LE OPINIONI

IL COMMENTO La capitale della cultura e il capitale della speranza

Nella giornata inaugurale di Procida Capitale della Cultura, grande spazio fu lasciato a un giovane filosofo campano che discettò sul tema impegnativo della Speranza. Per un diciottenne è agevole parlare di speranza, avendo una vita davanti, ma quando una riflessione è troppo facile, si può cadere nella tentazione dell’ovvio e del banale. Molto più difficile è parlare di Speranza quando si è vecchi e soprattutto quando si è vissuto tempi migliori di quelli attuali. Dagli antichi greci ai latini si sono soffermati in molti su questo tema. Per Eschilo era colpa di Prometeo aver infuso nell’uomo le “cieche speranze”. Per Sofocle, le speranze erano “carezzevoli sogni”. Per Pindaro si doveva parlare di “fatue speranze”. Seneca si limitava a vivere quotidianamente “senza speranza e senza paura”. Anche Marco Aurelio raccomandava di “lasciar perdere le vuote speranze e occuparsi di se stesso”. Tucidide era un po’ più ottimista: “La speranza è una “previsione razionalmente fondata”. Il più ottimista in assoluto era Euripide, l’unico a esortare gli uomini a vivere e a nutrirsi di speranza. Storicamente è il sorgere dell’ebraismo che mette al centro degli interessi umani la Speranza, incarnata nella ricerca della terra Promessa.

Un magnifico excursus storico-filosofico-letterario di questi passaggi è descritto nel libro (del 2019) di Claudio Magris, dal titolo “Elogio dell’uomo che spera ed opera per un futuro che si realizzi”. Nel 2018, il 18 di ottobre, a Varsavia, ad opera della Società Europea della Filosofia, si svolse un importante Convegno Internazionale sul tema “Speranza”. Il diciottenne filosofo, che si è esibito a Procida, molto probabilmente non poteva esserne a conoscenza, avendo al tempo solo 14 anni. Tornando ai Greci, perché essi erano così pessimisti sulla Speranza (Elpis per i Greci)? Il motivo è che l’Uomo vive secondo il suo destino (moira) sottoposto al Fato (Tyche) e alla Necessità (Ananke). Se l’Uomo tenta di sottrarsi alla predestinazione, commette una dismisura (Hybris). L’uomo moderno ha mixato gli elementi di pessimismo ed ottimismo sulla Speranza, difatti Leopardi la definisce “ameno inganno” ma aggiunge anche “Vivo dunque spero”. Un filosofo del ‘600, che amo particolarmente, Baruch Spinoza, considera la Speranza “una gioia incompleta” e la mette sullo stesso piano della Paura. Quest’ultima è basata su qualcosa che potrebbe accadere e che potrebbe arrecarci dolore, ma non sappiamo se avverrà. Allo stesso modo, la Speranza è la possibilità che si avveri un evento favorevole ma di cui non abbiamo alcuna certezza. Su questa indecisione tra paure e speranze, Spinoza ritiene giochino le religioni e i leader politici per condizionare e manipolare gli uomini.

Baruch Spinoza

Splendido è il saggio dello psichiatra Eugenio Borgna, dal titolo “Speranza e Disperazione” ( del 2020). Come Spinoza aveva equiparato Speranza e Paura, Borgna mette sui due piatti della bilancia: la Speranza e l’antitesi Disperazione, la “sorellastra” come lui la definisce. Borgna ha operato per anni nel manicomio di Novara, a contatto con centinaia di pazienti psichiatrici gravi, però egli si rende conto che Speranza e Disperazione non riguardano solo pazienti gravi ma attengono all’Umanità intera, per cui nel tentativo di dare o ri-dare un senso alla vita, non bastano medicinali e cure tradizionali come per i malati gravi. Occorre richiamare e percorrere tutti i sentieri della letteratura, filosofia, poesia per scavare le angosce umane e trovare una via d’uscita. E dunque cita Leopardi e Cesare Pavese. Di quest’ultimo cita la bellissima poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e cerca di comprendere i motivi del suicidio, su cui conclude che resta un mistero inafferrabile; non sapremo mai se – nella solitudine – ci potessero essere stati eventi diversi che avrebbero potuto cambiare l’esito dell’angoscia e della disperazione del poeta scrittore. Borgna conclude che sperare si può e si deve, anzi aggiunge che si può “imparare” a sperare, come forma di conoscenza della complessità umana. Ecco che cosa un “vecchio” può dire di diverso da un giovanissimo filosofo. Gli appelli ai politici, alle Istituzioni, come ha fatto il diciottenne filosofo a Procida, affinché non deprimano le speranze dei giovani e lascino loro spazi adeguati, per una giusta affermazione nella vita, rappresentano una visione parziale dell’esistenza.

Da Procida, Capitale della Cultura, più che innalzarsi il grido di “fateci spazio” (legittimo), doveva e dovrebbe innalzarsi un inno alla conoscenza, della complessità della vita, della duplicità dell’uomo: inferno e paradiso, guerra e pace, angelo e demone. Come dimostra l’assurda invasione e distruzione dell’Ucraina. Come dimostra, nel nostro piccolo, la disgregazione sociale che quest’isola sta sperimentando (vedi l’incomprensibile episodio di violenza nella discoteca di Casamicciola), sul quale commettiamo l’errore di proiettare all’esterno (il forestiero, l’estraneo avventizio) la mancanza di coesione sociale, che riguarda invece tutti noi isolani. Abbiamo del tutto disimparato a comprendere la complessità della vita, nella quale la duplicità dell’uomo non sempre è distinguibile e separabile, spesso presentandosi in forma di groviglio inestricabile. Per districarsi tuttavia, in questo labirinto della psiche, bisogna ripercorrere tutti i sentieri della storia culturale del mondo: lì c’è comunque tutto quanto serve ad alimentare la Speranza, afflato possibile, anzi necessario all’esistenza umana. E’ in questa luce che va letta l’esperienza di Procida Capitale della Cultura. E’ in questa luce che, per elevare il tono culturale di Procida Capitale, per “capitalizzare” il Patrimonio Speranza, prima di innalzare comparse sui trampoli o pianoforti sospesi in aria, sarebbe stato meglio ancorarsi alla cultura sviluppatasi nei secoli nel nostro golfo. Peccato per Riitano e per l’amministrazione comunale di Procida non aver dato spazio ad espressioni culturali come il Festival cinematografico di Procida inventato da Fabrizio Borgogna, supportato da Michelangelo Messina, patron del Festival di Ischia delle location cinematografiche; peccato non aver accolto ben 4 proposte del Festival di Filosofia di Raffaele Mirelli di Ischia; peccato non aver accolto la proposta dell’Associazione culturale T.I.F.E.O. di Ischia di una rappresentazione teatrale-musicale a Palazzo D’Avalos, sulla vicenda storico-letteraria, tratta dalla novella VI della V giornata del Decameron di Boccaccio, riguardante la storia d’amore tra Restituta Bulgaro di Ischia e Giovanni da Procida. Proposta a “zero euro” a carico del Comune di Procida e senza un euro dei 15 milioni messi a disposizione dalla Regione Campania. Prima di parlare di Innovation (a ottobre prossimo sono previsti “Innovation Village Award e Procida 4Innovation) sarebbe stato meglio parlare della storia culturale comune delle isole e dell’area Flegrea e sarebbe stato meglio che per “I Greci prima dei Greci” ci si fosse ricordato di coinvolgere Pitecusa, prima colonia euboica in Italia. Ma di ciò sono colpevoli i Sindaci dell’isola d’Ischia almeno quanto Procida e la Regione Campania. Ricordiamoci del vaso di Pandora, dal quale furono liberati tutti i mali del mondo, restando nel fondo solo la Speranza. E come per il vaso di Pandora, in questo momento storico è stato rimesso un tappo che tiene imprigionata la speranza. Solo la cultura e la lezione del passato potranno sollevare quel tappo e liberare la speranza.

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