importanza del silenzio e dell’ascolto, nella legittimità delle critiche ma nella vacuità delle troppe parole in libertà. Ha aggiunto che la Parrocchia non è una struttura caduca, a condizione che si lasci trasformare dal sogno di una scelta missionaria e non è un hortus conclusus, non prescinde dal Vescovo. Purtroppo,questo mio commento è scritto da lontano, senza aver avuto la possibilità di farmi accreditare (da osservatore laico) per partecipare agli incontri che – comunque – ho cercato di seguire al meglio per via indiretta. Per quale motivo ritengo essenziale che si sviluppi, all’interno della Chiesa ischitana, un franco confronto e un approfondimento di cultura cattolica? Il motivo è che Ischia ha un passato di forte presa della Chiesa Cattolica sulla società ischitana e di identificazione del popolo con la dottrina cristiana in tutti i riflessi positivi che questo legame ha prodotto ma anche negli aspetti più propriamente rituali e formali. Per decenni e centinaia di anni Chiesa e società isolana, nel bene e nel male, si sono identificati e le regole del cattolicesimo, ancorché a volte in ritardo rispetto all’evoluzione dei costumi e della sensibilità civile, hanno svolto una importante funzione di freno agli eccessi egoistici e mondani. Le inibizioni non sono state sempre e soltanto un “freno” all’emancipazione individuale bensì una regola di condotta, un binario di comportamento per non deragliare dalle norme del retto vivere e con-vivere.

Adesso non sembra più essere così. Lasciamo stare il conflitto tra alcuni Sindaci e Vescovo sull’assurdo “ diritto di patronato” rivendicato dalle comunità locali. Questa è – al più – un campanello d’allarme che suona ad evidenziare una frattura che si va allargando tra l’istituzione ecclesiastica ischitana e il popolo cattolico. La verità è che la ferita è ben più profonda e affonda le radici nella mutazione dello spirito della popolazione locale. Non più contadini, non più pescatori, non più commercianti né imprenditori, ma “benestanti” (rentiers), gente che vive più che altro di rendite accumulate nel tempo e di cui anche figli e nipoti continuano a godere. Non più moralità del “sacrificio” per raggiungere una qualche meta, non più proiettati verso un futuro che si immaginava migliore, ma “ ripiegati” su un eterno presente. Ha ragione Luca Ricolfi che, in un suo recente libro, ha descritto l’Italia odierna ( ma Ischia è un modello che calza a pennello) come “ società signorile di massa”, non nel senso di negare l’esistenza di sacche di povertà, anche assoluta, ma nel senso che è preponderante la massa di cittadini che non lavorano o non lavorano più e vivono di rendita. Come può allora attecchire una Chiesa Cattolica che, oggi, sotto l’impronta di papa Francesco si schiera con i poveri, che vuole preservare la Natura non solo perché facente parte del creato ma perché la salute di essa deve assicurare un futuro ai nostri discendenti? Come può ricondurre sulla retta via le pecorelle “ smarrite” che non ritengono affatto di aver deviato e che sono invece convinte che l’io e il “ noi” ristretto all’ambito del proprio nucleo familiare costituiscano la “ centralità” del vivere? Del resto, come è accaduto molte volte nella storia umana di quest’isola, essa non fa che replicare, con notevole amplificazione del fenomeno, ciò che accade nel resto d’Italia. Osservo da anni il comportamento dei fedeli, sempre più ripiegati sugli aspetti esteriori, rituali, festaioli e sempre meno votati al bene collettivo, all’amore per il prossimo, alla “ pietas”, tutte cose che oggi vengono mortificate e derubricate a “buonismo”. Come se la parola “buono” fosse – all’improvviso- diventata una cosa di cui vergognarsi. Vergogna, invece, dovrebbe avere quella parte di Chiesa che fa “resistenza” alla svolta evangelica e francescana del Papato ed anche della nostra Diocesi. Sconcerto è quello che suscita l’intervista del “vecchio” (88 anni), ma sempre polemico e reazionario Cardinale Ruini che, in un’intervista al Corriere della Sera ha detto: “Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti. Penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé…Il dialogo con lui mi sembra pertanto doveroso”. Alla domanda dell’intervistatore Aldo Cazzullo se Salvini sbaglia a baciare in pubblico il rosario, Ruini ha risposto: “Il gesto può certamente apparire strumentale e urtare la nostra sensibilità. Non sarei sicuro però che sia soltanto una strumentalizzazione. Può anche essere una reazione al politicamente corretto”.

Anche lui, dunque, contro il “buonismo”, il “politicamente corretto” e di conseguenza favorevole al “politicamente scorretto”, all’egoismo e alla difesa strenua della sfera individuale e territoriale. Quanto questo possa coniugarsi con la Chiesa di Francesco resta un mistero. Al Cardinale Ruini lascio rispondere Don Antonio Mazzi che – sempre sul Corriere della Sera – ha detto: “ Per secoli soprattutto noi italiani non siamo stati gente di fede, ma di cerimonie, di sacramenti, di canoniche e seguaci di tradizioni popolari, più amanti della processioni, delle candele, dei regalini per il battesimo della nipotina e delle centinaia di madonnine apparse nei modi più vari quasi in tutti i paesi. E’ finito il tempo, anche se non finisce il mondo e tanto meno crollano i campanili”.

Ischia oggi non sfugge alla diffusione del rancore, del risentimento, dell’odio, che sembra attanagliare l’Italia attuale. Apatia da “rentrier”, da classica economia della rendita, più odio e risentimento verso qualunque individuo possa costituire una minaccia alla propria posizione consolidata ( sia esso il vicino che sconfina, il concorrente commerciale, il politico avverso, il professionista che ti toglie i clienti, lo straniero che arriva, l’animale che abbaia). Come può, in questo arido terreno, continuare ad esistere la Chiesa Cattolica, come può non perdere terreno? Ho apprezzato molto le parole che Don Agostino Iovene ha rilasciato a Teleischia e che suonano pressapoco così: “Per capire lo spirito dell’enciclica papale di Francesco, il Vescovo ha dovuto preventivamente diramare un documento esplicativo perché noi non siamo pronti a coglierne lo spirito e il significato”. Una disposizione d’animo di grande umiltà nell’accogliere e comprendere lo spirito dei tempi della Chiesa attuale. Credo di poter dire che le Parrocchie abbiano tentato di frenare la caduta, intensificando la parte rituale, festaiola, di concorrenza tra parrocchie all’insegna del fuoco d’artificio più bello, dell’illuminazione più ricca, della sagra più articolata. Sorgono anche basi filosofiche nuove o che si vanno riscoprendo per superare cristianamente questa fase di affievolimento del sentire cristiano e del contemporaneo crescere del “risentimento”. In particolare c’è un grande rispolvero di Max Scheler (1874-1928) del quale è stato di recente pubblicato – per Chiarelettere – una traduzione di Angelo Pupi dal nome – per l’appunto – “Il Risentimento”. C’è un capitolo del libro dedicato alla morale cristiana in cui si sostiene che il risentimento può, malgrado le apparenze, avere esiti positivi.

Il risentimento è un auto avvelenamento dell’anima ma, come ogni veleno (Pharmacon) presuppone il “suo rimedio”.Per capire quale possa essere il rimedio, bisogna rendersi conto che il risentimento è sempre una reazione dei più deboli verso i più forti, dei dominati contro i dominanti. I deboli coltivano un desiderio di vendetta, odio, rancore e invidia. Possono derivarne due diverse conclusioni: o che l’inutilità della reazione porti il debole alla rassegnazione o che – al contrario – venga sublimato il desiderio di vendetta e venga trasformato in sentimenti opposti, salvifici. E’ il “rovesciamento dell’ordine morale” di cui parlava anche Nietzsche . Si passa dal rancore verso il dominante all’amore verso i dominati, dal “risentimento” verso l’alto al “sentimento” verso chi ti sta a fianco o ancora più in basso. Riuscirà la Chiesa Cattolica ischitana in questo tentativo di ribaltamento della morale corrente? Saprà dare ragione a Scheler? Sapremo passare dal “risentimento” al “sentimento”? Senza questo recupero dell’etica cristiana, Ischia non riuscirebbe a trovare la strada di un nuovo umanesimo.

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